- Global Voices in Italiano - https://it.globalvoices.org -

Georgia, Russia: relazioni e problemi interetnici

Categorie: Georgia, Russia, Citizen Media, Diritti umani, Etnia, Guerra & conflitti, Linguaggi, Politica, Relazioni internazionali

Su LiveJournal shupaka descrive così [1] [rus] come ci si sente a essere russo a Tbilisi in questo periodo:

Oggi mi sono sentito chiedere per l'ennesima volta – come trattano i russi [in Georgia]? È’ rischioso parlare russo a Tbilisi?

Mia madre è russa, e anche mia suocera. Ho chiesto loro, giusto per saperlo, come vi trattano lì? Non vi sentite oppresse? Entrambe hanno risposto di no, che non si sentono oppresse.

Sono cittadine della Georgia, le mie due madri, e hanno gli stessi problemi di ogni altro cittadino georgiano con le autorità russe.

Per mia suocera è più semplice, i suoi genitori vivono in Ucraina, mentre mia madre sta peggio: il padre e le sorelle vivono in Siberia.

Al lavoro, per strada, nei negozi e sui mezzi pubblici mia madre parla georgiano; certo, con un pò di accento, e non sempre perfettamente, così capita che qualcuno le chieda: “Sadauri har?”, ovvero: “di dove sei?”. I georgiani adorano sentire uno straniero che parla la loro lingua.

Mia suocera parla russo la maggior parte del tempo, e lo insegna anche ai bambini – un paio di sere alla settimana legge autori come [Korney Chukovsky [2]] e [Nikolay Nosov [3]] ai bambini del quartiere. Il numero dei suoi studenti non è calato – sono rimasti gli stessi del periodo precedente l'occupazione.

Oggi ho fatto un esperimento decisamente sciocco – ho cominciato a parlare in russo alla gente. Su un autobus, ho detto ‘ostanovite, pozhaluysta‘ [‘per favore, si fermi qui’] invece di ‘gaacheret‘; in un negozio, ho chiesto una ‘butylku borzhoma‘ [‘una bottiglia di acqua minerale Borjomi [4]] invece di una  ‘erti bordjomi,’ all'alimentari… eccetera. Non ho notato alcuna reazione negativa.

Recentemente, il 12 agosto, su LiveJournal voinodel (Vadim Rechkalov, corrispondente di guerra per Moskovsky Komsomolets) ha pubblicato questo ‘monologo’ [5] [rus] della signora Lobzanidze, che abita a Vladikavkaz [6], capitale dell’Ossezia Settentrionale-Alania [7], in Russia:

Mio genero è osseto. Lo stesso vale per il mio nipotino di 8 anni – almeno, per parte di padre. Io invece sono russa. Di nascita, perlomeno. Eppure, nel mio passaporto c'è scritto che sono georgiana. Hanno cancellato [la voce “etnia”] dai passaporti, ma il mio cognome è georgiano, l'ho ereditato dalla buonanima di mio marito. Secondo il passaporto, e per nascita, anche mio figlio è georgiano – certo, sempre da parte di padre. È sposato con un'armena. Mio nipote è osseto, mia nipote è georgiana – certo, da parte di padre – e in tutto questo, io, cosa sono?

Chi mi preoccupa di più, a ogni modo, è mio figlio. Ormai può succedere di tutto. Adesso [gli osseti del Sud] torneranno furiosi, dalla guerra. E cominceranno a… non so nemmeno cosa aspettarmi…

Credevo di essere paranoica. Ho chiamato la polizia. Ho chiesto loro “cosa dovrei fare, in questa situazione? Vedete, mio figlio è georgiano”. Una donna poliziotto mi ha chiesto: “Dove è registrato? Che cittadinanza ha?”. Ho risposto: “È registrato a Vladikavkaz come cittadino russo. È nato lì, non è mai stato in Georgia. Non approva le politiche di Saakashvili. Ma il nostro cognome è Lobzhanidze. Cosa dobbiamo fare?”

La donna, dopo avermi ascoltato attentamente, ha detto: “Prendete le vostre precauzioni. Qui arriva ogni tipo di persone. Cercate di proteggerlo. Non lo faccia uscire per strada da solo. Quanti anni ha, suo figlio?” Ho risposto: “Ne ha già 30; come faccio a non farlo uscire di casa?”. E la donna poliziotto ha continuato: “Beh, vi capisco, la situazione è tesa, ma non posso affidare un poliziotto a ogni persona [per proteggerla]”. “Ci sono già stati incidenti?”, ho chiesto. “No – mi ha risposto – non ancora”.

P.S.

Tutti i parenti della [signora Lobzhanidze] se ne stanno [chiusi] in casa dall'8 agosto. Non vanno neppure a lavorare. Ma ciò riguarda solo i parenti di suo marito. I parenti armeni e russi sembrano non avere nulla da temere. Non ancora.