Palestina: a Gaza la gente è “intrappolata, traumatizzata, terrorizzata”

Le truppe israeliane di terra continuano ad avanzare nella Striscia, mentre proseguono [in] i bombardamenti via mare, cielo e terra. Ecco alcuni dei post usciti da Gaza domenica scorsa 4 gennaio.

Il professor Said Abdelwahed, insegnante di inglese all'Università Al-Azhar, scrive su Moments in Gaza [in]:

Husain al-Aiedy è un palestinese di 58 anni che vive a est di Gaza City. Da più di 25 anni vive nella stessa casa, che si trova nel mezzo di una radura verdeggiante. Lavora per l’ UNRWA [in: United Nation’s Relief and Works Agency for Palestine Refugees]. Attualmente vive in una stanza insieme ad altri venti familiari, e ai parenti di due suoi fratelli. Si sono rinchiusi in una stanzetta priva di elettricità, di acqua, di cibo o telefono. Intorno a lui non c'è null'altro che un campo di battaglia. La scorsa notte, alle 10:30, il signor Al-Aiedy si è trovato nel bel mezzo di un attacco, e un missile è caduto sulla casa, ferendo cinque familiari; ha cercato invano di far arrivare un'ambulanza per loro. Tutti gli sforzi per chiamare un'ambulanza per evacuare i feriti e, se possibile, tutta la famiglia, non hanno finora avuto alcun esito. Nel raggio di oltre un chilometro e mezzo è l'esercito israeliano ad avere controllo totale, così solo gli israeliani possono raggiungere Al-Aiedy. La situazione richiede un'azione immediata da parte delle organizzazioni umanitarie di tutto il mondo! A Gaza mancano elettricità ed acqua, mentre il cibo sta per terminare. Io riesco ancora a gestire un generatore a diesel per restare in contatto con il mondo. Le bombe ci piovono addosso come fosse una doccia. Sfortunatamente, Al-Aiedy si trova proprio nel bel mezzo della battaglia!

Il dottor Mona El-Farra, che al momento non si trova a Gaza, pubblica un messaggio di Mohammed Fares El Majdalawi da Jabaliya, a nord di Gaza City [in]:

Voglio parlare della sofferenza che la mia famiglia e il mio popolo stanno patendo in questi giorni. A casa ci mancano i beni primari, cibo, pane, gas. Ieri mio padre è andato dal panettiere alle cinque del mattino, e ha aspettato cinque ore per avere un pò di pane, che non basterà per la mia famiglia, composta da 11 persone. Oggi andrò da tutte le panetterie. Anche se forse non riuscirò a trovare niente perché saranno tutte chiuse. Io e la mia famiglia non riusciamo a metterci in contatto con parenti e amici per problemi con la rete telefonica, e ogni ora abbiamo un martire, o anche più d'uno, per i missili che continuano a pioverci su case, moschee e persino ospedali. Non c'è alcun posto sicuro dove rifugiarsi.

L'attivista canadese Eva Bartlett scrive su In Gaza [in]:

Dalla redazione nel centro di Gaza, non riesco a credere ai rumori delle esplosioni, pur se colpiscono l'area da dove sono appena arrivata, su cui hanno sparato per tutta la notte. Da qui il rumore assomiglia a… un enorme martello pneumatico che sconquassa la terra, intento a farla a pezzi. Da quello che ho visto la scorsa notte, dalle rovine che intravedo oggi, sembra sia proprio così. Bong. Bong. Bong. I colpi più forti fanno tremare anche quest'edificio, come se venisse attaccato da un ariete, eppure è solo l'impatto del riverbero dei colpi che si propaga per kilometri. Provate a immaginare come sia trovarsi a qualche centinaio di metri dai luoghi delle esplosioni. […] Ciò che mi colpisce ancora di più, più dei corpi mutilati e carbonizzati che ho visto due notti fa, più dell'intensità dei bombardamnti, che la scorsa notte ci hanno bersagliato tutt'intorno, o dell'idea che in qualsiasi momento potrebbero entrare le forze israeliane e spararci, è… il panico dipinto sui volti dei residenti. Il panico nella fuga, il panico nel tentativo di fermare un'ambulanza per qualcuno ferito o morto, il panico che assale persino i conducenti e il personale delle ambulanze. Loro ne hanno viste di tutti i colori, molti fanno questo mestiere da dieci anni, ma tutto ciò è assai peggiore di qualsiasi cosa abbiano finora visto o immaginato, a quanto mi dicono. Alle prime luci del mattino, mentre la nostra ambulanza prova a raggiungere un altro ferito, vedo gruppetti di donne, uomini e bambini che si portano appresso i pochi averi. Due bambini sugli otto anni, con la loro famiglia, stringono dei sacchetti di pane. […] Osama, un medico del pronto soccorso [in], mi chiama per sapere dove mi trovo. Abbiamo lavorato insieme due notti fa [in]. Credevo che non mi sarei trovata là, la scorsa notte, che mi sarei messa a scrivere. Ma l'emergenza ha prevalso, e così siamo usciti. Osama mi chiama per chiedermi dove sono e glielo dico, sto scrivendo, devo raccontare quanto succede alla gente, devono sapere, devono vedere cosa sta accadendo. Se solo poteste sentire questo fracasso, quest'odore, avvertirne le vibrazioni, avere un assaggio di questo terrore.

In un post successivo Eva Bartlett racconta [in]:

Ho ricevuto una chiamata mezzora fa, su una linea telefonica malridotta. Mi hanno detto che Arafat è morto, ucciso dal fuoco israeliano. Era uno dei medici del pronto soccorso che ho conosciuto due sere fa [in], compassionevole, emotivamente solido, con un senso dell'umorismo strampalato e intatto. La sua morte mi rattrista più di quanto riesca a esprimere.

Sameh Habeeb scrive su Gaza Strip, The Untold Story:

Gli ospedali locali stanno richiamando gli studenti di medicina, necessari per occuparsi dei feriti, il cui numero aumenta vertiginosamente. Contrariamente a quanto afferma Israele sul fatto di colpire i militanti di Hamas, la maggior parte delle vittime sono civili e ciò è ben ovvio negli ospedali di Gaza. Oggi sono stati uccisi circa 10 militanti, tutti gli altri erano persone comuni, che non avevano nulla a che fare con la milizia o col lancio di razzi.

Potete seguire gli aggiornamenti di Sameh Habeeb su Twitter: twitter.com/Sameh_Habeeb [in].

Laila El-Haddad, che attualmente si trova negli Stati Uniti e scrive su Raising Yousuf and Noor, pubblica un post intitolato “Trapped, Traumatized, Terrorized [in]”:

Ieri sera io e mio padre siamo comparsi entrambi sulla CNN americana e su CNN International. Mio padre si è espresso con calma ed eloquenza, con una Gaza sotto assedio e col buio di sfondo, le sole luci delle bombe israeliane a illuminarne il mondo. Le sue mani tremavano, ha confessato, mentre si sdraiava sul pavimento di casa, dove hanno sistemato i materassi lontani dalle finestre, con roboanti esplosioni che squarciavano il cielo tutto intorno a loro, illuminandolo in immense nubi di fuoco. […] L'altra sera mio padre ha provato a trasmettere un unico messaggio: continuiamo a sentir dire che Israele sta colpendo Hamas. La verità è che siamo NOI i bersagli, qui: i civili, non Hamas.

Questa mattina, un'intera famiglia di rifugiati è rimasta uccisa nel crollo di una casa in cui aveva cercato scampo dal fuoco israeliano. La loro morte non renderà Israele un posto più sicuro. La loro morte non fermerà il lancio dei razzi. Anche tre paramedici sono rimasti uccisi mentre cercavano di prestare soccorso ad alcuni palestinesi feriti, nel nord di Gaza. E ora la Associated Press segnala l'imminente collasso della rete telefonica di Gaza. Non so per quanto ancora riuscirò a comunicare con i miei genitori.

Il tedesco di origini egiziane Philip Rizk, che scrive su Tabula Gaza, ha pubblicato un sms ricevuto da S., un suo amico di Gaza [in]:

“Ho deciso di non lasciare questa casa, dovessi morire. Abbiamo deciso tutti di fare così: non ci trasferiremo un'altra volta.”

Vittorio Arrigoni è un attivista italiano che scrive su Guerrilla Radio [it]:

Livni dichiara al mondo che non esiste un’emergenza umanitaria a Gaza: evidentemente il negazionismo non va di moda solo dalle parti di Ahmadinejad. I palestinesi su una cosa sono d’accordo con la Livni, ex serial killer al soldo del Mossad [it], (come mi dice Joseph, autista di ambulanze): più beni alimentari stanno davvero filtrando all’interno della striscia, semplicemente perché a dicembre non è passato pressoché nulla, oltre la cortina di filo spinato teso da Israele. Ma che senso realmente ha servire pane appena sfornato all’interno di un cimitero? L’emergenza è fermare subito le bombe, prima ancora dei rifornimenti di viveri. I cadaveri non mangiano, vanno solo a concimare la terra, che qui a Gaza non è mai stata così fertile di decomposizione. I corpi smembrati dei bimbi negli obitori invece dovrebbero nutrire i sensi di colpa, negli indifferenti, verso chi avrebbe potuto fare qualche cosa. Le immagini di un Obama sorridente che gioca a golf sono passate su tutte le televisioni satellitari arabe, ma da queste parti nessuno si illude che basti il pigmento della pelle a marcare radicalmente la politica estera statunitense.

3 commenti

  • giottonini irene

    Non me la prendo con la popolazione inerme ma con i vostri governanti sono loro che vi hanno portato a tutto questo.Per non parlare della corruzione latente li avete eletti voi ed ora ne pagate le conseguenze,conscevate le ideologie di HAMMAS.Sia ben chiaro che non approvo quello che il popolo israeliano sta facendo(un vero massacro) roba da seconda guerra mondiale

  • rachid benmiloud

    non posso dire niente solo che queste israeliani sn naziste ansi sn peggio !li hanno prima amazzate con l’imbadgo senza cibo senza niente chi sn queste quoi hamas a vinto l’elezione con il voto del popolo di ghaza non vedo dove il problema, puoi lorrro non anno suportato la morte piano piano hanno cominciato a provocare la morte veloce cosi uno si more con dignieta o vincere o morire combatendo ma in questo conflito ssi possiamo chiamarlo cosi abiamo visto delle armi tipo fosforo chi sta lancindo israele su il popolo palestinese e delle armi chi sn ancora in prova li stanno provando su il popolo palestinesi un cosa che i governi stano a favore mentre gurdano cosa sta sucedendo e come di solito nn possono fare niente .per me scavez e un eroi e il popolo di ghaza a oferto i suoi bambini e le donne e vechieti come martire per vivere in liberta viva la palestina

  • PER CITTADINANZA E CULTURA SONO ITALIANA, ARABA DI ADOZIONE. CONOSCERE PROFUGHI PALESTINESI E PARLARE CON LORO, SI RIESCE A CAPIRE, COSA SI PROVA AD ESSERE CONDANNATI A VIVERE FUORI DAI PROPRI CONFINI. GUARDI I LORO OCCHI E VEDI LA SPERANZA DI UN GIORNO DI TORNARE A VIVERE NELLA PROPRIA TERRA, IN PALESTINA. IN MANO UNA CHIAVE, LASCIATAGLI DA SUO PADRE, DA SUO NONNO, CON LA SPERANZA DI POTER TORNARE UN GIORNO…

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