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Marocco: dieci anni sotto il regno di Mohammed VI

Categorie: Medio Oriente & Nord Africa, Marocco, Cyber-attivismo, Diritti umani, Governance, Libertà d'espressione, Media & Giornalismi, Politica, Protesta, Sviluppo

Nel luglio 1999, con l'ascesa al trono di Mohammed VI [1] [it] – uomo dalla supposta reputazione di benevolenza, empatìa e compassione verso i poveri – le aspettative di cambiamento e progresso erano tali che molti osservatori internazionali previdero l'inizio di un processo inesorabile, seppur tortuoso, che avrebbe portato il Paese verso un futuro prospero, liberale e democratico. L'esperienza esemplare della vicina monarchia di Spagna doveva servire da modello e caso di studio da applicare e imitare nel Paese. Era la primavera marocchina, nell'aria giravano chiaramente grandi aspettative e, a volte, alcune speranze stravaganti, in un Paese che usciva da decenni di spietata dittatura: i cosiddetti Anni di piombo [2] [it]. Si credeva che questa fosse una grossa occasione per il Marocco; l'opportunità storica di diventare il primo Paese arabo ad avviare un vero processo di democratizzazione con una netta separazione dei poteri e l'obiettivo di fondare istituzioni forti e indipendenti. Si dovevano chiudere i conti con un passato doloroso e tumultuoso; alla fine la gente si sarebbe riconciliata col potere e la monarchia. La stampa diventava sempre più libera; i tabù sociali venivano superati uno dopo l'altro.

Dieci anni dopo, il sentimento dominante è quello dell'opportunità mancata, uno scostamento dalla retorica ufficiale di un tempo e un repentino passo indietro, secondo quanto si legge questa settimana su blog e testate online, in occasione della commemorazione del primo decennio di reggenza di Mohammed VI.

Dieci anni in Marocco

Mentre si guarda con preoccupazione alle crescenti restrizioni imposte a stampa indipendente e cittadini-reporter, la testata online in lingua araba Hespress [3] [ar] pubblica [4] [ar] la traduzione in arabo di una lettera aperta inviata al Re da una firma storica del giornalismo nazionale, Khalid Jamaï [5] [fr]. Eccone uno stralcio:

سيدي،
تُطارد كلماتنا.
تُصلب جملنا.
يحاولون تقييد أفكارنا بالأغلال من خطوط حمراء.
تُسَفَّه كتاباتنا.
تُلاحق جرائدنا، أسبوعياتنا ومجلاتنا.
عدد منا عرف السجن وحتى بعض أشكال التعذيب.
كلنا أصبحنا تقريبا “سجناء” افي سراح مؤقت.

خصومنا، أعداء أي دمقرطة حقيقية في هذا البلد، يبدو أنهم وقعوا على قرار موتنا، وقد يكونون بصدد تنفيذه.
لكن إعدامنا لن يخفي الحقائق ولن يحل المشاكل التي تعاني منها بلادنا، بل على العكس من ذلك.
هذا الهجوم ضد حرية الصحافة والرأي ليس إلا دليلا إضافيا عن النقص في الديمقراطية التي يعاني منها البلد. بلد لم يعد شعبه يثق في شيء والذي أبان، خلال الانتخابات الأخيرة، عن رفضه لطبقة سياسية حولت المشهد السياسي المغربي إلى “سوق دلالة” مع “شانقيه”و سماسرته ووسطائه

سيدي،
أنتم تسودون وتحكمون.
ولقد اخترتم ملكية تنفيذية وصرحتم بذلك علنا.
اليوم، أنتم السلطة، وكالمالك الوحيد لهذه السلطة، نتوجه إليكم من أجل إيقاف هذا الهجوم العسفي وهذا الإضطهاد الذي يلاحق الصحافة المستقلة.
إننا لا نتسول امتيازا، بل نطالب بحق.

Sire,
Le nostre parole vengono braccate, le nostre frasi crocifisse, i nostri pensieri limitati da cosiddette linee rosse, i nostri scritti vengono dileggiati, quotidiani, settimanali e riviste trascinati in tribunale.
Alcuni colleghi sono stati arrestati e persino, in alcuni casi, torturati. Di fatto, siamo divenuti tutti “prigionieri”, in attesa di giudizio.

Sembra che i nostri detrattori, i veri nemici della democratizzazione di questo Paese, abbiano già decretato la nostra condanna a morte e stiano all'opera per eseguirla. Ma la nostra soppressione non cancellerà i fatti, né tantomeno risolverà i problemi che affliggono questa nazione; tutto l'opposto.
L'attacco alla libertà di stampa e d'opinione è l'ennesima dimostrazione del deficit di democrazia di questo Paese, il cui popolo ha perso fiducia, come ha dimostrato nelle ultime elezioni, bocciando una classe dirigente che ha trasformato la scena politica marocchina in “un'asta” spietata.

Signore,
Lei regna e domina e, come pubblicamente dichiarato, ha scelto una monarchia esecutiva. Oggi, Lei è l'unico depositario dell autorità e come tale Le chiediamo di porre fine agli assalti e agli attacchi nei confronti della stampa indipendente. Non imploriamo la concessione di un privilegio, rivendichiamo un nostro diritto.

La lettera ha innescato un acceso dibattito persino in ambienti filo-governativi e Hassouna, commentatore su Hespress, ha accusato Jamaï di opportunismo. Ecco cosa scrive:

حين كان الحسن الثاني رحمه الله يحاول بناء مغرب متقدم فعلتم كل شيء من أجل عرقلة المسيرة و بعد مجيء الملك محمد السادس نصره الله وأعطاكم الحرية التي تريدون ماذا وقع الكل يريد استغلال الوضع لصالحه المشكل في الناس وليس في الملكف .
Quando un anziano Hassan II [defunto padre dell'attuale monarca] cercò di costruire un Paese moderno, vi siete adoperati per sabotàre quel progetto. E quando Mohammed VI è salito al trono, che Dio sia con lui (sic), e vi ha dato la libertà che chiedevate, cosa avete fatto? Ne avete approfittato, ognuno di voi. Il problema sono le persone, non il regnante.

A onor del vero, gli ultimi anni di reggenza di Mohammed VI sono stati caratterizzati da un'improvvisa riduzione della libertà di stampa. All'inizio di questo mese, 20 riviste di spicco hanno pubblicato editoriali in bianco, come ha raccontato The View from Fez [6] [in], per protestare contro “la sentenza pronunciata ai danni di tre quotidiani in lingua araba e un mensile di economia in francese, tutti condannati per diffamazione” del leader libico Muammar Gaddafi, che andrà anche risarcito. La notizia della sentenza ha diffuso costernazione e scoramento nella blogosfera marocchina. Nibrass A'shabab, un blog collettivo per giovani scrittori marocchini, ha pubblicato questa [7] [ar] vignetta di Saad Jalal [8] [ar] in cui il premier marocchino si congratula piuttosto servilmente con il leader libico:
– Deve essere contento Sire, abbiamo disciplinato quei quotidiani che osavano scrivere sulla sua onesta persona.
E Gheddafi risponde:
– Ci sputo sulla stampa marocchina!

Abass con Gheddafi, vignetta di Saad Jalal [8]

Anche Badr Al Hamri [9] [ar], nettamente contrario al verdetto, condivide il link a un video in cui Ahmed Snoussi, umorista di lungo corso e attivista marocchino, si prende gioco del leader libico (riservando alcuni strali al presidente tunisino).

In un Paese dove il potere giudiziario è troppo legato a quello legislativo ed esecutivo, la sentenza è stata considerata da alcuni osservatori e dalla Federazione Nazionale della Stampa [10] [ar] l'ennesimo passo indietro, un'ulteriore estensione di quelle ‘linee rosse’ finora applicate “soltanto” alla monarchia, al conflitto nel Sahara Occidentale [11] [it] e all'Islam, ma che adesso includono le critiche ai dittatori stranieri amici del regime marocchino.

La corruzione è stato un tratto distintivo di questo decennio. The Snipers [I Cecchini], nome affettuoso dato loro dai colleghi blogger, si sono fatti notare girando dei video [12] [ar] che mostrano agenti della polizia urbana prendere tangenti, pubblicandoli in rete ed esponendo così un problema che affligge il Paese da anni e, apparentemente, costringendo il governo a prendere provvedimenti.

Eatbees [13] [in], un americano tornato a visitare il Marocco dopo tre anni, pubblica le proprie riflessioni di viaggio sull'evoluzione della società marocchina sotto il nuovo monarca, concludendo che i pochi progetti avviati sono stati scarsi e in ritardo. Il nuovo regime sta semplicemente rimpiazzando quello precedente. Il blogger scrive quanto segue:

Nonostante l'ardente desiderio di cambiamento dei marocchini, nulla è mutato, e non c'è nemmeno l'intenzione di farlo in futuro. Piuttosto,[…] sembra che una nuova generazione di arrivisti sia stata allevata per sostituire quella precedente.

Larbi [14] [fr] ha lanciato l'idea di una piattaforma, invitando i colleghi blogger a riflettere sull'ultimo decennio e mettendo a disposizione le proprie pagine per i contributi più interessanti. Mentre cominciano ad arrivare i primi timidi post, Mounir Bensalah [15] [fr] elabora un'analisi critica ma particolarmente equilibrata secondo cui la resa dell'opposizione avrebbe consentito l'instaurarsi di un governo di stampo autoritario, pur se con qualche risultato in termini di progresso. Ecco cosa si legge:

Aujourd’hui, alors que le règne de Mohamed VI perd sa qualité de « nouveau » après dix ans, les choix du souverain semblent être décidés : Renforcer les infrastructures du pays, renforcer les pôles économiques régionaux, œuvrer dans une politique sociale, renforcer l’image moderne du Maroc à l’étranger, … quant à la démocratie, la séparation des pouvoirs, l’équité sociale, … ils sont en seconde priorité. Modernité économique,[…] … la modernité politique serait reportée sine die!

Oggi, dopo 10 anni di reggenza e con la monarchia priva del suo tratto di novità, le scelte del regnante sembrano chiare: potenziare le infrastrutture, sviluppare poli economici regionali, progettare una politica sociale, rafforzare l'immagine moderna del Marocco all'estero … e così la democrazia, la laicità dello stato e la giustizia sociale … diventano temi secondari. La modernità in termini economici, … quella politica può attendere!

Larbi ha anche pubblicato [16] [fr] un contributo di Mostapha Arrifi che esprime un sentimento diffuso nella blogosfera. Il blogger sostiene che il livello di progresso raggiunto non andrebbe valutato al netto di quelli che dovrebbero essere i doveri naturali di uno Stato che proclama benevolenza verso la popolazione. Il blogger scrive:

[L]es plus optimistes d’entre nous préfèrent voir du coté des réalisations à caractère économique et « social ». Des projets d’infrastructure, parfois très ambitieux, ont été ouverts et certains menés à terme pour être soigneusement exhibés aux actifs du « nouveau » règne. On s’en félicite au point de s’en satisfaire comme réponse suffisante aux attentes énormes héritées de l’ère Hassan II. Mais est-ce vraiment le cas ? un pareil sentiment n’est-il pas le résultat d’une longue absence de vraie politique de développement qui a fini par faire oublier une notion simple selon laquelle le développement n’est pas un acte d’aumône, mais plutôt un droit, une traduction simple du rôle « naturel » de l’Etat qui a le devoir de gérer équitablement les richesses du pays et l’argent du contribuable au profit de tous ? Or la résignation, fruit d’une longue tradition de pratiques antidémocratiques et antisociales, fait que le devoir s’est transformé en acte de bienfaisance dont on se vente jour et nuit comme s’il s’agissait d’une générosité qui nous impose une dette morale envers l’Etat et son sommet.

I più ottimisti tra noi preferiscono vedere il bicchiere mezzo pieno dei risultati economici e “sociali”. Sono stati attivati ambiziosi progetti di infrastrutture, alcuni realizzati appositamente a beneficio del “nuovo” regno. Ci scambiamo complimenti e ci sentiamo soddisfatti, come se fosse una risposta adeguata alle enormi aspettative accumulatesi durante il regno di Hassan II. Ma stanno proprio così le cose? Un tale sentire non è piuttosto dimostrazione della totale assenza della benché minima politica di sviluppo sociale, che ha stravolto il concetto stesso di sviluppo, definito come un diritto e non un atto caritatevole, e rappresentato dal ruolo “naturale” dello Stato, quello cioé di gestire equamente la ricchezza del Paese e i soldi dei contribuenti a beneficio di tutti? La rassegnazione, risultato di una lunga tradizione di pratiche anti-democratiche e anti-sociali, ha trasformato [questi doveri] in atti caritatevoli di cui siamo orgogliosi, sempre, come se fosse generosità elargita dall'alto, un debito morale nei confronti dello Stato e del suo Capo.

Sono trascorsi ormai dieci anni da quando un giovane e promettente monarca arabo prese il posto del padre sul trono alawita del Marocco. Dieci anni in cui la gente ha continuato a sperare in un cambiamento radicale. Tuttavia mentre i blogger marocchini cercano di rivalutare il periodo di reggenza dell'attuale monarca – alcuni criticandolo aspramente, altri evidenziandone i “successi” – sembra esserci un denominatore comune: il forte appetito per un futuro migliore.