Twitter in Iran tra mito e realtà

Nel raccontare i movimenti di protesta in Iran, le testate internazionali hanno ampiamente celebrato [in] il ‘Twitter power', quello cioé che avrebbe aiutato gli attivisti a organizzare manifestazioni e diffondere comunicati, ma in questa crisi l'uso di Twitter ha prodotto risultati sia positivi che negativi. Questa rassegna ne prende in esame alcuni per ridimensionarne l'impatto concreto.

Non c'è alcun dubbio sul fatto che i partecipanti alle proteste post-elettorali di giugno abbiano utilizzato in maniera eccellente [in] strumenti quali Twitter, Facebook, YouTube e i blog per ‘immortalare' il movimento e rivelare i soprusi perpetrati dalle forze di sicurezza, ma il cuore di tale movimento è la gente non la tecnologia.

Mentre ai giornalisti veniva impedito di fare il proprio mestiere informando l'opinione pubblica internazionale assetata di notizie dall'Iran, i citizen media hanno spesso rappresentato una fonte primaria d'informazione. Purtroppo a volte si sono nutriti dei forti dubbi circa l'identità e l'affidabilità degli utenti di Twitter, arrivando anche a casi in cui il confine tra finzione e realtà sembrava dissolto – ma d'altronde potremmo dire lo stesso delle presidenziali iraniane.

1-Mezzo di comunicazione per leader riformisti

Dopo le elezioni del 12 giugno parecchi siti filo-riformisti sono stati filtrati. Le forze di sicurezza hanno innalzato il livello di controllo sui quotidiani e arrestato alcuni esponenti di spicco dell'area riformista, mentre a quelli ancora liberi veniva impedita la partecipazione a programmi di radio e televisione di Stato. Internet è così diventata l'unico canale di comunicazione verso l'esterno. Sulla pagina di Facebook [in] il movimento a sostegno di Mir Hussein Mousavi conta oltre 100.000 simpatizzanti. Su Twitter [in], invece, il profilo della campagna ha circa 30.000 follower. Ghloamhussein Karbaschi, consigliere speciale di Mehdi Karroubi [it], riformista e terzo candidato alle presidenziali, pubblica via Twitter gli aggiornamenti per i suoi 5.000 contatti. Twitter, Facebook e testate online come Ghlamnews [fa] hanno contribuito a comunicare le decisioni dei leader riformisti e diffonderne i messaggi.

2-Ponte fra Iran e resto del mondo

I tweet iraniani sono ormai diffusi a migliaia in tutto il mondo e sembra che seguendo e rilanciando su Twitter la gente si senta coinvolta. Per giorni l'argomento più cercato [in] su Twitter è stato il tag #iranelection [in] (l'“hashtag” per le discussioni sull'Iran) e persino le testate internazionali proponevano informazioni e immagini prese su Twitter. Secondo Bloggasm, i tweet provenienti dall'Iran vengono rilanciati con una media di 57.8 volte [in].

3-Twitter non organizza le dimostrazioni:

Sono i leader riformisti e i loro sostenitori a organizzare le proteste e diffondere messaggi usando diversi mezzi di comunicazione. Non abbiamo alcuna prova che i manifestanti abbiano usato Twitter per comunicare e organizzare le manifestazioni. Come sostiene Evgeny Mozrov, ricercatore presso l'Open Society Institute di New York [in], in un'intervista al Washington Post:

“[Twitter] è stato fondamentale per la trasmissione di informazioni all'esterno del Paese. Ma non è altrettanto certo che sia stato impiegato anche per organizzare le proteste — ipotesi sostenuta dalla maggior parte dei media—, poiché come piattaforma pubblica non si presta particolarmente alla pianificazione di una rivoluzione (volendo le autorità possono leggere tali messaggi!).”

4-I tweet possono disinformare:

Nei giorni scorsi un utente ha pubblicato su Twitter [in] una notizia secondo cui 700.000 persone si erano riunite presso la moschea di Ghoba a Tehran. La cosa è stata rilanciata da altri utenti, alcuni dei quali l'hanno persino pubblicata sui propri blog [in]. Nel frattempo le stime comunicate dai media internazionali sulla stessa manifestazione fornivano cifre tra le 3.000 e le 5.000 persone. Cosa sarà successo agli altri 695.000?

Su Twitter Journalism [in], il sito di Craig Kanalley, fondatore di Breaking Tweets [in], si legge quanto segue [in]:

“È ovvio che la gente voglia informazioni dall'Iran, e anche in tempo reale. Non ci vuole molto a premere il tasto ‘Invia’ rilanciando le notizie che si ritengono probabili “scoop”. Ma c'è forse qualcuno che verifica tali informazioni?
Sì, è colui che rilancia la notizia dopo qualche breve istante di considerazione. Chiunque legga un retweet dovrebbe tenerlo a mente e trattare con prudenza qualsiasi messaggio fino all'arrivo di una conferma.”

5-Il tweet ricicla notizie e consigli

La maggior parte degli utenti ha rilanciato quanto trovava altrove nella Rete, condividendo consigli utili e informazioni [in] per aiutare gli iraniani a eludere il filtraggio e la censura online. In definitiva l'uso dei messaggi su Twitter consente di creare un un ampio bacino d'informazione.

6-Fraintendere il mittente:

Tavolta alcuni 'mittenti', per esempio gli iraniani residenti in Occidente, ricevono da qualche fonte la notizia di una dimostrazione e la rilanciano senza verificarne l'attendibilità, oppure omettendo la fonte. I destinatari – specialmente se non iraniani – possono pensare che l'autore si trovi a Tehran e scriva dalla prima linea.

7-Attivismo e agenda:

Gli utenti iraniani di Twitter sono in gran parte sostenitori e attivisti del movimento di protesta e delle sue istanze. Le loro informazioni dovrebbero essere controllate più volte e non accettate acriticamente, come fossero testimonianze oculari.

Una volta considerati questi elementi appare chiaro come Twitter possa essere fonte di informazione e strumenti di propaganda allo stesso tempo. Ma ciò che conta sono le persone dietro quegli schermi, così come quanti ne diffondono messaggi.

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