- Global Voices in Italiano - https://it.globalvoices.org -

Haiti: “Siamo nati tutti otto giorni fa”

Categorie: Caraibi, Haiti, Citizen Media, Disastri, Governance, Interventi umanitari, Ultim'ora

8 giorni dopo il devastante terremoto del 12 gennaio [1] [en] che ha catturato l'attenzione di tutto il mondo su Haiti, con un bilancio delle vittime ancora poco chiaro, continuano gli sforzi di soccorso a Port-au-Prince e in altre aree. Una forte scossa di assestamento  [2] nelle prime ore al mattino del 20 gennaio è stata allarmante per tutti, ma ha causato relativamente pochi nuovi danni. Molti haitiani hanno riversato immediatamente la loro attenzione su questioni di sopravvivenza e gli operatori di soccorso sulla raccolta di provviste di cibo, acqua e medicinali per le comunità bisognose.

A detta di alcuni, la sensazione era quella che il terremoto rappresentasse una svolta decisiva nella storia di Haiti, come fosse una sorta di riavvio. Come ha detto l'utente Twitter @yatalley [3] (Yael Talleyrand) :

Sono nato otto giorni fa… anche Haiti ha solo otto giorni… siamo nati tutti otto giorno fa: abbiamo di fronte a noi un futuro da costruire. [4]

Altri haitiani che hanno pubblicato aggiornamenti online hanno espresso la loro frustrazione nel modo in cui venivano condotti i soccorsi e in cui venivano trasmesse le informazioni. Su Twitter, @carelpedre [5] (il giornalista radiofonico Carel Pedre) ha chiesto una serie di domande, “Le domande di base” [6]:

1 : Chi è incaricato nella distribuzione di cibo, acqua e medicinali? [7]

2 : Cosa farà il governo con gli aiuti umanitari? [8]

3 : Quando inizierete a distribuire correttamente gli aiuti? [9]

4 : Dove possiamo andare a prendere cibo e acqua? [10]

5 : Perchè dopo 8 giorni il presidente non ha ancora parlato ufficialmente alla nazione? [11]

6 : Come potete chiederci di essere pazienti nell'attesa se siamo tutti affamati e assetati e abbiamo perso tutto? [12]

Ha aggiunto:

Spero che i giornalisti rivolgeranno queste domande al PM o al Presidente nei loro prossimi incontri. [13]

@Jcastera [14] (Jean-Marc Castera) ha espresso sentimenti simili: [15]Sarebbe bello se qualcuno si facesse carico della situazione e delineasse i piani per il futuro…” [15] L'ansia ha preso il sopravvento anche su chi non ha avuto grandi rischi sulla propria sicurezza.  [16]Ho bisogno che tutto questo finisca, non ce la faccio più, sto impazzendo,” [16] ha scritto @yatalley.

Parallelamente agi sforzi ufficiale, molte piccole organizzazioni si sono occupati dell'assistenza dei feriti e degli affamati. Sul blog Livesay [Haiti] , l'assistente di beneficenza Tara Livesay ha descritto [17] un tentativo straordinario (che è riuscito nel suo intento) di portare i feriti gravi in una clinica medica ad hoc su una nave ospedale della marina degli Stati Uniti:

Tutto ad un tratto, un elicottero è arrivato dal nulla e ha girato in cerchio per una paio di volte…poi è entrato in picchiata, atterrando proprio di fronte a noi. Due militari dell'elicottero si sono avvicinati dicendo che avrebbero potuto prendere quattro persone. Abbiamo scelto in quattro che erano in condizioni peggiori. Poi dissero “Torneremo tra circa dieci minuti o poco più.” Non credevamo ai nostri occhi. Sono ritornati… e ritornarono ancora. Tre viaggi sulla nave per la gente di Simon Pele…. Questa mi è sembrata giustizia.

Un altro operatore di beneficenza, padre Marc Boisvert di Pwoje Espwa, ha visitato la prigione principale di Port-au-Prince e ha scoperto una crisi [18]:

Due terzi della prigione è distrutta. Ci sono buchi nelle pareti esterne e nel tetto che i prigionieri usavano per evadere…. Bisogni immediati: cibo, vestiti, cure per il primo soccorso, articoli per l'igiene personale. I prigionieri rimasti sono rinchiusi in condizioni disumane in quattro celle. È  terribile!

“Ci sono dai 60 ai 70 prigionieri in ogni cella, il che è del tutto disumano” [19], ha aggiunto in un secondo momento. La sua organizzazione si occupava del cibo da consegnare alla prigione [20], dove i detenuti hanno aiutato con la distribuzione [21].

A Jacmel, a sud di Port-au-Prince, l'assistente di beneficenza Gwen Mangine, la cui organizzazione si è occupata per molte ore della distribuzione delle provviste in arrivo alla pista di atterraggio della città [22], si è presa un momento per riflettere sul ritmo dei loro sforzi [23]:

Sappiamo che non è un ritmo sostenibile. Lo riconosciamo. Sappiamo anche che ci troviamo in un momento critico nella vita della nostra comunità e, per qualsiasi motivo, Dio ci aiuta ovunque andiamo….  possiamo davvero metterci tutti all'opera lavorando sodo durante queste prime due settimane per avviare i sistemi e processi sul campo. Dopo di che, mi aspetto che faremo più turni, riprendendo con i giorni di ferie. Sappiamo che questo progetto intrapreso è senza fine.

In molte aree, i bisogni urgenti continuano a superare gli aiuti disponibili. @troylivesay [24] (assistente di beneficenza Troy Livesay, con sede a Port-au-Prince) ha osservato: [25]Sembra che qualsiasi area in cui entriamo abbia una città fatta da tende e teli in cui i gravemente feriti non hanno ricevuto alcuna cura.” [25] Ha comunicato [26] che stava guidando tra le montagne al confine con la Repubblica Dominicana per raccogliere le provviste. Come ha spiegato [27] in seguito sua moglie Tara sul blog Livesay [Haiti] :

… per qualsiasi motivo i colossi non aiutano le piccole OGN con le provviste, quindi abbiamo dovuto provvedere noi e abbiamo trovato aiuti. È evidente che la politica e i livelli alti stiano provocando un ritardo nel fornire risposte adeguate. Nonostante questo sia  scoraggiante, ci siamo uniti a piccole ONG in modo da trovare un modo per farci sentire dalle grandi organizzazioni di soccorso. Questa è una ‘degaje net’. (‘Degaje’ è una parola in creolo che significa ‘fallo funzionare’, mentre ‘net’ è la parola in creolo che significa ‘fino in fondo’).

Al suo ritorno a Port-au-Prince, Troy Livesay ha detto: [28]Tornare in una città così tranquilla di notte è stato spaventoso,” [28]“L'ONU sta controllando e limitando i movimenti delle forze armate americane…non facendole uscire la sera. Sono sicura che i Marines non siano spaventati” [29]

@RAMhaiti [30] (ilmusicista e albergatore Richard Morse) ha espresso dei commenti taglienti sulla politica degli aiuti:

Gli aiuti e la dispersione degli aiuti SONO un fatto politico. L'esperienza dice che la politica non si ferma mai. Qual famiglie stanno ricevendo gli aiuti? [31]

Sono stato portato a credere che le operazioni di ricerca e di soccorso siano la priorità dei cittadini statunitensi [32]

Non fraintendetemi, sto parlando di quello che ho sentito. Ricerca e soccorsi sono ancora qui, e questo è un buon segno.Sono uscito due volte con loro. [33]

Non sono amareggiato. Sto cercando di delineare un quadro generale di tutto quello che sta succedendo, quindi faccio domande. Fare domande migliora i risultati.  [34]

Nel frattempo, molti report dei media internazionali comunicano che la violenza per le strade stia ostacolando i soccorsi. HaitiAnalysis.com ha pubblicato [35] un articolo dell'emittente britannica Andy Kershaw che contesta quest'informazione:

Questa supposizione che ci sia una minaccia alla sicurezza è rimasta incontrastata dall'esercito di stampa straniera, chè è altrettanto estranea ad Haiti e al carattere dei suoi cittadini. Di fatti, i giornalisti televisivi in particolare, avendo esaurito le possibilità televisive delle macerie, hanno parlato di “sicurezza”, “malcontento” e “violenza”, quando tutte le prove disponibili dimostrano il contrario.

@troylivesay ha espresso pensieri simili sul campo: “Abbiamo visto poca violenza, o nessuna. Sta accadendo in aree e incidenti isolati. Qui anche ora c'è meno violenza e ci sono meno crimini rispetto alle principali città statunitensi.” [36]

Il giornalista canadese Nico Jolliet, membro di una squadra che ha archiviato rapporti e ha pubblicato video con licenza Creative Commons in un sito web chiamato Inside Disaster [37] , ha fatto visita ad un campo chiamato “Santa Teresa, sulle colline sopra Port-au-Prince, dove di sono rifugiati tutti quelli le cui case erano state distrutte o danneggaite. “Ci devono essere circa 4.000 persone lì dentro,” ha scritto [38]:

Il caldo è insopportabile sotto i teli improvvisati e le lenzuola delle tende, soprattutto con la gente che cucina lì sotto.

Ma la cosa sorprendente è il modo in quanto sia tenuto tutto bene, considerando che non ci sono latrine, smaltimento di rifiuti o altro…. La gente è amichevole, i bambini giocano, le donne lavano i panni in vasche di plastica e cucinano le rimanenze sulle stufe a carbone. Si prendono cura dei feriti nel miglior modo possibile… eppure non hanno ricevuto nessun aiuto. Ho visto solo un medico haitiano che lavorava con piccole scorte di medicinali recuperate da casa sua. Dopo aver vissuto questa terribile esperienza, pare che siano tutti uniti per resistere.

Il suo video [39], pubblicato su YouTube, include un intervista con una donna che, pur ammettendo di aver quasi esaurito le scorte di cibo, sembrava quasi determinata, in modo allegro, nel sapere che la sua famiglia ce l'avrebbe fata in qualche modo.

La pagina di copertura speciale di Global Voices sul terremoto in Haiti è qui [40].