Per la prima volta l'Uruguay ha commemorato la “Giornata della Nazione Charrúa e dell'Identità Indigena”. L'11 aprile 2010 è stato ricordato ciò che accadde 179 anni fa, quello che alcuni uruguaiani definiscono un massacro, e altri genocidio del popolo Charrúa di Salisipuedes [sp] (“Salisipuedes” in inglese vuol dire “vattene se puoi”). Durante la carneficina dell'11 aprile 1831, 40 Charrúas [it] vennero uccisi e 300 fatti prigionieri; a perpetrare il massacro fu il primo presidente dell'Uruguay, Fructuoso Rivera, come raccontato nel blog Nordeste Montevideo [sp]. Il post scende nei dettagli dei momenti successivi al massacro:
Los prisioneros son trasladados a Montevideo en condiciones infrahumanas; los hacen caminar días y días hasta la capital. Los hombres encarcelados, vendidos o muertos después del cautiverio; mujeres y niños entregados como servidores a las familias patricias de Montevideo
La legge che ha consentito a questo giorno della memoria di diventare realtà è stata approvata lo scorso anno e, come spiega Mario Delgado Gerez del sito La República [sp], riconosce la lotta portata avanti dai Charrúas contro i poteri imperialisti che cercavano di conquistare la terra che oggi gli uruguaiani considerano casa propria:
La aprobación de la flamante Ley que declara al 11 de abril de cada año “Día de la Nación Charrúa y la identidad indígena” se convierte además de un reconocimiento histórico a los hechos sucedidos en 1831, en un acto de justicia póstuma para los que generosamente ofrecieron su vida por nuestra tierra, libertad y dignidad en una resistencia de más de 300 años contra los imperios invasores de la época.
Il blog Abrecabezas [sp] ripropone l'articolo sopra menzionato tratto da La República, ricevendo vari commenti in riferimento alla nuova legge. Uno di questi viene da un utente del blog Nuevo Espacio en Lavalleja [sp]:
Me alegro enormemente que se haya recoonocido ofialmente ese genocidio, para cambiar realmente debemos saber qué es lo que hay que cambiar; y sin duda alguna, tener presente estas barbaridades, nos ayuda en ese sentido.
Tra gli altri, sulla pagina di Facebook Nación Charrúa [sp] anche Dana Nunñez [sp] interviene sulla questione:
Los cambios si no nacen de cada uno de los Uruguayos y Uruguayas no vale la pena ser impuestos. Creo que es parte de la dignidad CHARRUA tener lo que se les ha negado pero por derecho y esto tenemos que reconocerlo. Son nuestras RAICES y es el único legado que hay que defender.
Alcuni Charrúas vivono ancora in Uruguay e cercano di conservare le proprie tradizioni in un Paese che criticano non solo per lo sterminio di allora, ma per averli dimenticati finora.
Una famiglia Charrúa racconta la sua storia, una storia di discriminazioni subite per cose semplici come registrare all'anagrafe i nomi dei loro due figli. Al momento di registrarne la nascita, hanno dato un nome indigeno a uno dei loro figli (sp, Itanú, che significa “roccia a cui batte il cuore”), ma l'impiegato lo ha rifiutato perché presumibilmente non ne rendeva riconoscibile il genere. I genitori hanno lasciato l'ufficio con l'avvertimento che qualora non avessero registrato il piccolo entro 10 giorni, gli sarebbe stato assegnato un nome a caso.
In una lettera pubblicata sul blog El Muerto [sp], la famiglia scrive delle discriminazioni subite in un Paese da cui sentono di essere stati abbandonati:
En el Uruguay en que vivimos actualmente, late la discriminación y la xenofobia. Pero aún es más increíble y no deja de asombrar la desmemoria. Porque olvidamos todo muy fácilmente, pues así como olvidamos horrores y terrores de nuestra historia más reciente olvidamos injusticias más antiguas. Olvidamos que el mismo estado uruguayo en su estado fundacional comete el primer acto de terrorismo de Estado, comete genocidio para con el Pueblo Charrúa, comete etnocidio, linguicidio y culturicidio.
La lettera è firmata da “Itanú, Yrupé, Jasymimbí, Evelyn e Tacuabé. Comunidad Charrúa Basqüadé Inchalá” (comunità Charrúa Basqüadé Inchalá).
Susana Andrade offre una breve opinione sul giornale online Diario Uruguay [sp], ricordando il genocidio e legandolo alla vicenda di Itanú. Riallacciandosi a quanto altri avevano scritto sulla pagina di Facebook Nación Charrúa, [la netizen] ha affermato che pur con la modifica della legge, consentendo così ai genitori di dare ai figli il nome che desiderano, quello di cui c'è bisogno è un profondo cambiamento nel modo di pensare e nel sentire comune della gente:
Al parecer se buscaría modificar la ley que deja a la valoración -subjetiva inevitablemente- del funcionario de turno, si los nombres propuestos por los responsables del niño o niña que se va a anotar, son “correctos o incorrectos”. De todas formas y para mal, el sentimiento racista no ha cambiado mucho en los corazones y en las mentes de cierta parte de la población. En tanto esto no suceda, es al cuete legislar si no nace el respeto desde la barriga.
Apparentemente si è cercato di modificare la legge così da lasciare all'impiegato in servizio il giudizio — inevitabilmente soggettivo — sull'adeguatezza o meno dei nomi proposti dagli adulti responsabili del bambino o della bambina da registrare. In ogni caso, e nel modo peggiore, il sentimento razzista non è cambiato molto nei cuori e nelle menti di una certa parte della popolazione. Finché non saranno le persone stesse a cambiare, ogni legge sarà inutile.
Il termine “Charrúa” è generalmente usato come soprannome per la squadra di calcio nazionale e il detto “garra charrúa” indica coraggio, forza e perseveranza; ma per molti la conoscenza di questa comunità indigena non va oltre i riferimenti di questi termini popolari. Senza dubbio questa nuova giornata celebrativa aumenterà la consapevolezza e insegnerà agli uruguaiani qualcosa sulla comunità indigena dei Charrúa e sull'eredità che rappresentano per il Paese. Gli uruguaiani che hanno a cuore i Charrúa e quanti sostengono la nuova legge che commemora l'11 aprile come il “Giorno della Nazione Charrúa e dell'Identità Indigena”, ritengono che tale legge sia un passo piccolo ma significativo; per costoro il vero successo sarà raggiunto solo quando ogni uruguaiano accetterà e abbraccerà con orgoglio la propria eredità indigena.