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Africa francofona: 50 anni d'indipendenza ma la “maledizione straniera” continua…

Categorie: Africa sub-sahariana, Europa occidentale, Medio Oriente & Nord Africa, Algeria, Benin, Camerun, Chad, Costa d'avorio, Francia, Gabon, Libia, Madagascar, Mali, Mauritania, Senegal, Togo, Ambiente, Citizen Media, Economia & Business, Politica, Relazioni internazionali, Sviluppo

Quest'anno l'Africa francofona celebra i 50 anni d'indipendenza. In occasione dell'anniversario, si è svolto di recente a Nizza il summit Africa-Francia [1] [fr]: i rapporti spesso tumultuosi tra la Francia e le sue ex colonie sono di nuovo alla ribalta. Numerosi africani si chiedono ad alta voce cosa ci sia da celebrare, dato il livello mediocre dello sviluppo raggiunto in molti Paesi dopo l'indipendenza.

Le numerose manifestazioni di sdegno sono accomunate da una lamentela ricorrente: il continente africano è effettivamente ricco di risorse naturali ed è ancora afflitto, senza un'apparente via d'uscita, dal fenomeno conosciuto come “maledizione del petrolio”. Sono in molti a ritenere che gli interessi stranieri non siano estranei nell'alimentare tale maledizione.

In una prospettiva economica, l'Africa ha certamente tratto beneficio dalla rapida espansione delle commodity [2] [it] nell'ultimo decennio, ma non in misura così significativa in rapporto alle previsioni. In un rapporto per la rivista Mckinsey Quarterly dal titolo “What drives Africa's growth?” [3] [en, Qual è il motore dello sviluppo africano?], gli autori affermano che:

Il petrolio è salito da meno di 20 dollari al barile nel 1999 a più di 145 dollari nel 2008. I prezzi dei minerali, del grano e di altre materie grezze sono ugualmente schizzati verso l'alto sull'onda della crescente domanda globale. [..] Tuttora le risorse naturali hanno generato soltanto il 32% del prodotto interno lordo dell'Africa dal 2000 al 2008.

Perché l'Africa non ha beneficiato in misura maggiore delle sue risorse? Molti africani direbbero che la diretta presenza degli interessi internazionali nello sfruttamento di tale risorse e la mancanza di trasparenza dei relativi accordi, non portano allo sviluppo degli Stati africani. In un dossier su FranceAfrique per Focus on Africa, Stephen Smith evidenzia i legami particolari [4] [en] tra la Francia e il continente nero:

Ebbene, dal momento in cui è entrato in carica, il Presidente Sarkozy ha dato seguito alla tradizione francese consolidata nel tempo di una diplomazia parallela in Africa.
Un gruppo designato di consiglieri presiede in pubblico agli affari ufficiali con l'Africa, mentre lo staff di alto livello dell'Eliseo, insieme a intermediari non ufficiali, è responsabile di quella politica remunerativa e altamente personalizzata che Sarkozy ha denunciato durante la campagna presidenziale.
I media francesi denunciano regolarmente le promesse non mantenute e la nuova prospettiva di vita conferita alla Francafrica.
La collusione dell'élite della Francafrica è diventata un anacronismo, in contraddizione con la nuda realtà del progressivo disimpegno francese – governativo e privato – con gli ex territori a sud del Sahara.

La maledizione del petrolio è il tema più citato nelle regioni francofone ma di certo non è il solo. In una recente inchiesta per The Africa report, Norbrook si chiede chi sia il vero proprietario del petrolio africano [5] [en]:

Questo “mondo nuovo” del petrolio africano è stato modellato dall'aumento dei prezzi, tale da rendere la costosa fase di ricognizione un rischio che vale la pena di correre. Il passaggio all'offshore, reso possibile dal progresso tecnologico, richiede un considerevole impegno finanziario – il noleggio della nave trivella che ha scoperto il giacimento di petrolio del Ghana costa circa un milione di dollari al giorno.
Un'altra dinamica importante è stata l'incremento della competizione con le compagnie cinesi e indiane che sono entrate nella cordata delle maggiori società europee e statunitensi. Laddove la produzione di petrolio è stata controllata tradizionalmente da una élite ristretta il cui monopolio è stato visto come dannoso, i nuovi attori hanno facilitato le trattative dei governi.

Mappa del petrolio africano [6]

Mappa del petrolio africano, da Theafricareport.com

Il blogger Achille da Antananarivo, Madagascar, ha seguito da vicino la crisi politica nel suo Paese: ecco come collega i tumulti locali con la maledizione del petrolio [7] [fr]:

On a tous cherché la cause de cette crise, mais on oublie que c’est le pétrole qui a lancé les offensives. Tous les autres évènements tels que le pillage des forêts, le banditisme, l’accroissement de la pauvreté ne sont que les conséquences. La Francafrique a commencé à bouger dès qu’on a entendu les premières études positives sur le pétrole sans compter les autres ressources qui attirent d’autres pays. Je viens de me rendre compte qu’on est cerné par les multinationale, les canadiens au sud, les chinois vers Soalala et évidemment Total, le grand ami des pays en développement et des dictateurs de pacotille ! Et nous, on est là comme des cons à regarder le train qui transporte notre pognon loin vers l’horizon ! Quand j’ai vu le chiffre de 100 millions pour une concession pétrolière, je me suis dit qu’enfin la stupidité avait enfin atteint son sommet avec nos dirigeants.

Tutti siamo in cerca delle cause di questa crisi, eppure ci dimentichiamo spesso che il petrolio è l'elemento scatenante di tutti i disordini. Tutti gli altri eventi, come il saccheggio della foresta nazionale, i crimini di Stato, la povertà sempre in aumento, sono soltanto prodotti derivati. I membri della lobby per la Francafrica hanno cominciato a muoversi non appena hanno sentito che c'erano risorse petrolifere da sfruttare, senza escludere di certo altri tipi di risorse interessanti per loro e per altri Paesi.
Mi sono reso conto che siamo circondati dalle multinazionali: le canadesi nel Sud, le cinesi a Solala e ovviamente la Total, grandi amiche dei Paesi in via di sviluppo e degli aspiranti dittatori. Nel frattempo, ce ne stiamo qui a guardare le nostre risorse spedite chissà dove! Quando ho visto un contratto da 100 milioni per una concessione petrolifera, mi sono detto che la stupidità ha raggiunto la massima potenza presso i nostri dirigenti.

Negli anni Settanta, il petrolio è stato considerato come il passaporto per un rapido sviluppo. È stato il caso dell'Algeria, della Libia e dell'Iraq, dice Passion-histoire. E spiega come tale speranza si sia dissolta [8] [fr] in un batter d'occhio:

Dans les années 1970, grâce la rente pétrolière, l’Algérie, la Libye et l’Irak paraissaient engagés dans un processus de modernisation accélérée. Le pétrole était la bénédiction qui permettrait à ces États de rattraper leur « retard » économique.
L’Algérie était un « dragon en Méditerranée », la Libye un « émirat » et l’Irak « la puissance militaire montante » du monde arabe. Sur le plan politique, le socialisme progressiste laissait penser que des transformations profondes s’opéraient : émancipation de la femme, urbanisation, scolarisation, augmentation de l’espérance de vie…
Quelques décennies plus tard, la désillusion est cruelle. Le sentiment de richesse a entraîné ces pays dans des expérimentations voire des impasses politiques, économiques et militaires aux conséquences désastreuses dont ils peinent encore à sortir.

Nel 1970, grazie alla rendita petrolifera, Algeria, Libia e Iraq davano l'impressione di aver innescato un rapido processo di modernizzazione. Il petrolio è stato la benedizione che avrebbe permesso agli Stati di ristabilirsi da un punto di vista economico. L'Algeria è stata il “dragone del Mediterraneo”, la Libia l'“Emirato”, e l'Iraq “la potenza militare in ascesa” del mondo arabo. Da un punto di vista politico, il socialismo progressista aveva fatto credere a molti che andavano realizzandosi profonde trasformazioni strutturali: emancipazione femminile, urbanizzazione, scolarizzazione, lunghezza della vita…
Qualche decennio più tardi, la disillusione è stata cocente. La sensazione è che i ricchi abbiano trascinato quei Paesi in sperimentazioni sfociate in vicoli ciechi a livello politico, economico e militare che hanno portato disastrose conseguenze da cui stentano a uscire.

In risposta alla celebrazione dei 50 anni d'indipendenza, Faustine Vincent scrive che le nazioni africane sono poco propense a inviare dei resoconti [9] [fr]:

Mais, au final, le cinquantenaire embarrasse tout le monde. Côté africain, «les pays auraient dû en profiter pour faire un bilan d’étape. Ce n’est pas le cas, assure Boubacar Boris Diop, écrivain sénégalais. Certainement parce qu’ils n’ont pas lieu d’en être fiers».

Alla fin fine, questa celebrazione del cinquantenario è proprio imbarazzante per tutti. Da parte dell'Africa, “si trattava di un'opportunità per tirare le somme sui percorsi intrapresi finora. Ma non è andata affatto così, scrive Boubacar Boris Diop, uno scrittore senegalese. Certo, non hanno nulla di cui andare fieri”.

Da parte della Francia, l'amministrazione Sarkozy continua a esprimere la volontà di dissociarsi dal modo di agire delle amministrazioni precedenti. Come riportato da Sarah Halifa-Legrand, questo concetto è stato espresso in termini piuttosto espliciti da Alain Joyandet [10] [fr], segretario di Stato francese alla Cooperazione:

…[La France] se montrant “prêt à laisser tomber l’Afrique si son pays n’y trouve pas son compte”. Dans la bouche d’Alain Joyandet, cela donne : “Ne pas avoir peur de dire aux Africains qu’on veut les aider, mais qu’on veut aussi que cela nous rapporte”

[La Francia] è pronta a “lasciar perdere l'Africa, se il Paese non ne vede l'utilità”. Dalla bocca di Alain Joyandet: “Non dobbiamo aver paura di dire agli africani che vogliamo aiutarli, ma che deve uscirne qualcosa anche per noi.”

In Gabon, l’Association Survie nota che, a dispetto dei disordini dell'ultimo anno, la Total ha fatto proprio bene i suoi interessi nel 2010 [11] [fr]:

Elle a publié un résultat net de 42 millions d’euros au titre du premier trimestre 2010, en hausse de 109% par rapport à la même période en 2009.

Total ha riportato un utile netto di 42 milioni di euro nel primo trimestre del 2010, ovvero un incremento del 109% rispetto allo stesso periodo del 2009.

Infine, Arimi Choubadé di Quotidien Nokoue in Benin pubblica una nota sarcastica, chiedendoci di immaginare come si sarebbe stati meglio con la Francia se solo questa avesse potuto “mantenere” i suoi legami privilegiati con i Paesi dotati di maggiori risorse naturali [12] [fr]:

Imaginez une France partenaire privilégié d’une Côte d’Ivoire forte de son cacao ; d’un Gabon, d’un Congo, d’un Tchad, d’un Cameroun voire d’une Mauritanie dopés par l’exploitation du pétrole ; d’un Mali, d’un Bénin et d’un Burkina Faso en pôle dans la production de coton ; d’un Togo transfiguré par les ristournes du phosphate; et d’un Niger comblé par l’exploitation de l’Uranium. Cela éviterait à Sarkozy sa posture actuelle de puissance mitigée.

Immaginate la Francia con una partnership privilegiata con la Costa d'Avorio e la sua abbondanza di cacao, con il Gabon, il Congo, il Chad, il Camerun e pure la Mauritania sostenute nella crescita economica dal petrolio; con il Mali, il Benin e il Burkina Faso e il loro cotone, con il Togo trasformato dai suoi giacimenti di fosfati e il Niger con la sua riserva di uranio. Ciò avrebbe evitato a Sarkozy di starsene lì in mezzo senza sapere che pesci prendere.