Marocco: le complessità di lingue e culture nel quotidiano vissuto

Charlotte è un'antropologa che, da un anno e mezzo a questa parte, si dedica alla raccolta dati sul campo in Marocco. Come spiega lei stessa, questa ricerca si incentra sul “ruolo svolto dalla complessità del multilinguismo nella vita quotidiana locale.” Il Marocco è infatti un vasto Paese plurilingue: i marocchini parlano darija, il dialetto arabo locale, inframmezzato con il francese e l'arabo standard (Fus'ha). Nel Nord e in alcune zone del Sud, c'è ancora chi parla spagnolo, retaggio del breve interesse coloniale della Spagna per questo territorio. Altri parlano Tamazight, Tashelheit, o Chleuh, dialetti berberi generalmente malvisti dalle forze marocchine che mirano all'arabizzazione. E va prendendo piede anche l'inglese, insegnato in tutte le scuole pubbliche del Paese.

Recentemente Charlotte ha inserito sul suo blog un testo di prossima pubblicazione sulle sue prime esperienze con il darija, dove racconta di una volta in cui, mentre stavo esercitandosi nell'uso delle parole darija con delle apposite carte, venne sorpresa dalla sua sorellastra:

“Vedi? Dovrebbe esserci una alif lunga qui, tra la lam e la qaf,” [3]  mi corresse. “Così.” Prese la penna e aggiunse alla parola sulla carta il lungo tratto verticale a cui corrisponde la lettera alif. Rimasi confusa, poiché mi avevano insegnato la corretta grafia del termine in questione quello stesso pomeriggio. Ma Manal continuò con la seconda carta: anche in questo caso, disse che la parola era scritta in maniera sbagliata e aggiunse un'altra alif mancante. Rimasi ad osservarla, piuttosto confusa.

Continuò così con diverse altre carte. Per ogni alif che aggiungeva, Manal sospirava sempre più profondamente, mentre mi sentivo ancora più perplessa. Alla fine, si girò verso di me. Incredula, mi chiese: “È questo che t'insegnano??”

Poi, improvvisamente, capii: doveva aver dato per scontato che io stessi imparando il fusha, o l'arabo standard moderno, invece che il dialetto marocchino. “Aspetta un attimo!”, esclamai con slancio, sollevata per aver finalmente individuato la causa del fraintendimento. “Queste parole non sono in fusha, ma in darija,” spiegai, sperando così di chiarire la situazione.

Ma lei si limitò a guardarmi in silenzio. Il punto interrogativo sulla sua fronte non sembrava volersene andare, finché alla fine, con un misto di sorpresa e disgusto, esclamò: “Stai imparando il darija? Perché mai? Il darija è cattivo, non è buono!”

In realtà, esistono parecchie differenze tra il fusha e il dialetto marocchino.

Il fusha, o arabo standard moderno, è la versione contemporanea dell'arabo coranico. Pur essendo la lingua franca del mondo arabo, non rappresenta per nessuno la lingua nativa. Come accade in tutti i Paesi arabi, la lingua della comunicazione quotidiana in Marocco è un dialetto, una forma di arabo trasformata dalla prova del tempo, da influenze straniere e dai processi modificatori propri dell'evoluzione linguistica. I marocchini chiamano ‘Darija’ il loro particolare dialetto e la sua deviazione più evidente dal Fusha (oltre all'aggiunta di parole prese in prestito dalle lingue francese e berbera) è senza dubbio la pronuncia. A un orecchio non allenato (e a quello dello studente principiante), potrebbe sembrare che alle parole del dialetto marocchino manchino tutte le vocali – cosa che spiegherebbe perché Manal abbia diagnosticato un deplorevole difetto di alif nella grafia dei termini su quelle carte.

In un altro post, Charlotte illustra il complicato rapporto dei marocchini con la Francia e il francese, citando la paziente di un istituto di salute mentale marocchino dove stava conducendo delle ricerche:

Secondo Nadia, la causa della sua malattia è la cultura marocchina. La depressione nasce dall'asfissia: un caso di soffocamento  dovuto all'insormontabile pressione atmosferica delle tradizioni culturali e dei tabù. Ha vissuto per qualche anno in Francia, e la ricorda come un luogo arioso e luminoso, privo di tentativi di opprimerla. La spessa coperta invernale della tristezza non piombò su di lei finché non ritornò alla sua terra natìa, 15 anni fa. Perciò mi chiedo se la sua preferenza per il francese non possa essere semplicemente dovuta al suo bisogno di respirare. Forse parlare arabo – una lingua indelebilmente collegata e perciò soggetta agli obblighi marocchini della proprietà (comunicativa) – la fa sentire come se stesse respirando aria priva di ossigeno. Forse il francese è la sua via di fuga, uno spiraglio nel tessuto a trama stretta del codice morale; un palloncino pieno di elio che la solleva fuori dalla portata delle aspettative di genere del Marocco.

A dispetto dei suoi sentimenti verso la lingua araba, comunque Nadia parla francese anche perché, piuttosto semplicemente, ha usato quella lingua a scuola. Dopo aver frequentato istituti francesi in Marocco, aver ottenuto una laurea in Medicina e trascorso la vita tra i circoli sociali delle élite marocchine, non c'è da stupirsi se Nadia si esprime con maggior facilità in francese piuttosto che in arabo.

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