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Messico: i blogger commentano le dimissioni dell'Ambasciatore USA travolto dalle rivelazioni di Wikileaks

Categorie: America Latina, Messico, Citizen Media, Politica, Relazioni internazionali

Carlos Pascual, ambasciatore degli Stati Uniti d’America in Messico, ha annunciato le proprie dimissioni [1] [es, come gli altri link tranne ove diversamente segnalato] il 19 marzo 2011, dopo aver suscitato la rabbia del Presidente messicano Felipe Calderón [2] [it] per aver reso noto tramite l’Ambasciata il contenuto di alcuni documenti confidenziali divulgati poi anche da WikiLeaks.

La decisione è stata resa pubblica dal Segretario di Stato USA, Hillary Rodham Clinton, che ha riconosciuto il lavoro svolto dal diplomatico in territorio messicano su tematiche di importanza vitale per le relazioni bilaterali tra i due Paesi come il commercio, l’energia, i diritti umani e la lotta ai cartelli della droga [3] [en].

Carlos Pascual, Ambasciatore degli USA in Messico [4]

Carlos Pascual, foto ripresa da Flickr con licenza Creative Commons BY-SA 2.0)

Le reazioni dei blogger all’annuncio non si sono fatte attendere. Per Jaime Alejandro Rosales D. [5] le dimissioni di Pascual hanno a che fare con la diffusione dei documenti da parte di Wikileaks, e riflette su ciò che potrebbe accadere qualora venissero resi noti anche i dossier usati dai servizi pubblici messicani nell’esercizio delle proprie funzioni:

El retiro del embajador de Estados Unidos en México, Carlos Pascual, anunciado ayer, es uno de los saldos de las revelaciones de Wikileaks. En ese sentido cabe preguntarse cuántos de nuestros funcionarios, incluido el propio Felipe Calderón, dejarían de ser confiables para la ciudadanía y tendrían que renunciar si la opinión pública conociera los análisis, motivaciones y maneras que utilizan para ejercer el poder y controlar, cuando no para manipular, a la población.

Le dimissioni dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Messico, Carlos Pascal, annunciate ieri, sono una conseguenza delle rivelazioni di Wikileaks. Dovremmo perciò domandarci quanti dei nostri funzionari, compreso lo stesso Felipe Calderon, meriterebbero ancora la fiducia della popolazione e quanti dovrebbero invece dimettersi se l’opinione pubblica venisse a conoscenza delle analisi, delle motivazioni e degli strumenti da questi utilizzati per esercitare il potere e controllare, se non addirittura manipolare, la popolazione.

Altrove, sul blog El Chahuistle [6], piuttosto che giudicare la relazione tra le dimissioni dell’ambasciatore, i documenti divulgati e la conseguente pressione del Governo messicano, l'utente “immorfo” ritiene essersi trattato esclusivamente di una “azione unilaterale” da parte degli USA, che verrà strumentalizzata dal partito politico del Presidente Calderon (il Partito Azione Nazionale, o “PAN” [7] [it]) per farla passare come un successo delle proprie dichiarazioni e delle attività di lobbying. Lo stesso autore, però, non eista a definire queste ultime “irrilevanti”:

Descripciones que seguro provocaron la diminuta ira del paracaidista de Los Pinos pero sin la sustancia suficiente para provocar un despido como el de Pascual; al contrario, esto es unaacción unilateral de Estados Unidos ante la cual los panistas tratan de hacerla un logro meritorio de sus gimoteos, pero el que Calderón haya considerado que es “difícil” trabajar con el ahora ex embajador es eso, un gimoteo hueco sin repercusión.

Descrizioni che sicuramente hanno provocato l’ira [dell'inquilino] de Los Pinos (residenza del Presidente) ma ciò non è sufficiente a provocare le dimissioni, come nel caso di Pascual; al contrario, si tratta di un’azione unilaterale degli Stati Uniti che i membri del partito PAN vogliono far passare come un successo raggiunto grazie alle proprie pressioni. Eppure, il fatto che Calderon abbia considerato “difficile” lavorare con l'ormai ex ambasciatore non è che una lamentela sterile, senza conseguenze.

Restando in tema, alla luce del contenuto dei documenti divulgati, Martha Anaya [8] trova difficile comprendere la rabbia del Presidente Calderon;  gli ambasciatori che lo avevano preceduto erano stati costretti a discutere temi sensibili che, all'epoca, riflettevano in pieno l'andamento della situazione nel Paese. Tra queste comunicazioni rese note ve ne erano addirittura alcune che erano state divulgate dagli stessi diplomatici. E’ il caso di Jeffrey Davidow (in carica da agosto 1998 a settembre 2002). Anaya interviene sulla questione:

Según le dijo Calderón al Washington Post, una de las cosas que más le molestó fue ver plasmado en los cables que en el Ejército Mexicano le tenían “aversión al riesgo”, o que no son suficientemente valientes, cuando han perdido probablemente unos 300 soldados.¿Qué escribió Davidow al respecto en su libro “El oso y el puercoespín” (Grijalbo 2003)? Va un párrafo (las negritas y subrayados van por mi cuenta):

“Todos los días, oficiales policiacos, agentes del ministerio público y jueces son amenazados e incluso asesinados. Zonas enteras de ciertos estados están dominadas por los narcotraficantes donde el imperio de la ley no las afecta y las fuerzas del orden temen entrar en ellas.”

Secondo quanto dichiarato da Calderon al Washington Post, una delle cose che più lo avrebbe infastidito sarebbe stato leggere sui documenti ufficiali che l’Esercito messicano era “avverso al rischio”, o non era sufficientemente coraggioso, quando invece hanno perso circa 300 soldati.

Cos’ha scritto Daviow su questo tema nel suo libro “L’orso e il porcospino” (“El oso y el puercoespín”, edizioni Grijalbo 2003)? Eccone di seguito un estratto:

“Ogni giorno, ufficiali di polizia, agenti del Pubblico Ministero e giudici vengono minacciati e assassinati. Nelle zone di alcuni Stati interamente dominate da narcotrafficanti, le leggi non hanno alcun valore e le forze dell’ordine non osano entrarvi”.

E più avanti prosegue:

Vuelvo a citar a Davidow:

“Para los políticos mexicanos ha sido tradicionalmente benéfico que los vean infligir cierto daño a Estados Unidos. Por lo general, la agresión –que suele ser muy retórica y rara vez real—se controla; hay un puñetazo contundente en el ojo, más que un golpe en el cuerpo”.

Pedirle al Presidente Obama que retirara a su Embajador en México no cae precisamente en el campo de la “retórica”, pero sí resulta contraproducente en términos diplomáticos.

Así que sigo sin entender la ira de Calderón hacia Pascual. Al menos, no por las razones que esgrimió ante el Post.

Citando di nuovo Davidow:
“È stato un vantaggio per i politici messicani che il pubblico abbia visto infliggere un danno simile agli Stati Uniti. In generale, l’aggressione – che è solitamente retorica e quasi mai reale – è sotto controllo; è come un pugno in un occhio, più che un ferita viva”.

Chiedere al Presidente Obama di ritirare il suo Ambasciatore in Messico non è propriamente “retorica”; piuttosto, risulta controproducente in termini diplomatici.

Ecco perché non comprendo la rabbia di Calderon nei confronti di Pascual. Almeno, non in base alle motivazioni da lui esposte al Washington Post.

Le reazioni dei blogger all’annuncio del Segretario Clinton in relazione alle dimissioni di Pascual sono state molte e disparate; in ogni caso, al 29 marzo 2011, giorno in cui è stato scritto questo post (10 giorni dopo l’annuncio ufficiale delle sue dimissioni), Carlos Pascual ricopre ancora il ruolo di ambasciatore degli USA in Messico, notizia riportata anche sul sito ufficiale [9] [en] dell'Ambasciata statunitense.