Tutti l'abbiamo sentita almeno una volta, magari vedendo una stanza sottosopra o persino come battuta in una serie televisiva: l'espressione sarcastica “sembra Beirut” è diventata un cliché molto diffuso per descrivere una situazione di estremo caos o devastazione.
Un tempo conosciuta come “la Parigi del Medio Oriente”, Beirut ha visto la sua reputazione deteriorarsi in seguito alla guerra civile libanese del 1975 – 1990 [it], che ha effettivamente ridotto la città a un cumulo di macerie e ne ha associato l'immagine a quella di un campo di battaglia.
Vent'anni dopo e nonostante la completa ristrutturazione del centro di Beirut, il cliché continua a sopravvivere in diverse parti del mondo suscitando il fastidio di buona parte dei suoi abitanti e dei libanesi in generale.
È per questo motivo che, a fine giugno, il titolo di un articolo apparso sul quotidiano australiano The Age che faceva uso della famigerata frase, ha suscitato scalpore tra i blogger e gli utenti di Twitter libanesi.
L'articolo, intitolato “Strada di periferia ridotta come il centro di Beirut da sparatoria e lancio di bombe incendiarie” [en, come gli altri link tranne ove diversamente indicato], fa riferimento ad uno scontro a fuoco che apparentemente ha visto coinvolte delle gang rivali di libanesi residenti in Australia. Il cliché sul “centro di Beirut” è stato utilizzato da un testimone oculare residente nel quartiere ed in seguito riportato dal quotidiano The Age per lanciare la notizia in modo sensazionalistico.
Questa scelta ha suscitato le ire di vari netizen libanesi che su Twitter si sono espressi in questo modo:
@LebAgg: Non ci sono più sparatorie e bombardamenti a #Beirut, @LebanonNewsURS mostra com'è veramente il centro di Beirut :) http://bit.ly/j5W3kN
@khaladk: Strada (#street) di periferia ridotta come il ‘centro di #Beirut‘ dopo sparatoria (#shooting) e lancio di bombe incendiarie (#firebombing): http://t.co/0cr5ghR Benvenuti a #Melbourne! Che diamine (#WTF)! Libano (#Lebanon)
@matthewteller: @justimage @antissa è risaputo che i titoli principali e catenacci tendono a non avere alcun collegamento con gli articoli. Succede sempre. Questo è un esempio lampante.
@justimage: @matthewteller @antissa è vero ma gli editori sono soliti aggiungere riferimenti fuorvianti ai titoli principali? Risulta anche più oltraggioso se si considera la nutrita comunità libanese in Australia
La vicenda ha richiamato l'attenzione anche del blogger libanese Jad Aoun, residente a Beirut, che si è dato come missione quella di rintracciare i media di tutto il mondo che usino la frase “sembra Beirut” con una connotazione negativa.
Per sradicare l'errata e ormai obsoleta associazione di Beirut con la guerra, Aoun ha istituito il Premio “Sembra Beirut”, un certificato che viene conferito e spedito alle persone che fanno uso del cliché.
Aoun sta tenendo il conto del numero di volte in cui si imbatte nel sarcastico “sembra Beirut”:
Date un'occhiata all’archivio e rendetevi conto di quante persone paragonano Beirut alla devastazione. Dal gennaio 2009 ad oggi la frase è stata usata più di 120 volte e non ho ancora finito il conteggio!
Non c'era alcuna possibilità che Aoun passasse sopra l'uso del cliché da parte del quotidiano The Age e si lasciasse sfuggire l'occasione di conferire un certificato “Sembra Beirut” sia al testimone oculare della vicenda di cronaca – di cui si conosce solo il nome di battesimo, Andrew – e al giornalista che ha scritto l'articolo, Paul Millar:
E visto che non ci è dato sapere il cognome di Andrew e che non ci sono ulteriori informazioni su di lui, gli farò recapitare il certificato “Sembra Beirut” attraverso il giornalista Paul Millar. Anche Paul riceverà il suo certificato in segno di ringraziamento per il meraviglioso titolo che ha scelto per il suo articolo.
Aoun ha inoltre pubblicato uno scambio di e-mail con Paul Millar, il giornalista di The Age, in merito all'uso della frase denigratoria su Beirut
Caro Paul,
grazie per averci illuminato su com'è “il centro di Beirut” – noi blogger libanesi pensiamo che il tuo più recente articolo sia estremamente lusinghiero. Tanto che ho deciso di inviarti (via posta tradizionale) un certificato “Sembra Beirut” in riconoscimento del tuo duro lavoro e impegno nel mantenere in vita il vecchio cliché “Sembra Beirut”. So che è stato Andrew l'anonimo a fare il commento sarcastico, ma il fatto che tu l'abbia incluso nel titolo del tuo articolo, la dice lunga sul tuo attaccamento al cliché.
Dato che Andrew ha deciso di rimanere nell'ombra, ti sarei grato se potessi trasmettergli il suo certificato. Qualora tu fossi interessato a vedere com'è veramente il centro di Beirut ai nostri giorni, sul mio blog ho messo a disposizione delle foto.
A breve dovresti ricevere i certificati per posta.
Ed ecco la risposta del giornalista:Salve, come ho spiegato al tuo amico, non spetta ai reporter il compito di assegnare i titoli agli articoli. Spero che questo serva a chiarire il malinteso.
Sono io o c'è una mancanza di coerenza tra la mia e-mail e la sua risposta? Paul, mi scuso se non ho letto il mansionario del tuo lavoro, avrei dovuto sapere che tu non ti occupi dei titoli. Voglio dire, presumo che i titoli debbano essere gestiti da persone più responsabili. Nonostante questo, i certificati sono già stati spediti anche se mi aspetto che tu li getti nel cestino della carta straccia non appena arriveranno sul tuo tavolo.
In precedenza le campagne condotte attraverso i social media si sono rivelate efficaci per cambiare il modo in cui le persone percepiscono la realtà. L'impegno di Aoun per informare coloro che non sono ancora consapevoli della trasformazione di Beirut gli è valso il plauso della blogosfera libanese, che non sopporta più i riferimenti alla guerra. Aoun è pronto a spedire tutti i certificati che saranno necessari per raggiungere il suo scopo. Per il momento, Paul Millar dovrebbe ricevere quello che gli spetta nei prossimi giorni.