Già da prima che l'incidente di Fukushima [en, come gli altri link eccetto ove diversamente indicato] rendesse evidente la rischiosa situazione dell'industria nucleare giapponese, per lungo tempo i lavoratori impegnati saltuariamente nelle centrali nucleari non hanno dato importanza ai rischi di quella professione.
Takeshi Kawakami (川上武志) è uno di questi cosidetti ‘zingari del nucleare’ e come diversi altri colleghi, per circa 30 anni ha girato per i diversi impianti nucleari del Paese vivendo di contratti a breve termine. Per anni si è guadagnato lo stipendio aiutando a riparare o a sostituire parti danneggiate nei reattori nucleari e portando a termine operazioni pericolose per l'alto rischio dovuto all'esposizione alle radiazioni.
Nel suo blog [ja], Kawakami ora denuncia la corruzione e la collusione tra il governo e l'industria nucleare, studiando in modo particolare l'impianto nucleare di Hamaoka, chiuso recentemente in seguito alle richieste governative di urgenti riparazioni. L'impianto era stato giudicato pericoloso, dato che si trova su una delle faglie sismiche più grandi dell'arcipelago giapponese.
Nell'estratto del post di cui sotto [ja], pubblicato il 26 dicembre scorso e tradotto con autorizzazione dell'autore, costui racconta la sua esperienza come lavoratore temporaneo quando entrò per la prima volta in un generatore di vapore nella centrale nucleare di Genkai [it], nella parte meridionale del Paese.
Ho lavorato nella centrale nucleare di Hamaoka per poco più di 5 anni, ma ho conosciuto anche altri impianti. Prima di Hamaoka, negli anni '80, quando avevo 30 anni, ho lavorato per circa 10 anni in una centrale nucleare vicina a casa. A quell'epoca non lavoravo in un unico posto. Mi spostavo da una centrale all'altra. Ultimamente le persone che fanno questo tipo di lavoro vengono definite “zingari dell'atomo”, con un certo disprezzo, e in quel periodo io ero uno di loro.
Due anni dopo aver iniziato la vita randagia di uno zingaro, sono entrato per la prima volta nell'edificio che contiene il generatore di vapore. In quel periodo stavo lavorando alla centrale nucleare di Genkai nella provincia di Saga. [Nota: all'interno della centrale esiste un edificio di contenimento, che contiene il nucleo e il generatore di vapore].
Il generatore produce il vapore che mette in moto le turbine, le quali a loro volta accendono i generatori di tutta la centrale. Il livello di radioattività nell'edificio è altissimo se paragonato a quello delle altre zone della centrale. Il mio lavoro consisteva nell'entrare nel generatore e installare un robot che avrebbe permesso di verificare qualsiasi tipo di danno esistesse nel generatore.
Dunque, quel giorno venni sostituito da un altro lavoratore che entrò nel generatore di vapore per installare il robot. Una volta completata l'installazione, risultò che il robot non poteva rispondere ai comandi che gli venivano dati dall'esterno. C'erano molti buchi di piccole dimensioni nelle pareti della parte centrale del generatore di vapore e le sei (credo fossero sei) ‘gambe’ del robot, manovrate tramite comandi a distanza, dovevano poter operare un controllo attraverso quei buchi. L'addetto che aveva il compito di supervisionare l'installazione concluse che si era verificato un errore nel posizionare correttamente le gambe del robot.
Se le ‘gambe’ non sono inserite nel modo corretto e il robot viene lasciato in quella posizione, potrebbe cadere in qualsiasi momento. Ciò comporterebbe la perdita di uno strumento di precisione, il che significa buttare via molte centinaia di milioni di yen. Il mio compito, ricevuto con pochissimo preavviso, era quello di entrare nel generatore per riportare il robot alla sua posizione corretta prima che si verificasse qualsiasi tipo di incidente. Per prima cosa indossai l'attrezzatura per entrare nell'edificio in un punto vicino al generatore di vapore. Due colleghi mi aiutarono nella preparazione. In cima ai due strati di vestiti da lavoro indossai anche una tuta di protezione predisposta dalla Japanese Society for Non-Destructive Inspection [JSNDI] e mi sorprese molto il fatto che nonostante la zona fosse altamente radioattiva, loro indossassero solamente dei normali abiti da lavoro. Non avevano neanche le maschere. Quello dei due che sembrava dare gli ordini mi chiamò e dopo avermi fissato attraverso la maschera, annuì un paio di volte. Credo che solo guardandomi negli occhi si fosse convinto che io fossi in grado di gestire l'operazione nel nucleo.
Entrammo nel generatore di vapore insieme. Fu la prima volta che vidi un generatore con i miei occhi. Mi sembra avesse una forma sferica o ovale, più o meno 3 metri di diametro (può darsi non ne ricordi esattemente le dimensioni), e era collocato più in alto rispetto alla griglia su cui ci trovavamo noi. La base del generatore di vapore arrivava all'incirca all'altezza delle mie spalle, a poco meno di 1,50 mt. Alla base si trovava una botola, aperta, e capiì subito che avrei dovuto arrampicarmi per entrarci.
Il rappresentante del JSNDI mi mise un braccio attorno alle spalle e ci dirigemmo insieme verso la botola. Guardammo oltre il bordo e lo scrutammo. All'interno era molto buio e l'aria era densa e stagnante. La sensazione era che dentro ci fosse qualcosa di sinistro. Impallidii. Inziai ad avere paura. Man mano che mi avvicinavo alla botola sentivo una specie di fischio nelle orecchie e il desiderio sempre più forte di fermarmi. Quando guardai all'interno vidi che il robot era attaccato alla parete che mi aveva indicato il dipendente del JSNDI. In realtà non era esattamente attaccato e per questo motivo mi avevano inviato lì. L'atmosfera all'interno era orribile e dovetti combattere contro me stesso per non cedere all’ impulso di andarmente all'istante. Non avevo nessuna intenzione di entrare ma non ero nella posizione di poter dire di no.
Il robot aveva una forma quadrata, misurava circa 40 cm ogni lato e 20 cm in profondità. Lo chiamavano ‘robot ragno’. L'impiegato JSNDI si affacciò sul bordo della botola, con un terzo del viso dentro, e mi spiegò dettagliatamente cosa avrei dovuto fare. All’ epoca c'era poca coscienza di quali pericoli ci fossero per i lavoratori che si esponevano alle radiazioni, ma in ogni caso mi preoccupava il gesto dell'impiegato che aveva guardato nella botola insieme a me ma senza nessun tipo di protezione.
Continuò a osservare l'interno, senza maschera e mi ricordo di essermi chiesto se non avesse paura. Io ero coperto completamente dalla testa ai piedi mentre lui non portava neanche una semplice maschera. […]
Dopo aver ricevuto la spiegazione molto dettagliata del lavoro da fare all'interno, era giunto il momento. Mi accovacciai di fianco alla botola vicino a una scala portata all'interno e l'impiegato del JSNDI mi fece un segno affermativo. Mi alzai in piedi, salii sulla scala e con una spinta infilai la testa nella botola. In quel momento sentì un cerchio che mi stringeva la testa. D'improvviso qualcosa iniziò a pulsarmi nelle orecchie. Combattendo la paura, misi la mano sul bordo della botola e mi spinsi con tutto il corpo all'interno. Il pulsare nelle orecchie si fece ancora più forte.
Un addetto disse che non appena entrato in un reattore nucleare aveva iniziato a sentire il rumore di un granchio che si muoveva. “zawa,zawa,zawa…” Aggiunse di aver continuato a sentire quel suono anche dopo aver finito il lavoro. Perfino una volta arrivato a casa, dopo l'ispezione, non era in grado di scacciare dalla mente quel suono. Finì per avere un crollo nervoso. Uno scrittore che venne a conoscenza di questa storia gli parlò e ne ricavò un romanzo giallo basato sulla sua esperienza. Il titolo del libro è “Il granchio del reattore nucleare”, pubblicato nel 1981 e piuttosto famoso ancor'oggi.
Io non ho mai sentito quel tipo di rumore, ma avevo la sensazione che la mia testa venisse stritolata e sentivo un suono acuto che assomigliava a un sutra, “gan, gan, gan”. Quando entrai nel generatore di vapore mi alzai in piedi di colpo e il casco toccò il soffitto. Dovetti perciò piegare il collo e prendere entrambe le braccia del robot nell'oscurità dello spazio. “OK” gridai. Così avevo liberato il robot e i suoi piedi saltarono fuori dal buco. Il robot non era così pesante come pensavo. Dopo aver collocato correttamente i suoi piedi nei buchi gridai un'altra volta “OK”. Nel buio, una volta verificato che tutti i piedi fossero nei loro rispettivi buchi diedi il segnale di OK e saltai fuori dalla botola. […]
[Una volta] fuori ero quasi in stato di shock, ma guardai il misuratore delle radiazioni che segnava un valore di 180 contro un massimo di 200. In soli 15 secondi ero stato esposto a un livello incredibilmente alto di radiazioni, 180 millirem [it] . A quell'epoca si usava il ‘millirem’ come unità di misura mentre adesso è diverso. Oggi tutti usano il sievert [it]. In quell'occasione il mio lavoro di ispezione durò circa 1 mese. In seguito lavorai in un altro reattore nucleare, ma anche in quella seconda occasione non riuscii a sconfiggere la paura e fui vittima degli stessi suoni spaventosi.