Negli ultimi giorni, più di 250mila israeliani [it] sono scesi in strada, a Tel Aviv così come in altre città, per protestare [en, come tutti i link tranne ove diversamente indicato] contro i rincari su abitazioni e alimenti. I manifestanti hanno tratto ispirazione dalla Primavera Araba, sfoggiando cartelli in caratteri arabi ed ebraici recanti la scritta “Vattene. L'Egitto è qui” e intonando l'ormai noto slogan “al-shaab yurid” (il popolo vuole) con l'aggiunta di una parte in ebraico, “tzedek chevrati” (giustizia sociale).
Su Twitter sono molti gli egiziani a seguire le proteste, ricorrendo in alcuni casi a un hashtag denigratorio (#ThawretWeladElKalb, “rivoluzione dei figli di cane”) che ha scatenato un intenso dibattito da entrambi i lati.
L'israliana Elizabeth Tsurkov, delusa, commenta:
@Elizrael: Da spezzare il cuore: mi collego a Twitter dopo la manifestazione e scopro che gli arabi commentano il #j14 con l'hashtag anti-semita #ThawretWeladElKalb
E aggiunge:
@Elizrael: Mentre noi chiedevamo l'uguaglianza e la fine dell'occupazione, su Twitter gli arabi chiamavano #j14 “la rivoluzione dei figli di cane”. Terribile.
Al di là del confine, i pareri sono contrastanti: se alcuni difendono l'hashtag, altri lo ritengono offensivo. La palestinese Abla Awadallah, per esempio, chiede di rivedere la storia del conflitto israelo-palestinese prima di giudicare razzista l'hashtag, mentre Nabil Kabalan si prende gioco di quella che considera una protesta organizzata in una terra che non è la propria:
@cold0shoulder: Esclusiva israeliana: manifestare in un territorio occupato che appartiene ad altri.
Come Ramy Zreik [ar], Comr4da teme che le proteste possano risolversi nella costruzione di nuovi insediamenti nei territori occupati:
@Comr4de [ar]: الى المعاتيه اللى بيأيدوا مظاهرات الصهاينه.الحل الوحيد لمشكلة السكن اللى هى سبب التظاهر هو سرقه أرض جديده لبناء مستوطنات
Il vignettista brasiliano Carlos Latuff lancia un avvertimento:
@CarlosLatuff: Egiziani, non fatevi prendere in giro: le proteste in Israele hanno a che fare non tanto con la critica all'occupazione, quanto con il costo della vita della classe media.
Dalla Tunisia, Marwan-el-Tounisi aggiunge:
@Marwouantounsi: Sono tunisino e sostengo l'uso di #ThawretWeladElKalb al 10000%. Morte ai sionisti.
Di altra opinione è Sara Abdelazim, che ritiene sia meglio non generalizzare:
@Lujee: Per anni, la gente si è lamentata perché nessuno in Israele si opponeva alle politiche del governo.. e ora che sta succedendo, chi manifesta viene insultato?
Nell'arabo di tutti i giorni, la distinzione tra ebrei, israeliani e sionisti non è sempre così chiara. Secondo Naka Iskandar – altra egiziana critica – bisognerebbe prestare maggiore attenzione a queste differenze. Dopo aver saputo che tra i manifestanti ci sono anche arabi d'Israele, Essam el-Zamil [ar], a sua volta, comunica la decisione di abbandonare l'hashtag, che Ahmed Saker [ar] e Amr el-Gohary definiscono rispettivamente infantile e non costruttivo.
Sottolineando come spesso sia proprio la scuola, da entrambi i lati, a inculcare l'odio negli studenti, la blogger kuwaitiana Mona Kareem si schiera contro tale campagna:
Io non odio gli israeliani (sebbene il sistema educativo arabo ci insegni a farlo fin da piccoli, infondendo negli studenti un generico senso di superiorità nei confronti degli altri), ma condanno fermamente i crimini commessi dallo Stato di Israele. Condanno parimenti le dittature arabe (tenendo presente che in alcuni casi Israele ha trattato i suoi cittadini in maniera ben più clemente di quanto non facciano con noi i nostri Stati di polizia) e i terroristi arabi che si fanno esplodere in un night club o su uno scuolabus. Ritengo assolutamente ingiustificabile l'atto di uccidere un essere umano, qualunque sia l'ideologia, l'identità o la religione di assassino e vittima.
L'esperienza pacifica dei manifestanti della Primavera Araba, continua Mona, dovrebbe ripetersi anche in questa occasione:
Gli arabi non possono mettere da parte il cammino di pace che hanno intrapreso solo perché entra in gioco il “nemico di sempre”, Israele. I rivoluzionari arabi dovrebbero agire in maniera responsabile, senza contraddirsi, e seguire il messaggio di Ghandi “occhio per occhio, e il mondo diventa cieco”. Dovrebbero rinunciare all'antica retorica della vendetta, e comprendere che la loro rivoluzione avrà senso solo quando capiranno che non si tratta esclusivamente di opporsi ai regimi, ma anche di ricostruire la cultura e depurarla da ogni forma di discriminazione. Non c'è giustificazione per le discriminazioni, e il ricorso agli insulti non fa che peggiorare le cose. È un errore giudicare un criminale qualsiasi cittadino israeliano – ironia della sorte, molti non sanno neppure che tra i manifestanti ci sono anche attivisti anti-occupazione e arabi di Israele.
Il blogger israeliano The Elder of Ziyon fa invece notare come l'appellativo cani in riferimento agli ebrei abbia precedenti storici:
Il tag in questione è #ThawretWeladElKalb, che significa “rivoluzione dei figli di cane”. L'accostamento tra ebrei e cani è comune nella storia araba.
La pratica di definire qualcuno un cane è del resto molto diffusa in Egitto, tanto da non essere neppure più censurata nei film. Recentemente, nel Paese si è dibattuto su cosa tra riforme politiche e diritti dei più poveri dovesse avere la priorità. Un blogger egiziano, attaccando chi preferiva le riforme politiche e istituzionali alla giustizia sociale, ha intitolato un suo post “Vengono prima i poveri, figli di cane” [ar]. L'espressione ha riscosso un successo enorme, tanto da essere divenuta di uso comune [ar] sia in Rete che offline.
Ahmed Kamal suggerisce infine un hashtag alternativo:
@ahmed_virgine [ar]: Thawret Welad El3am… hom mesh bany admen zayena… wallahe alsho3oa 3'albana al7okam homa wlad elkalb.