India: i colossi di Internet si piegano alle richieste censorie del governo

L'India ha compiuto un enorme passo indietro nel tempo quando ha richiesto [it] alle 20 maggiori aziende Internet, inclusi Google [it], Facebook e Twitter, di presentare dei piani atti a filtrare materiale “anti-religioso” o “anti-sociale” dai contenuti disponibili per i cittadini indiani.

I leader politici, compresa Sonia Gandhi, il ministro delle telecomunicazioni Kapil Sibal e il Primo Ministro Manmohan Singh hanno fatto causa alle compagnie Internet, esigendo la rimozione preventiva di materiale considerato “sgradevole” dal governo indiano. Questo materiale “sgradevole” include blasfemie e insulti religiosi, ma anche materiali critici e non molto lusinghieri verso tanti leader politici, tra i quali appunto Sonia Gandhi, secondo quanto riportato dal blog del Financial Times, beyondbrics [en, come i link successivi eccetto ove diversamente indicato].

Cartoon by Bryant Arnold, CartoonADay.com. Used under a Creative Commons 2.5 license (BY-NC)

di Bryant Arnold, da CartoonADay.com, licenza Creative Commons 2.5 (BY-NC)

Dopo la resistenza iniziale, le aziende Internet hanno alla fine ceduto alle dispotiche richieste del governo e hanno deciso di presentare i progetti per il filtraggio dei “contenuti offensivi” a partire dal 21 febbraio scorso. La prossima udienza si terrà in tribunale il primo marzo. A rivolgere simili richieste sono stati regimi autoritari come Cina, Russia ed Egitto, ma l'India è la prima vigorosa democrazia, con una fiorente scena mediatica nazionale, a fare richieste così radicali.

Ci chiediamo quindi se l'India sia  all'altezza della sua posizione come grande democrazia. No, non lo è, secondo i cittadini. La blogger AdityaT cita un avvocato di Google in un post nel suo blog igyaan.in:

La questione rimanda ad un problema costituzionale di libertà di parola e di espressione, e non era possibile nasconderla, poiché è proprio il diritto alla libertà di parola che distanzia la democratica India  da un regime totalitario come la Cina.

What to do Baba rilancia:

E’ quasi impossibile bandire Google o Facebook in India. [..] Spero e credo che il problema venga risolto sia per il bene della società sia per quello del web. Puniamo il colpevole e non cerchiamo un caprio espiatorio.

Quest'indignazione, però, potrebbe essere tardiva.  Google, infatti, ha già cominciato ad allontanare gli utenti da blogspot.com  e a reindirizzarli verso  la versione indiana del blog, un blogspot.in censurato. I materiali censurati sui siti indiani e le versioni diverse di motori di ricerca saranno ancora disponibili al di fuori dell’ India. Nel blog Jaipur.co si legge che Yahoo e Facebook rifiutano di prendere in considerazione la censura dei lori materiali, poiché affermano di non avere niente a che fare con contenuti riprovevoli.

Google ha una lunga storia in quanto ad azioni moralmente opinabili, messe in atto quando si tratta di placare governi adirati. Fondato sull'ideale del “non essere cattivo”, Google ha però smesso di utilizzare questo slogan in pubblico [it], da quando è stato occasionalmente gettato alla spazzatura in favore dei profitti, piuttosto che offrire un ottimo servizio al pubblico.

I colossi Internet come Google, Facebook e Twitter hanno delle linee guida che li obbligano ad “aderire alle leggi nazionali dei vari Paesi”, e ciò significa che sono tenuti a rimuovere i contenuti che violano le leggi locali. Più di una volta nei recenti anni, le tre aziende hanno sottolineato ciò come autodifesa dall'accusa scagliata dagli avvocati per i diritti umani, prima in Cina, poi in Egitto e ora in India.

Tuttavia quelle linee guida non erano state introdotte per permettere ai governi di soffocare i flussi liberi di informazioni. La realtà è che Internet è un forum ingovernabile e la sfera digitale ha ben poche leggi. In India, Google è ben lontano dall'essere una vittima. Infatti permette ai governi di censurare i suoi materiali in modo tale da evitare di perdere 121 milioni di utenti, nel caso in cui il governo lo bloccasse completamente, e altri potenziali 900 milioni in più ogni anno (visto che gli utenti Internet indiani si moltiplicano annualmente).

Google non si sta piegando alla richiesta di censura del governo, per lasciare ai cittadini indiani  almeno la possibilità di accedere ad “alcune” informazioni, ma perché ha troppa paura di perdere i suoi milioni di utenti.

La mossa di Google è esattamente in contrasto con il suo recente ritiro dalla Cina. Anche se, ovviamente, non è stata la miglior mossa in termini di business, quest'ultima era sicuramente una delle misure più significative che Google avrebbe potuto prendere per lottare contro la censura. Timothy B. Lee  scrive sul  blog del New York Times, Room for Debate:

Il ritiro di Google dalla Cina ha un valore simbolico importante. Google è divenuto uno dei marchi più prestigiosi al mondo, e negli ultimi quattro anni ha prestato immeritata legittimità agli sforzi del governo verso la censura.

E’ sbalorditivo che Google voglia far seguire a questo enorme risultato la sua sottomissione alle richieste di censura indiane.

Ecco che, così, scoppia la Prima Guerra Digitale. Sono i governi contro Internet,  e ancora peggio, le aziende Internet sono una contro l'altra a caccia del predominio del Web. Queste offrono un enorme disservizio ai loro utenti e alla battaglia contro la  corruzione in India, soccombendo alla richiesta del governo di censurare o, altrimenti, di chiudere bottega.

Sicuramente, Google potrebbe perdere una significativa porzione di utenti Internet nei confronti di siti concorrenti, e lo stesso vale per Facebook; ma cercando di buttarsi fuori l'un l'altro  per regnare sovrani nel mondo digitale, sembrano distruggere lentamente le fondamenta sulle quali loro stessi sono costruiti: libertà, partecipazione e obbligo di “non essere cattivi”. Kevin Kelleher  lo esprime perfettamente sul blog della Reuters, MediaFile, quando scrive che lo slogan di Google diventa così “Facciamo tutti i cattivi!”

Google aveva smesso di usare quello slogan in pubblico, ma è forse tempo di rispolverarlo.

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