Sabato 17 marzo, migliaia di persone sono scese nelle strade di Skopje, unendosi alla marcia per la pace e la tolleranza etnica [it].
Secondo i media l'evento ha raccolto tra le 2.000 (fr, en, en) e le 4.000 persone. Gli unici dati certi comunque sono quelli dell'evento organizzato su Facebook per promuovere l'iniziativa [mk], che ha raccolto 2.225 partecipanti confermati, alcune centinaia di “forse,” mentre 17.000 non hanno risposto.
La folla si è riunita nel parco cittadino di Skopje, attorno a un palco all'aperto conosciuto come lo Školka (il Guscio).
Il breve manifesto dell'evento [it] è stato letto in macedone, albanese, turco, romani, serbocroato e valacco (arumeno) [it] da vari personaggi noti della cultura e dello spettacolo, provenienti da etnie diverse.
I partecipanti, “senza bandiere né emblemi”, hanno sfilato davanti alla sede del Governo percorrendo l'Ilinden Boulevard; hanno quindi attraversato il ponte Goze Delčev [en] e lo storico Ponte di pietra, per poi ritornare al parco costeggiando il fiume Vardar. L'evento si è concluso con l'esibizione di varie band musicali in concerto.
Online sono disponibili diversi album fotografici della manifestazione:
- Vančo Džambaski (CC BY-NC-SA 2.0)
- Mite Kuzevski
- PlusInfo.mk [mk]
Strumentalizzazione politica e interpretazione dei media
Durante il suo intervento Esma Redžepova [en] (famosa cantante ma anche politica locale appartenente al partito di maggioranza VMRO-DPMNE), dal palco rivolge il suo saluto al Presidente, che si trova tra la folla. Xhabir Deralla, attivista per i diritti umani, commenta così [mk] l'accaduto:
…Dubito che 2 o 3 mila persone siano sufficienti per convincere i politici accorsi alla marcia di ieri che sta a loro porre fine alle politiche che ci hanno condotto a questo punto. Ho persino sentito un saluto rivolto al Presidente dal palco… “Ops!”, ho pensato. Su Facebook alcuni lo hanno spiegato come un'uscita spontanea tipica dello stile di Esma, non un segno della posizione ufficiale degli organizzatori. D'accordo, ma allora spiegatemi perché l'organizzazione non ha ritrattato il saluto di Esma.
Quando mi è stato chiesto di appoggiare l'iziativa della marcia in veste di rappresentante della ONG Civil, nessuno mi ha detto che ci sarebbero stati rappresentanti di quella politica che viola i diritti umani e le libertà individuali, e che fomenta apertamente l'intolleranza e le tensioni all'interno delle gruppi entici macedoni. Ho difeso i nobili intenti di questa marcia in lunghe conversazioni faccia a faccia e via email con colleghi, collaboratori e amici, nonostante [le polemiche che l'hanno accompagnata [en] ]. Ho insistito perché tutti vi partecipassero. Sono tuttora convinto della validità delle motivazioni, ma non sono certo che lo scopo iniziale sia stato raggiunto. Nonostante tutto voglio rimanere ottimista in questa domenica di sole e convincermi che la marcia sia stata un passo in avanti, anche se compiuto con estremo ritardo….
Sapevo che i media avrebbero permesso ai politici di stravolgere l'evento a loro vantaggio. Nei telegiornali della sera le emittenti governative hanno spiegato le violenze interetniche delle ultime settimane come il risultato dell'azione distruttiva di alcuni individui, il cui unico scopo sarebbe vanificare gli sforzi straordinari che il governo sta compiendo in favore di un clima di pace e tolleranza. La cosa non è stata presa in considerazione dagli organizzatori, che invece avrebbero dovuto tenerne conto.
Secondo l'utente Twitter MirkoSlav l'importante è che la marcia sia stata un successo:
Che importa se i politici si sono fatti fotografare? In fondo non sanno far altro…
Con un riferimento a una sua precedente pubblicazione in cui i partiti nazionalisti al potere sono la vera causa della situazione attuale, Deralla spiega:
Non sono convinto che tra i partecipanti fossero in molti ad aver capito veramente i retroscena della condotta del governo, e il vero significato della marcia, che avrebbe dovuto servire da monito ai partiti, sia quelli al potere che quelli all'opposizione…
Non sono nemmeno convinto che tutti coloro che sono saliti sul palco a pronunciare messaggi di pace in varie lingue e a cantare canzoni di Bob Marley fossero consapevoli del nostro vero intento. Oppure lo erano, ma forse le loro motivazioni individuali e il loro desiderio di pace sono stati più forti di tale consapevolezza. Soccombere a sentimenti nobili è legittimo, ma allora dobbiamo chiederci: con tutto quello che è accaduto sabato, di quanto ci ha avvicinato ai nostri reali scopi, e cioè pace e tolleranza?
Ammetto che prima di raggiungere il parco con la mia famiglia e i miei colleghi, dentro di me speravo che i politici non avrebbero tentato di impadronirsi dell'evento. Speravo che i telegiornali della sera non avrebbero distorto le informazioni. Speravo che coloro che appoggiano le politiche distruttive del governo (e tutti sanno di chi sto parlando), e che si trovavano tra i partecipanti, avrebbero capito il valore di tali iniziative, il cui successo andrà a vantaggio delle loro famiglie e delle generazioni future.
E adesso?
Nel suo articolo di domenica 18 marzo Deralla fa riferimento al concerto Rock for Peace organizzato da Civil a Skopje nel 2001, prima che il conflitto militare in Macedonia si inasprisse. L'evento, a cui parteciparono migliaia di giovani, non ha certo influenzato il corso della storia, ma ha comunque avuto un suo significato; Deralla afferma che tutti le iniziative in favore della pace vanno appoggiate, per quanto vane possano sembrare, perché “la macchina nazista lavora instancabilmente ai suoi loschi progetti.”
Poco prima della marcia, in un post su Facebook [sr], il serbo Djordje Djordjevic aveva espresso un pensiero simile, ricordando gli sforzi pacifisti del 1991 quando a nove anni aiutava la zia a raccogliere firme per la pace, prima della dissoluzione della Jugoslavia. Ricorda i sacchi pieni di quaderni con le firme di gente che voleva solo mettere a tacere la propria coscienza (un po’ come noi oggi quando scegliamo ‘mi piace’ su Facebook), e che credeva che quella fatica non sarebbe servito a nulla. Ecco il racconto:
Negli anni '90 vivevo nei pressi di un campo profughi in cui c'erano croati, bosniaci e kossovari. Quando vedi gente che ha perso tutto, un bambino che ti esprime eterna gratitudine per avergli regalato le tue scarpe da ginnastica vecchie, una famiglia che per pranzo deve dividersi una scatoletta di fagioli; quando senti le urla disperate di una donna la cui famiglia è stata trucidata, ogni iniziativa in nome della pace o della tolleranza sembra goffa e insignificante.
Immaginatevi se tutte le persone che hanno firmato i quaderni nel '91 fossero scese in strada, si fossero piazzati davanti ai carri armati e avessero pronunciato all'unisono un NO alla guerra e un SI alla pace. Immaginatevi quante vite avrebbero salvato, e quante meno lacrime sarebbero state versate!