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Italia: Macao e il riscatto della cultura autogestita

Categorie: Italia, Arte & Cultura, Citizen Media, Cyber-attivismo, Giovani, Idee, Libertà d'espressione, Media & Giornalismi, Protesta

Il 5 maggio 2012 un gruppo di artisti, architetti, lavoratori della comunicazione, studenti e docenti precari hanno occupato un grattacielo di 33 piani al centro di Milano, la Torre Galfa. Di proprietà della società finanziaria Fondiaria SAI e in disuso da 15 anni, la torre è stata rinominata Macao, acronimo il cui significato è aperto alla libera interpretazione: il primo giorno di occupazione è circolata la scritta “si potrebbe anche pensare di volare”. Il grattacielo è stato sgomberato dalla polizia il 15 maggio [1] [it, come i link successivi] con una decina di arresti; il collettivo ha in seguito instaurato un presidio di fronte all'edificio, durato fino al 19 maggio.

Assemblea al palazzo occupato a Milano, dalla pagina Facebook di Macao [2]

Assemblea al palazzo occupato a Milano, dalla pagina Facebook di Macao

Macao vuole essere un centro per le arti in una città dove gli spazi per i giovani e la creatività scarseggiano. Durante i dieci giorni di occupazione, alcuni piani della torre sono stati ripuliti e resi accessibili per incontri, assemblee, workshop e seminari, come si legge sul sito web [3] del progetto. Come sintetizza un loro tweet:

@MacaoTwit [4]: #MACAO non intende essere un altro centro per le arti, ma un nuovo centro per le arti : #tuttiSUmacao

Quella milanese è solo l’ultima di una serie di occupazioni fiorite nel territorio italiano nell’arco dell’ultimo anno, tra cui il Teatro Coppola di Catania [5], il Teatro Garibaldi di Palermo [6], l’Asilo della Conoscenza di Napoli [7], le Sale Docks di Venezia [8], il Teatro Valle [9] e il Cinema Palazzo [10] di Roma, che insieme formano la rete dei Lavoratori dell’Arte [11]. Le ragioni dietro alle occupazioni sono principalmente due: da una parte, i tagli alla cultura [12] implementati dal governo Berlusconi dal 2010, e la chiusura di enti e spazi culturali come l’ETI (Ente Teatrale Italiano); dall’altra la precarietà del lavoro che caratterizza il settore, e la conseguente mancanza di un’adeguata rappresentanza sindacale e di ammortizzatori sociali per gran parte dei lavoratori della cultura e della comunicazione.

È in questo contesto che il nasce il movimento dei Lavoratori dell'Arte, come spiegato sul loro sito [13]:

I Lavoratori dell’arte esprimono la convinzione che sia necessario attribuire all’arte e alla cultura lo status di beni comuni. Il bene comune non è un concetto astratto ma una nuova forma viva di democrazia che mira a superare la dicotomia tra pubblico e privato.

Laddove i discorsi e le pratiche artistiche istituzionali hanno già individuato la natura relazionale, sociale, cooperante e reticolare della produzione artistica contemporanea, ciò che manca è una distribuzione equa del valore che viene socialmente prodotto. Esso è concentrato nelle mani di pochi a discapito di molti (quei molti senza cui oggi l’arte non potrebbe funzionare se non nella ripetizione di modelli ormai esausti) (…)

Diciamo che i linguaggi artistici sono un fatto politico e diciamo che la precarietà è un freno alla sperimentazione, all’ambizione, all’intelligenza, alla radicalità e al respiro globale dell’arte.

Mentre il comunicato stampa [14] di Macao insiste:

Siamo quella moltitudine di lavoratori delle industrie creative che troppo spesso deve sottostare a condizioni umilianti di accesso al reddito, senza tutela, senza alcuna copertura in termini di welfare e senza essere nemmeno considerati interlocutori validi per l’attuale riforma del lavoro, tutta concentrata sullo strumentale dibattito intorno all’articolo 18. Siamo nati precari, siamo il cuore pulsante dell’economia del futuro, e non intendiamo continuare ad assecondare meccanismi di mancata redistribuzione e di sfruttamento.

Il presidio di fronte alla Torre Galfa, dalla pagina Facebook di Macao [2]

Il presidio di fronte alla Torre Galfa nei giorni successivi allo sgombero, dalla pagina Facebook di Macao

I lavoratori dell’arte si definiscono cervelli in lotta, non in fuga [15], ed esperimenti analoghi si sono avuti anche in Portogallo, dove la comunità Es.col.a è stata recentemente sgomberata [16]; in Spagna con l’Hotel Madrid [17]; e nel Regno Unito con la Bank of Ideas [18] di Londra, la cui occupazione di un edificio vuoto della banca d'investimento UBS avvenne per mano degli attivisti del movimento Occupy. Nonostante gli sgomberi e sebbene l'occupazione di edifici pubblici o privati sia comunque illegale, questi progetti godono di un ampio appoggio dell'opinione pubblica, cosa fino a poco tempo fa impensabile. Sebbene in Italia la tradizione dei centri sociali risalga alle lotte di fine anni '70, queste occupazioni rappresentano un record per il livello di supporto pubblico (la pagina Facebook di Macao [2] ha già superato i 30.000 fan, mentre su Twitter gli hashtag #macao e #iostoconmacao erano nella lista dei primi trend italiani durante la giornata dello sgombero), incluso quello di artisti come Dario Fo e persino di alcuni funzionari comunali. Mentre il noto giornalista Luca de Biase commenta sul suo blog [19]:

dalla pagina Facebook di Macao [2]

Di Claudio Chiarenza, dalla pagina Facebook di Macao

Lo sgombero del Macao avviene in una città che non ha protetto lo spazio pubblico – fisico e culturale – dall’invasione delle recinzioni e delle privatizzazioni – fisiche e culturali. E che quindi oggi si interroga su uno spazio privato che alcuni interpreti dell’apertura pubblica volevano riconquistare.

D'altro canto c'è chi, come gli autori del blog Frankestanislao [20], critica il progetto per la sua frivolezza in un momento di crisi:

Certo i fighetti radical chic che indossano l’abito da indignati della domenica mi fanno ridere, ci sono altre priorità per cui scaldarsi!..

Per altri, specialmente per chi ha preferito lasciare l'Italia in cerca di migliori opportunità, Macao diventa invece il simbolo di un atteso cambiamento, come per Francesco Cingolani, uno dei cosiddetti “cervelli in fuga”, il quale scrive sul suo blog Immaginoteca [21]:

Tutto questo mi fa venire voglia di tornarmene in Italia per fare una fuga di cervelli al contrario

L'amministrazione comunale di Milano ha poi messo a disposizione l’area dell’ex Ansaldo come centro alternativo per le arti aperto a tutti, ma l'offerta è stata per il momento rifiutata. Il dibattito su Macao è ancora aperto, e il collettivo continua a tenere assemblee pubbliche. Il 19 Aprile lo stesso collettivo aveva occupato Palazzo Citterio [22], edificio settecentesco di proprietà del Ministero dei Beni Culturali, facendo scattare la denuncia per occupazione abusiva [23].

Per firmare l’appello in sostegno di Macao inviare una email a proteggiamomacao [at] gmail [dot] com.

AGGIORNAMENTO 22 maggio: Stamani c'è stato il blitz (incruento) che ha “sfrattato” il collettivo anche da Palazzo Citterio, come segnala la pagina Facebook di Macao [2] tra centinaia di commenti e ampie discussioni:

Oggi, 22 maggio, alle 06.40 le forze dell’ordine in assetto antisommossa hanno sgomberato Palazzo Citterio.
Macao aspettava a porte aperte con più di sessanta persone. All’arrivo di Polizia e Carabinieri è seguito quello dell’Esercito.
Per la seconda volta in una settimana, in due luoghi che hanno svelato forti criticità attorno alla gestione delle politiche economiche e culturali della città di Milano e del Paese, le questioni aperte da cittadine e cittadini sono state ridotte a questioni di ordine pubblico.