Pro e contro la necessità della Dichiarazione per la Libertà di Internet

Il 4 luglio, un gruppo di organizzazioni di tutela dei diritti digitali e oltre, ha raccolto alcuni principi essenziali per l'utilizzo della rete nella “Dichiarazione per la Libertà di Internet” [it]. Tra i suoi iniziali firmatari ci sono organizzazioni come Free Press, Access, il Center for Democracy and Technology e la Electronic Frontier Fondation. Nella lista di coloro che hanno aderito compaiono anche, a titolo individuale, molti autori di Global Voices, fra i quali la stessa cofondatrice Rebecca MacKinnon.

Sebbene sia prevista la possibilità di contribuire e incoraggiare il miglioramento del documento, la dichiarazione è stata già pubblicata nella forma seguente:

Declaration of Internet Freedom logo.

Logo della Dichiarazione per la Libertà di Internet. Immagine da Free Press.

Noi siamo per un'internet libera e aperta. Sosteniamo la trasparenza e il processo di partecipazione per tutelare Internet stabilendo cinque principi base:

Espressione: No alla censura di Internet.
Accesso: Promuovere l'accesso universale a reti veloci e alla portata di tutti.
Apertura: Mantenere Internet una rete aperta in cui ognuno sia libero di connettersi, comunicare, scrivere, leggere, guardare, parlare, ascoltare, imparare, creare e innovare.
Innovazione: Proteggere la libertà di innovare e creare senza specifica autorizzazione. Non bloccare le nuove tecnologie e non punire gli innovatori per le azioni degli utenti.
Privacy: Garantire la riservatezza e difendere la possibilità di ciascuno di controllare il modo in cui i propri dati e dispositivi vengano usati.

Gli individui e le organizzazioni sono invitati a firmare il documento o a partecipare tramite le altre organizzazioni, elencate nel sito. La Dichiarazione ha raccolto più di 1.300 firme fino ad ora e il numero continua a aumentare.

Parallelamente alla sua diffusione, i blogger hanno cominciato a esprimere commenti e critiche sul documento e sul processo che lo ha portato alla luce. Di seguito qualche reazione.

Possiamo vivere senza Internet? Certamente! Dovremmo? No.

Questa affermazione [en] viene dalla blogger libanese Micheline Hazou, che dà un resoconto del processo che ha portato alla Dichiarazione di Internet, così come alla recente risoluzione fatta dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite per proteggere la libertà di Internet. Hazou, che altrove si mostra critica [en] nei confronti dei progetti di legge SOPA (Stop Online Piracy Act) e PIPA (Protect IP Act) sul copyright negli USA, dà il suo appoggio alla Dichiarazione, scrivendo:

Quando mi capita di guardare indietro nel tempo, mi domando se mai la guerra civile libanese sarebbe durata 15 anni se internet fosse esistito nel 1975. Quanto diversa sarebbe stata la mia vita…

Se adesso non possiamo restare per un paio d'ore senza connessione, all'epoca passammo tutti gli anni di guerra cercando di dimenticare che i telefoni esistessero. Il fax era la grande novità che però potevamo solo contemplare perché non c'erano linee telefoniche!

Ma questa è storia!

Sono fermamente convinta, e pronta a difendere questa convinzione, che la possibilità di un internet accessibile e libero, così come l'utilizzo libero del wifi, siano dei diritti fondamentali dell'uomo.

No alla censura di Internet. Ma cos'è la censura?

Questo è quanto si chiede il blogger spagnolo Guillermo Julián, che ha avanzato delle critiche [es] contro la Dichiarazione. Sebbene Juliàn creda che essa contenga una serie di “principi fondamentali sui quali dovremmo tutti essere d'accordo”, trova problematica la vaghezza e l'imprecisione del linguaggio utilizzato. Sul primo principio scrive:

Si ahora mismo preguntas a los promotores de la ley SOPA, o sin irnos tan lejos, a la exministra González Sinde, si pretendían instaurar un sistema de censura en Internet, te dirán que no. Ellos sólo pretendían proteger los derechos de autor, no prohibir que nadie se exprese.

Y ese es el problema de este punto. Nadie ha dicho qué es la censura. ¿Es censura el derecho al olvido? ¿Podríamos considerar censura el cierre de páginas de pornografía infantil?

En los extremos es muy fácil saber qué hacer: bloquear páginas con pornografía infantil es bueno, bloquear páginas con opiniones que no le gustan al gobierno de turno es malo. Pero, ¿qué hacemos en los intermedios? Es algo que depende tanto de la interpretación de cada uno que incluso la SOPA podría respetarlo…

Se si chiedesse ai promotori della legge SOPA, o senza andar così lontano, alla ex ministra Gonzàles Sinde [en], se abbiano intenzione di instaurare un sistema di censura in Internet, risponderebbero di no. Pretendono solo di difendere i diritti degli autori, non impedire a qualcuno di esprimersi. E questo è il problema. Nessuno ha detto cosa sia la censura. E` censura il diritto all'oblio [es]? Possiamo considerare censura il cancellare pagine di pornografia infantile? Nei casi estremi è molto semplice sapere come comportarsi: bloccare le pagine con la pornografia infantile è buono, bloccare le pagine con opinioni che non piacciono al governo di turno è male. Però, cosa fare in casi non così ben definiti? La decisione é qualcosa che dipende talmente dall'interpretazione di ciascuno che anche la SOPA dovrebbe rispettarla.

Quale “noi”?

Una delle obiezioni sollevate da più voci contro la Dichiarazione è la mancanza di una definizione del termine “noi”. Nel blog Above the Law, Elie Mystal scrive [en]:

Odio divenire pedante su questioni che riguardano Internet – è Internet, non un documentario di Ken Burns – ma precisare i termini utilizzati è di importanza cruciale quando si cerca di difendere la “libertà”, in qualsiasi forma essa sia. E` tutto a posto quando si va in giro a gridare “libertà” con le catene ai polsi, ma libertà assume significati differenti per persone differenti. Mi piacerebbe per esempio essere “libera” di fare soldi con Internet. Posso comunque essere parte di quel “noi”? Il fatto che così tante persone usino Internet per scopi così diversi è esattamente il motivo per cui ci sforziamo soprattutto di arrivare a un accordo su regole comuni di gestione della rete. Definire il “noi” è già metà della battaglia! “Noi” siamo Americani. “Loro” sono seguaci di un folle con uno stravagante cappello. Seguiamo le nostre regole.

Mystal prosegue: “semplicemente bisogna ricordare di definire il proprio linguaggio. Ricordate che la Costituzione già ci dice chi è il “noi” della prima riga”.

Sull mensile USA The Atlantic, Nancy Scola, che ha intervistato molti dei promotori e firmatari della Dichiarazione, esprime una simile preoccupazione [en]:

Senza dubbio, la lezione appresa negli anni successivi alla Dichiarazione di Indipendenza del Cyberspazio [en] di John Perry Barlow è che “l'intera comunità Internet” ha sempre qualcosa da temere da parte dei governi e degli altri sistemi di potere, qualunque essi siano – malgrado la necessità di questa nuova Dichiarazione di libertà. I governi non si tengono lontani da Internet quando Barlow dice loro di farlo. Per essere utile, non dovrebbe un documento come questo capire da dove venga la sua autorità e cosa intenda fare per dare forza ai suoi principi? Dopo aver preso congedo dalla Gran Bretagna, gli Stati Uniti si decisero per delle assemblee rappresentative locali e nazionali, elette su base geografica. Certamente ci sono altri modi per farlo. Ma definire la rappresentatività è un modo per evitare di confondere un tipo di tirannia con un altro. Ed è probabilmente corretto dire che mettere le briglie alla rappresentatività e all'autorità è qualcosa che la politica online non è ancora riuscita a fare. In teoria, quasi tutti possono partecipare. Come giudicare tale partecipazione, tuttavia, è un problema con cui tutti, dalle piattaforme Change.org o Americans Elect ai singoli cittadini che cercano di inviare email al Congresso, si devono confrontare.

Non è il documento di cui Internet ha bisogno

A questa conclusione giunge Blake J. Graham nella sua analisi [en] apparsa su Dapper Disputes, in cui afferma che la Dichiarazione “fornisce vaghe descrizioni di libertà che mancano di articolare come queste libertà possano precisamente essere protette su Internet, e chi dovrà occuparsi di questa azione di protezione”. Graham spiega:

Articolazione è qui una parola essenziale. La Dichiarazione di Indipendenza Americana ha fatto proprie le idee dominanti dei pensatori dell'illuminismo, e ha articolato queste idee adeguandole ai sentimenti che nel XVIII secolo si provavano nei confronti della corona inglese. La struttura del documento include una sostanziale, per quanto dimenticata, lista di lagnanze rivolte a Giorgio III e gli specifici fermenti politici che agitavano i coloni. E`questo tipo di articolazione che dà alla Dichiarazione di Indipendenza tutta la sua stabilità, mentre la “Dichiarazione di Libertà di Internet” vacilla come un bambino piccolo sbronzo di latte.

Sul blog ACLU, Jay Stanley difende [en] quella stessa vaghezza come strategica:

Vero, c'è sempre il pericolo che un concetto ampio come quello della “privacy” possa avere la stessa sorte di quello dell'”ambiente”, del quale ognuno è “a favore”, anche quando in realtà il concetto viene tradito. Ma nella storia dell'ambientalismo, c'è sempre stata maggiore capacità di raggiungere dei risultati quando nessuno poteva essere “contro” l'ambiente. Se dunque siamo già a questo punto rispetto ai principi articolati in questa dichiarazione, non è un risultato trascurabile, e dar risalto a tale risultato è un'azione che vale la pena compiere.

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