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Traduzioni in crowdsourcing: il tuo videogioco in lingua inuktitut

Categorie: Citizen Media, Rising Voices

Nella bellissima Pangnirtung [1] [it], nel Nunavut, regione artica dell'estremo oriente del Canada, ha sede Pinnguaq [2] [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], una iniziativa di localizzazione di software [3]: si tratta di una azienda specializzata nell'adattamento della programmazione informatica a diverse lingue, differenze regionali e requisiti tecnici di un mercato di riferimento. Il Nunavut, il territorio più recente del Canada, è sia il più grande che il meno popolato del Paese. A causa di questo isolamento geografico, la tecnologia gioca un ruolo fondamentale nella fornitura dei servizi di base.

La missione di Pinnguaq è di adattare i software popolari all’inuktitut [4] [it], la lingua indigena inuit, e riflettere meglio la cultura locale. Nel giugno del 2013 hanno rilasciato una versione in lingua inuktitut del gioco per iPad più venduto, Osmos [5].

Per far sì che ciò accadesse, il gioco è stato tradotto tramite crowdsourcing. Questa pratica, sempre più utilizzata come strumento di sviluppo internazionale, può essere una strategia incredibilmente utile per ottenere informazioni attraverso la partecipazione di molte persone e si è rivelata incredibilmente vincente per Pinnguaq.

Per saperne di più sul ruolo dei videogiochi in questa regione artica a maggioranza indigena, ci siamo messi in contatto con il fondatore di Pinnguaq, Ryan Oliver. Ci ha parlato dell'adozione della tecnologia digitale e dei videogiochi tra gli inuit, dell'importanza e del potere del gioco nella lingua indigena e della strategia delle traduzioni in crowdsourcing.

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Come ha avuto inizio Pinnguaq?

Pinnguaq nasce a metà del 2012 come risultato di una mia personale passione per la programmazione, in particolare per i videogiochi. Mio figlio, e più recentemente mia figlia, si sono interessati ai giochi grazie alle mie passioni e all'accessibilità di dispositivi come l'iPad per bambini di 1 o 2 anni. Allo stesso tempo ci sono bambini nella comunità (di Pangnirtung) che spesso vengono a trovarci e giocano con la grande collezione che abbiamo in casa nostra. Faccio tutto il possibile per condividere l'accesso che ho ai videogiochi e alla tecnologia con i miei figli e i loro amici.

Mi è venuto in mente guardando un bambino giocare a “Uncharted”, un videogioco per PlayStation che, per la maggior parte, è un'esperienza davvero “bianca”: gli eroi sono spesso bianchi (e maschi, a dirla tutta); le storie sono interpretazioni della narrazione e dei concetti che si riferiscono direttamente alla cultura occidentale, in particolare la visione nordamericana bianca della vita come è stata definita dai mass media, soprattutto da Hollywood, negli ultimi 50 anni. In questi giochi e nei media di cui usufruiscono, i ragazzi non ascoltano la lingua che parlano a casa e a scuola, e non vedono la loro cultura riflessa in essi.

Non è una novità. APTN [6] [Aboriginal People's Television Network, ossia il Network Televisivo del Popolo Aborigeno] è stata una risposta alla mancanza di media locali in televisione, che però non ha toccato anche i videogiochi o la tecnologia…

Penso che [Pinnguaq] sia un'incredibile opportunità per mostrare ai ragazzi del posto quanto sia possibile avere successo ed esprimersi in questo settore. Il Nunavut è una regione molto artistica dove l'espressione, sia culturale che personale, è istintiva, naturale. I videogiochi offrono un'altra opportunità di crescita per la storia artistica e la narrativa di questo territorio. La curva di apprendimento è ripida (per la codifica), ma in questo settore c'è spazio per artisti, narratori, animatori, attori, davvero chiunque. Quindi, più di qualsiasi altra cosa,

Pinnguaq sta dicendo alla popolazione di Nunavut: “C'è un posto per te in questo settore, con persone disposte ad aprirti le porte”…

Fotografia gentilmente concessa da Rachael Petersen

Fotografia gentilmente concessa da Rachael Petersen

 

Qual è l'obiettivo di Pinnguaq? Perché giocare in lingua è importante per gli inuit e altre comunità indigene?

L'obiettivo di Pinnguaq è multiforme. La cosa più importante è l'adottare la tecnologia per promuovere, sostenere e condividere la cultura e le idee inuit e di Nunavut in tutto il mondo. Attualmente stiamo lavorando a progetti che utilizzano la tecnologia per diffondere il linguaggio e la mitologia. Abbiamo anche progetti più legati allo sviluppo economico, ad esempio una app per smartphone che promuove il turismo nel territorio. Posso mettere a disposizione una vasta esperienza e diversi contatti nel settore della tecnologia, ed è mia intenzione farlo per la gente di Nunavut, gli inuit e la mia comunità in modo da aiutare a diffondere questa cultura e questo territorio in tutte le parti della terra.

Giocare a videogiochi in lingua nativa mi entusiasma moltissimo e spero che il progetto decolli.

Prima di tutto però chiariamo una cosa: non è un'idea commerciale astuta, dettata dal mercato.

Realizzare videogiochi può costare centinaia di milioni di dollari, e considerate le loro tabelle di marcia dai tempi folli, per il 99,9% delle aziende là fuori dedicare del tempo per tradurre un gioco in una lingua accessibile solo a una popolazione molto ristretta non è sostenibile, in un'industria guidata dal capitalismo. Tuttavia, ciò non significa che non dovrebbe essere fatto: significa solo che quelle aziende hanno bisogno di indicazioni e assistenza da parte delle persone in quelle comunità e che rappresentano quelle comunità, in modo da garantire che la localizzazione venga eseguita al minore costo possibile per la produzione.

È importante farlo perché a prescindere, questi ragazzi stanno usufruendo di questi media. Quando si tratta di videogiochi, i bambini nel Nunavut sono giocatori accaniti come chiunque altro al mondo: sono online su Call of Duty, sono ossessionati dalla saga di Candy Crush su Facebook, vanno a scuola giocando a Mario sul loro Nintendo DS. Rendere quelle stesse esperienze di gioco disponibili, ove possibile, nella loro lingua è un passo importante per validare la lingua per quei bambini, per assicurarsi che capiscano che questa ha un valore anche al di fuori della loro comunità…

Di tutti i videogiochi, perché hai deciso di localizzare Osmos?

La risposta immediata è perché Osmos ce lo ha permesso. La spiegazione più lunga e dettagliata è che erano partner molto entusiasti e credevano davvero nel valore di questa localizzazione. In realtà, tutte le aziende che ho contattato ne erano entusiaste, il che mi ha davvero incoraggiato…

Quando ho presentato il gioco a Hemisphere Games [i creatori di Osmos], è stato quasi istantaneo: hanno capito subito il valore di questo progetto per la nostra comunità ed erano ansiosi di aiutare. Di fatto, l'ho proposto contemporaneamente a tre società (nel caso qualcuno dicesse “no”) e tutte e tre erano completamente d'accordo. Alla fine è stato scelto Osmos perché il dialogo nel gioco è minimo ed è stato visto come un ottimo punto di partenza. C'erano solo 300 frasi/termini da tradurre ed è stato un processo tecnico molto più semplice, rispetto a come sarebbe stato per altri videogiochi. Osmos aveva senso e gli sviluppatori non hanno esitato un secondo.

[Nota dell'autore: Hemisphere Games ha scritto riguardo l'intero processo nel suo blog [7].]

La reazione è stata molto positiva. Le persone sono felici che ci sia una app sull'App Store in inuktitut, che la lingua si stia diffondendo e stia guadagnando consapevolezza… Non è stato altro se non positivo.

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Per altri lettori che potrebbero essere interessati a localizzare software nella propria lingua, puoi spiegare come hai coinvolto ed entusiasmato le persone nella traduzione in crowdsourcing?

Ho avuto l'opportunità di essere coinvolto in molte raccolte fondi e iniziative comunitarie qui a Pangnirtung, e ho usato tecniche simili per coinvolgere ed entusiasmare la popolazione di Nunavut per questa traduzione. Si è incentrato tutto su Facebook e su dei premi.

La diffusione di Facebook nella regione di Nunavut è pazzesca. Scommetto che, pro capite, il Nunavut ha una maggiore concentrazione su Facebook rispetto a qualsiasi altra provincia/territorio/stato del Nord America.

La gente di Nunavut ha creato gruppi su gruppi per ogni comunità e interesse e siamo costantemente in contatto gli uni con gli altri, con i 2 milioni di chilometri quadrati di terra fisica resi infinitamente piccoli dalla nostra capacità di connetterci digitalmente.

Abbiamo lanciato la campagna di crowdsourcing la settimana prima del rilascio del nuovo “iPad Mini”… e abbiamo fatto dell'iPad Mini il primo premio per un traduttore selezionato a caso tra i partecipanti. Ho creato un “quiz” online che presentava all'utente 15 termini scelti a caso dal gioco. L'utente doveva solo effettuare il login, fare il quiz e veniva inserito nel sorteggio per l'iPad Mini. La risposta è stata immediata. C'erano alcuni che lo facevano a sostegno della lingua e del concetto, altri che volevano vincere l'iPad. In tutto hanno partecipato circa 86 persone. Lo stesso gioco è stato tradotto per un equivalente di 4,5 volte in totale. Alla fine sono stato in grado di esaminare un database di traduzioni, poi controllate dal mio team a Pangnirtung in modo da scegliere quali fossero i termini migliori. Successivamente abbiamo testato il gioco alle fiere e con gli amici della comunità, modificando alcune traduzioni man mano che procedevamo.

Quali sono le difficoltà del tradurre in crowdsourcing in un contesto di media digitali? Come gestisci il crowdsourcing in un territorio così remoto come il Nunavut?

[Il] più grande svantaggio è il dialetto: quando si è inclusivi e si crea una traduzione in questo modo, si sollecitano i dialetti e le opinioni di 25 comunità uniche, ognuna con il proprio dialetto leggermente diverso dagli altri, in alcuni casi anche estremamente diverso. Se guardi il documento di traduzione che abbiamo prodotto, vedrai rapidamente quanto siano diverse le traduzioni. È entusiasmante tanto quanto difficile. In un certo senso, abbiamo prodotto una traduzione che è veramente “Nunavut”: rappresenta ogni dialetto, ogni regione.

Allo stesso tempo, abbiamo prodotto una traduzione in una lingua che, giorno per giorno, nessuno utilizza veramente. Ho perso il conto di quante volte durante il beta testing ci siano state persone che dicevano: “Oh… beh… è un dialetto diverso, ma capisco quello che stai dicendo”. È un miscuglio. Non sono sicuro che sia la soluzione migliore. Sarebbe stato molto facile assumere un traduttore e far tradurre l'intero gioco in un pomeriggio.

Ma il processo [di crowdsourcing] riguardava tanto il far conoscere il gioco quanto il produrre una traduzione finita: si trattava di rendere la gente consapevole che c'erano persone nel territorio interessate e disposte a localizzare videogiochi, tanto quanto di garantire che la traduzione fosse la migliore rappresentazione di un dialetto.

Come ho accennato, nonostante la nostra connessione internet sia lenta, la popolazione del territorio è molto connessa e molto esperta di tecnologia. Non ho avuto problemi dal punto di vista tecnico. La gente ha capito subito il quiz, e Facebook e Twitter ci hanno permesso di spargere la voce in ogni angolo del territorio in meno di un'ora.

Ryan spiega ulteriormente il processo di crowdsourcing in questo video:

Quali sono le difficoltà del localizzare software per la lingua inuktitut in particolare?

…Dopo che il gioco è stato rilasciato e la stampa ha iniziato a seguirlo, abbiamo ricevuto un'e-mail da una persona della Commissione Linguistica che segnalava errori di ortografia che avevamo commesso secondo il “sistema di scrittura standardizzato per la lingua inuktitut”. Non sapevo nemmeno che esistesse un sistema del genere.

Una cosa che ho imparato da anni di lavoro con I'inuktitut e di tentativi nel produrre documenti scritti è che non farai mai contenti tutti. Anzi, sarà raro fare contento qualcuno.

Questo porta all'altra sfida della localizzazione in inuktitut. Osmos è un gioco con tutto il testo scritto, e l'inuktitut è prima di tutto una cultura orale: la scrittura non è mai stata separata dalla cultura inuit ed è stata solo l'invasione dei missionari che ha portato a un sistema di scrittura. Detto questo, i sillabici sono stati adottati dalla maggior parte degli inuit e il sistema di scrittura persiste e ha un certo ruolo, in un territorio sempre più occidentalizzato. È difficile da elaborare. Per molti aspetti, la localizzazione sarebbe più semplice se la facessimo oralmente; la lingua si presta molto più facilmente alla traduzione orale. Tuttavia, è anche incredibilmente costoso e tecnologicamente proibitivo: il costo di registrare qualcuno che fa il doppiaggio (e lo fa bene), e di inserirlo in un videogioco è enorme; con una localizzazione scritta dovevamo solo modificare un singolo file…

Qual è il futuro di Pinnguaq?

Abbiamo diversi progetti in corso. Il primo sarà il rilascio della nostra prima app originale per iPad chiamata Songbird. Dovrebbe uscire all'inizio di settembre e servirà a promuovere la cultura e la lingua inuit, insegnando la lingua attraverso la musica. È un po’ un esperimento che stiamo facendo per vedere quanto sia facile (e quali siano i modi migliori di) insegnare la lingua attraverso la musica. È molto vicino alla conclusione, stiamo solo risolvendo i bug ora.

Allo stesso tempo stiamo lavorando a tre nuovissimi progetti:

Nell’immediato futuro (20 luglio), il Museum of Inuit Art di Toronto ospiterà una mostra chiamata The Art of Play [L'arte del gioco], che esaminerà la rappresentazione degli inuit nei videogiochi. Pinnguaq ha un ruolo importante in questo. Songbird e Osmos saranno entrambi parti permanenti della collezione, oltre che attrazioni della mostra. A settembre parlerò del processo di sviluppo di questi giochi, dei progetti e della missione aziendale.

Per saperne di più su Pinnguaq, visita il loro sito web, [2] metti Mi Piace alla loro pagina Facebook [8] e seguili su Twitter con @Pinnguaq [9].