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Honduras: la stampa si confronta con la violenza

Categorie: America Latina, Honduras, Citizen Media, Guerra & conflitti, Media & Giornalismi

Questo articolo è stato scritto da Ana Arana e Daniela Guazo per Fundación MEPI [1] [es], ed è la terza e ultima parte di una serie sulla copertura della criminalità in Honduras. Per avere un quadro più completo, si leggano la prima [2] [it] e la seconda [3] parte.

Giornalisti che manifestano in Honduras. Foto di Lilian Caballero condivisa da Esther Vargas su Flickr sotto licenza Creative Commons (CC BY-NC-SA 2.0) [4]

Giornalisti che manifestano in Honduras. Foto di Lilian Caballero condivisa da Esther Vargas su Flickr, licenza Creative Commons (CC BY-NC-SA 2.0)

Pochi capiscono perché la nota roja (breve articolo di cronaca nera) abbia proliferato nel giornalismo honduregno. Molti giornalisti intervistati evidenziano come sia difficile scrivere sulla violenza nel Paese a causa di mancanza di informazioni ufficiali fornite dalle autorità, scarsa tutela verso i giornalisti e la paura di essere puniti se si scrive con eccesso di dettagli. “Alcuni anni fa,” ci ha spiegato un altro giornalista che copre i fatti criminali a Tegucigalpa, “era molto famoso un bandito che si chiamava El Gato Negro (Il Gatto Nero). Quest'individuo gestiva un commercio di droga al dettaglio, e quando qualcuno lo identificava in un articolo, si recava alla sede del giornale, a chiedere chi era il giornalista in questione e come aveva ottenuto quell'informazione”.

Molte redazioni hanno vietato l'ingresso dei loro giornalisti nei quartieri più pericolosi di San Pedro Sula e Tegucigalpa, assediati dalle pandillas (bande giovanili). Allo stesso modo, sono inesistenti le inchieste svolte nei dipartimenti di Olancho, Atlántida, Puerto Cortés (La Mosquitia) e Colón, aree in cui si muove il narcotraffico, e la cronaca di queste zone, sui giornali, si pubblica solo nella sezione di notizie brevi. “È molto difficile coprire la cronaca nel nostro Paese. I familiari non vogliono parlare, e per motivi di sicurezza molte volte evitiamo di seguire ulteriori sviluppi dei fatti,” spiega un editore di Tegucigalpa.

Il dibattito ha causato molta agitazione in diversi settori, che rimproverano ai giornali la pubblicazione di immagini troppo violente (violenza grafica). “Questo diventa necessario quando i giornalisti hanno scarse capacità. Includono certe immagini per vendere di più, e pur essendo coscienti dell'impatto che così tanta violenza grafica ha sui lettori, non ci fanno caso,” racconta un membro della Commissione per i Diritti Umani di San Pedro Sula, che ha voluto restare anonimo poiché non autorizzato a rilasciare dichiarazioni.

Secondo un'inchiesta realizzata a marzo 2013 dal gruppo DLA Consulting, su 10 persone intervistate, 4 hanno dichiarato che leggere i giornali causava loro “paura, nervosismo e preoccupazione”. Anche gruppi di imprenditori e leader politici accusano i giornali di descrivere un Honduras non reale.

Questa discussione è stata sfruttata al meglio dal Presidente Lobo, che nel 2013 ha tentato di introdurre delle leggi per regolamentare la copertura stampa della violenza. Queste disposizioni sono state vigorosamente criticate dai media e da gruppi internazionali che proteggono la libertà di stampa. La proposta del governo disciplinerebbe la pubblicazione di contenuti, includendo sanzioni per divulgazione di violenza, esaltazione di atti criminali, apologia di delitto, espressioni oscene, o qualsiasi attentato “contro la morale e il buon costume”. A maggio, i direttori dei principali media hanno negoziato un codice di condotta volontario volto a promuovere il rispetto di alcuni valori base e a evitare la diffusione di immagini che “incitano al vizio e alla violenza”. Nonostante ciò, il Presidente Lobo continua ad accusare i media di speculare sulla violenza.

Tra l'incudine e il martello

A metà di luglio 2013, parti di un corpo parzialmente carbonizzato galleggiavano in una piccola laguna tra i canneti di San Pedro Sula. Era Aníbal Barrow, un commentatore televisivo che due settimane prima (del ritrovamento del corpo) era stato fermato e obbligato a uscire dalla sua macchina da dieci uomini pesantemente armati, mentre transitava per le strade di San Pedro Sula. Alcuni membri della sua famiglia e il suo autista erano stati sequestrati nello stesso momento, ma successivamente liberati, a differenza del commentatore.

Barrow era amico intimo del Presidente Lobo e fu il secondo giornalista notoriamente legato al leader politico ad essere assassinato in maniera violenta in meno di due anni. In maggio 2012, Ángel Alfredo Villatoro, un altro noto giornalista, era stato sequestrato e il suo corpo era stato ritrovato, due settimane dopo, con addosso un'uniforme della squadra speciale Cobra della polizia nazionale honduregna. Non si sa se gli indumenti fossero un messaggio o un commento, dato che, pochi giorni prima del suo sequestro, il servizio di scorta di Villatoro era stato sospeso per ordine della polizia stessa.

Le fonti serie e affidabili riguardo gli omicidi di giornalisti scarseggiano, e il movente svanisce tra supposizioni e opinioni, dice un editore. “A volte analizziamo troppo le vicende, senza raggiungere nessuna conclusione.” Secondo un altro giornalista, parte della paura diffusa tra i reporter di indagare sulle ragioni degli omicidi deriva dalla paura dei mandanti, e delle connessioni che si creano tra criminalità organizzata, politici, mezzi d'informazione e corpi di polizia.

Mancano comunicati ufficiali

Secondo giornalisti e editori intervistati a San Pedro Sula e Tegucigalpa, la carenza di protezione ufficiale è strettamente connessa alla mancanza di informazione pubblica e affidabile proveniente dalla polizia o da altre entità governative. I reparti di medicina legale si rifiutano di fornire dettagli sulle vittime, e i commissariati rilasciano solo spogli comunicati stampa.

Le entità governative non divulgano informazioni per diverse ragioni. Una è la collusione dei membri del governo e di sezioni intere della polizia con la criminalità organizzata, come segnalato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti già nel 2010. Molti honduregni sono convinti che le forze di sicurezza siano coinvolte in operazioni di “pulizia sociale” e in omicidi di persone scomode per il governo. Bisogna considerare, tuttavia, che anche i poliziotti e gli altri funzionari statali operano in condizioni complicate, mettendo a rischio la propria incolumità. Più di 120 agenti sono morti violentemente negli ultimi tre anni, secondo l'Ufficio per i Diritti Umani dell'Honduras e la polizia honduregna.

Persino gli alti ufficiali governativi corrono dei rischi se parlano troppo. A dicembre del 2009, sei mesi dopo il golpe contro Zelaya, Arístides González, leader della lotta al traffico di droga, venne assassinato a Tegucigalpa, dopo aver annunciato che il governo avrebbe adottato dei provvedimenti contro le piste di atterraggio clandestine nel dipartimento di Olancho. González aveva dato l'ordine di indagare su un gruppo alleato al cartello messicano di Sinaloa. Il suo omicidio fu eseguito da un trafficante locale.