Scritto da Sam Gregory, Direttore di WITNESS, questo post è stato pubblicato per la prima volta sul blog di WITNESS. [en, come tutti i link seguenti]
Nell'ultimo mese, molte persone negli Stati Uniti e in tutto il mondo sono state esposte ad alcuni video che mostravano terribili violenze, in particolare l'uccisione da parte dell'ISIS dei due giornalisti James Foley e Steven Sotloff e del volontario britannico David Haines. Questi video, nella loro violenza cruda e reale, anche se tristi, purtroppo, non sono poi così eccezionali per coloro che su Twitter hanno a che fare con i diritti umani e le situazioni critiche; hanno avuto invece grande risalto sui principali media e hanno acceso un importante dibattito sui ruoli e sulle responsabilità in merito a immagini così violente e a violazioni dei diritti umani troppo clamorose.
In risposta alla circolazione dei video creati dall'ISIS, i vari social media hanno reagito ritirando il filmato, mentre i privati cittadini, così come i familiari di coloro che sono stati assassinati hanno creato degli hashtag mirati e fatto degli appelli personali spiegando perché avevano deciso di non vedere il video, incoraggiando gli altri a fare altrettanto.
[La foto apparsa grazie all'utente di Twitter Sajad Riyad – è un'iniziativa portata avanti dai sostenitori e dai colleghi del volontario britannico David Haines, decisi a far circolare l'immagine di Haines proprio “come lui avrebbe voluto essere ricordato” piuttosto che un video in cui viene ucciso dall'ISIS e che è diventato un fatto internazionale, Settembre 2014.]
All'interno della comunità di persone con cui lavora WITNESS, queste notizie hanno portato a riflettere sulle criticità delle piattaforme commerciali di social media, e su quanto dobbiamo impegnarci come cittadini, utenti di social e consumatori di informazioni e di immagini.
Gli standard di coerenza su Cosa è presente nelle Piattaforme Commerciali
Sebbene spesso percepiamo YouTube e Facebook come spazi liberi e aperti al pubblico, in realtà non lo sono affatto. Secondo il parallelismo di Ethan Zuckerman, essi sono molto più simili a dei centri commerciali, in gran parte animati dagli obblighi di mercato che li rendono sempre più spazi pubblici. Sono governati da alcune linee guida relativamente diffuse su quale contenuto è accettabile oppure no (così si permette la giusta quantità di giudizio alle piattaforme), e dalle differenti impressioni da parte degli utenti e all'interno di esso su quale sia il loro scopo e il loro pubblico.
Nonostante non sia proprio l'ideale che le decisioni sulla libertà di espressione vengano prese dalle piattaforme commerciali, dato il ruolo che queste svolgono nella diffusione di informazioni fondamentali, WITNESS promuove la diffusione di contenuti discutibili ma che rimangano in queste piattaforme, e una maggiore chiarezza e coerenza, per quanto possibile, sul quando e sul perché questo materiale viene rimosso.
YouTube per esempio, solitamente pubblica immagini crude e realistiche solo in situazioni che violano palesemente i diritti umani, piuttosto che celebrare e confermare l'atto in sé. Per cui, nel caso del filmato di James Foley, YouTube, in riferimento al reporter di Slate riguardo le proprie politiche sulla diffusione di contenuti volutamente violenti, che incitano questi tipi di atti e all'odio, ha dichiarato:
YouTube ha una politica abbastanza chiara che proibisce (la pubblicazione) di contenuti con violenze gratuite, discorsi di incitamento all'odio e istigazione a commettere atti violenti, e rimuoviamo i video segnalati dai nostri utenti che violano questa politica” ha dichiarato tramite email un loro portavoce. “Inoltre eliminiamo ogni account registrato da parte di un membro di qualsivoglia Organizzazione Terroristica Straniera e utilizzato, nella sua veste ufficiale, come promotore dei propri interessi.”
Attenersi costantemente a questi tipi di approcci, indipendentemente da chi è coinvolto in queste violazioni, ci aiuterà a stabilire degli standard più trasparenti.
Attenersi strettamente alle prove o no?
Anche con parametri chiari, è il caso che alcuni filmati su YouTube e su altri importanti social media, che hanno un certo valore per la giustizia e per la responsabilità, vengano tolti – o perché come prova non possono essere usati o perché ci si appella al giudizio umano se il materiale sia adeguato alle linee guida della compagnia. Un video che mostra violazioni dei diritti umani è, molto spesso, crudo e sgradevole, talvolta fa rivivere il trauma, è frequentemente soggetto ad essere arbitrariamente o correttamente rimosso dagli amministratori oppure riempito di attacchi congiunti da attori esterni (un problema comune a molti social media). Quando prendiamo in analisi la scaletta dei video condivisi dai cittadini sul canale dei Diritti Umani (presente su YouTube), notiamo che dei quasi 6.000 video riguardante le violazioni di diritti umani, quasi il 5% al momento sono scomparsi. Ciò potrebbe significare che sono stati cancellati, rimossi o resi non pubblici.
Un'idea che stava circolando prevedeva un “archivio delle prove” in formato digitale, il quale avrebbe assicurato che lo strumento in mano ai cittadini e legato ai diritti umani, forte ma al tempo stesso offensivo, poteva essere scaricato e salvato. Tutto ciò poteva essere fatto conservando i metadati e altre importanti informazioni del video, in modo da poterlo poi usare in casi futuri di procedimenti penali e di indagini portate avanti dalle ONG e dai difensori dei diritti umani, anche quando il filmato fosse già rapidamente cancellato dai social.
In aggiunta ai vari dibattiti su come sia possibile permettere la creazione di migliori archivi riservati ai diritti umani e degli strumenti che consentano la condivisione in sicurezza di materiale pericoloso o compromettente, l'idea (in questi tipi di progetti è inclusa anche la nostra app InformaCam) è quella di permettere all'autore stesso di inviare il contenuto direttamente agli inquirenti e ai gruppi per i diritti umani.
La circolazione e la condivisione continua dei filmati incriminati
Negli ultimi anni, i gruppi per i diritti umani e i giornalisti si sono scontrati con un numero sempre maggiore di immagini veramente cruente — alcune anche più pervasive di quelle che abbiamo visto recentemente- che hanno avuto modo di visionare in quanto documentazione, elemento investigativo o potenziale contenuto giornalistico.
I filmati dei colpevoli formano la gran parte di questi contenuti; ma hanno, però, formato e formeranno ancora, gran parte delle campagne per i diritti umani, dei procedimenti contro i crimini internazionali e delle indagini giornalistiche. Le immagini di violenza della polizia, girate dagli stessi poliziotti, hanno spronato molti paesi a fare delle campagne pubbliche. E i vari tipi di immagini mostrate da gruppi come l'ISIS potranno, un giorno, essere utilizzate come prove nei processi contro i crimini internazionali. Storicamente, nei processi internazionali, molto spesso le affermazioni fatte dagli autori stessi dei crimini sono state la parte più incriminante. Tuttavia, però, con la circolazione di tali immagini facciamo propaganda a coloro che violano i diritti, possiamo giustificare quanto emerso in alcuni contesti considerandolo un mercato delle terribili immagini dei crimini; vittimizziamo e violiamo ancora, per la terza volta, la dignità delle persone che hanno già subito un abuso diretto e che hanno provato la violenta umiliazione di essere state catturate dalla videocamera in quel momento.
Questo è l'importante ruolo che possono giocare le piattaforme sociali, le agenzie di stampa e i cittadini preoccupati per l'argomento. Promuoviamo, nell'ambito dei social media e delle piattaforme che condividono video, la creazione di alcuni strumenti incorporati ad essi che ne garantiscano l'anonimato visivo, come per esempio la funzione di YouTube che oscura i volti. Questo per permettere alle persone di pubblicare subito i video che mostrano la violazione dei diritti umani e proteggere, in parte, l'identità delle vittime e dei sopravvissuti. Uno strumento come quello che oscura i volti delle vittime o la nostra app ObscuraCam può altresì consentire agli attivisti di condividere, più volte, l'immagine dei colpevoli limitando la vittimizzazione eccessiva dei superstiti. Attraverso la circolazione di queste immagini si crea un ulteriore danno alla vittima, che ne ha avuto già abbastanza, e ai suoi familiari coinvolti emotivamente.
L'anno scorso sono state condivise immagini brutali ai danni della comunità LGBT in Russia, e l'incessante diffusione c'è stata da parte dei mezzi di comunicazione e dei privati cittadini. In questa occasione, abbiamo richiesto a gran voce che gli attivisti e gli organi di stampa dovessero, come minimo, oscurare il volto delle vittime e rendersi conto del ruolo che essi hanno nel fare esattamente ciò che vogliono i colpevoli – cioè umiliare e degradare la vittima.
La costruzione della dignità e del rispetto nella conversazione online
In alcune situazioni, possiamo anche prendere delle decisioni ponderate di non guardare e non condividere. Un problema più ampio riguarda la dignità e il rispetto per il prossimo, che sta alla base della questione se condividere certe cose, come e quando farlo. WITNESS crede nel diritto della libera espressione, online così come offline. Ma dobbiamo comunque pensare ai principi che ci portano a proteggere le persone che hanno subito violenze e offese, e alle questioni etiche che riguardano la crescente visibilità di certe immagini.
Tali questioni sono fissate, nel miglior modo, grazie a un dialogo culturale che stabilisce sempre più consensi su quando sia accettabile condividere immagini profondamente compromettenti per le altre persone, e quando mancano principi umani fondamentali come la privacy, la dignità o il consenso. Sono anche parte di un dialogo sulla necessità di comunicare che possiamo avere preventivamente — come usare la nostra capacità di partecipazione alle conversazioni online per combattere le immagini e i discorsi che incitano all'odio o sono degradanti e violenti; alcune persone hanno cercato di farlo come conseguenza alla vastissima condivisione di immagini dell'ISIS.
E’ stato appena creato un movimento internazionale che si concentra sul potere del discorso positivo in contrapposizione ai discorsi di incitamento all'odio e alla violenza – rappresentato da gruppi come il movimento Panzagar in Birmania, che risponde con sarcasmo ai violenti attacchi, alle immagini su Facebook e in pubblico contro i musulmani, oppure, meno a tono, sceglie di far circolare foto, come quella di David Haines che apre questo post, per dare un messaggio positivo.
Quando abbiamo bisogno dei video? E quando non dovrebbe importarci delle immagini?
Dobbiamo renderci conto che c'è bisogno di un dialogo pubblico su quali e su che tipo di immagini spingono le persone ad agire, quando “vogliamo” vedere queste immagini e cosa succede quando le tragedie non hanno immagini da mostrare. Nonostante WITNESS sia un'organizzazione basata sull'utilizzo efficiente dell'immagine in movimento nell'ambito dei diritti umani, ci siamo preoccupati riguardo la sproporzione di immagini provenienti da vari contesti (e dai diversi tipi di diritti umani coinvolti), presente in un mondo sempre più fondato sulle immagini.
Esistono poche immagini online che raffigurano le violenze nella Repubblica Centrale Africana o nella rurale Repubblica Democratica del Congo — quindi la crisi in questi paesi dovrebbe essere meno degna di nota o ci dovrebbe far pensare e agire di meno, solo perché è meno presente dell'incessante violenza documentata della Siria? E, per esempio, quando i problemi sono legati al sistema, come la discriminazione nell'accesso all'istruzione dei Rom in Europa, è difficile trovare una conclusione o una visione d'insieme. Sul perenne problema della violenza domestica contro le donne è raro avere immagini chiare che riescano a mostrare bene l'argomento alle persone, come è emerso di recente negli Stati uniti, grazie al video che mostra un illustre giocatore di football che colpisce la fidanzata nell'ascensore e la trascina fuori.
Quindi, per quanto celebriamo le possibilità di responsabilizzare la gente in un mondo con “telecamere ovunque”, dobbiamo riconoscerne i pericoli: dove siamo portati a guardare, a condividere, a mettere tra le priorità ma anche ciò che viene estromesso.
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