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Dov'è il confine dell'Europa? Un racconto da Gaziantep, città tra Turchia e Siria

Categorie: Siria, Turchia, Citizen Media, Diritti umani, Guerra & conflitti, Interventi umanitari, Istruzione, Rifugiati, The Bridge

A 80 km dalla guerra, a 100 km da Kobane [1][it, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] (la città curda prima conquistata e poi liberata dallo Stato Islamico), a 60 km dal confine con la Siria e l'ultima città europea prima di arrivare in Medio Oriente. Gaziantep [2], la metropoli turca situata più a sud, è un calderone di religione, tradizioni, modernità e contraddizioni — a metà tra il Medio Oriente e l'Europa.

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Foto dell'autrice, Nicoletta de Vita

 

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Foto dell'autrice, Nicoletta de Vita

La vita a Gaziantep è scandita dalle cinque preghiere giornaliere diffuse attraverso gli altoparlanti dislocati ad ogni angolo di strada. In città si mescolano strutture moderne ed antiche moschee nel pieno centro storico, dove i centri commerciali si alternano al gran bazar delle spezie. Una macchina su tre ha la targa siriana: in 500 mila, appartenenti al popolo martoriato dai bombardamenti e dall'avanzata dell'Isis, sono in città. Rispetto a quelli che abitano nei pressi del confine, i siriani a Gaziantep dormono in campi profughi o vecchi stabili occupati abusivamente. Lo fanno senza far rumore o alzare la voce, e i turchi non pronunciano quasi mai l'espressione “rifugiati siriani”.

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Foto dell'autrice, Nicoletta de Vita

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Foto dell'autrice, Nicoletta de Vita

 Ma c'è una piccola porzione della popolazione che lavora in una ONG ovvero la GEGD, Gaziantep E [3]ğitim ve Gençlik Dernegi [3][pagina in turco] occupandosi di accogliere, educare e istruire i bambini di origine siriana ed afghana. Ho visitato questo centro grazie a un corso di addestramento organizzato in collaborazione con l'Unione Europea da un'associazione turca che si occupa di integrazione culturale proprio a Gaziantep. La sede del centro assomiglia a una piccola villetta con il giardino e le giostre, invece è un centro in cui si confrontano, studiano e dialogano almeno dieci nazionalità e culture diverse. Ed è così che incontro Irene Itria, una ragazza italiana che dal mese di ottobre 2014 svolge il servizio di volontariato europeo presso la struttura di Gaziantep. 

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Irene Itria con altre volontarie del centro. Foto dell'autrice, Nicoletta de Vita

Appena sente una voce italiana quasi si emoziona, poiché qui è molto difficile trovare turisti e soprattutto italiani se non sono i volontari del servizio europeo. “Il nostro centro funge anche da scuola, io personalmente insegno arabo e inglese ai bambini di origine siriana ed afghana.” Le parole di Irene mi colpiscono subito e il suo sorriso trasmette perfettamente l'impegno e la passione che mette nel suo lavoro.

“Io sono italiana e parlo molto poco il turco, i bambini parlano soltanto il siriano e l'afghano e quindi insegnare l'arabo e l'inglese senza avere un linguaggio comune, è stata fin da subito una bella sfida da affrontare. Io gli do gli strumenti per poter imparare ma sono i loro sorrisi e la loro gestualità che condiscono la mia quotidianeità. Hanno fame di cultura, di sapere e soprattutto vorrebbero essere accettati o per lo meno non essere ignorati dal resto della popolazione turca”, mi dice Irene. E continua: “Se nomini il problema siriano o la parola rifugiato a un cittadino turco, lui alza le spalle e se ne va. Infatti, anche se sono molto accoglienti con le tantissime culture che convivono pacificamente, la questione dei campi di accoglienza e dei bambini che patiscono la fame a due metri da qui, non è affar loro. Non tutti i cittadini di Gaziantep la pensano così ovviamente, ma molti non sono neanche a conoscenza di questa situazione”. 

Tra le tante persone che ho incontrato in questo viaggio, soltanto Irene riesce a dare una risposta alle mie domande e mi racconta come sopravvivono con tanta dignità i siriani.

Si guadagnano da vivere principalmente dividendo la spazzatura, mi dice, separando i diversi materiali nei bidoni per poi rivenderli. Quelli che restano a Gaziantep e non si spostano in altre città turche o in altri paesi europei cercano come possono di mandare i figli a scuola, e se proprio non possono chiedono aiuto al centro culturale.

“Le famiglie siriane che ho conosciuto, anche se in condizioni economiche ed abitative veramente precarie non ricorrono alla violenza o alla delinquenza per vivere. In altre parole”, continua Irene. “Dicono che possono anche bombardargli la casa, gli ospedali, le città intere ma tutto ciò non fa di loro un popolo negativo e la dignità delle persone non cade a terra come i loro palazzi”.

“I turchi sono abituati ad essere accoglienti e tolleranti con le altre culture, poiché sono al centro tra l'Europa e l'Asia, eppure quando mi sono recata al campo dei rifugiati al confine, la tensione tra il personale e i cittadini siriani era evidente: appena arrivata infatti, mi sono accorta che i telefoni di tutti i volontari non potevano più chiamare o ricevere telefonate, erano praticamente tutti bloccati”, mi ha detto.

Mentre parla, Irene inizia ad abbassare la voce ed evitare di nominare la parola Siria o siriani. Perché ciò significa accettare il problema dei profughi. “È difficile la situazione al confine, per tanti motivi che il governo turco non riesce nemmeno ad immaginare e più si va avanti, più la situazione peggiora”.

E mentre le mie domande si fanno sempre più incalzanti, arriva la fine delle lezioni e la classe dei bambini più piccoli si appresta a uscire. Volti sorridenti, quaderni e libri tra le mani e tante ragioni per salutare con affetto la maestra Irene. Appena li invito a mettersi in posa per una foto vengo circondata dalle loro voci: “Where are you from? Where are you from?”

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I bambini della scuola di Irene. Foto dell'autrice, Nicoletta de Vita

Irene mi sorride fiera del proprio lavoro e dei frutti che sta seminando nella scuola con questi bambini.

Certi giorni, quelle voci sembrano ancora risuonare negli angoli della mia mente: “Where are you from? Where are you from?”

Non lo so, so solo che oggi mi sento a Gaziantep.