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Poesia per i rifugiati siriani: poetessa ricorda suo cugino e tutti i morti nel Mediterraneo

Categorie: Medio Oriente & Nord Africa, Nord America, Palestina, Siria, Turchia, U.S.A., Citizen Media, Letteratura, Rifugiati

Questo articolo di Jared Goyette [1] [en, come tutti i link successivi] e Steven Davy [2] per The World [3] originariamente è apparso sul sito PRI.org [4] il 19 novembre 2015, e viene qui ripubblicazione in quanto parte di un accordo per la condivisione dei contenuti.

Zena Agha è una studentessa di 23 anni dell'Università di Harvard e attraverso la sua poesia raccontata ci parla della crisi dei rifugiati in un modo che la maggior parte dei suoi coetanei non riesce a raggiungere.

Esattamente un anno prima del giorno in cui ha registrato questo video – il 16 novembre – ha scoperto che suo cugino Amjad, che viveva a Damasco, era morto su una nave di migranti capovoltasi probabilmente lungo il viaggio dalla Turchia alla Grecia.

Amjad era nei suoi pensieri e lei ha scritto questo pezzo, “Il mare è grande”, con il quale si è esibita al forum di PRI sulla crisi dei rifugiati presso la scuola Harvard Kennedy. [5]

“Penso sia importante avere questo evento e poterne parlare ora, perché sembra quasi che le corde che ci stanno tenendo insieme si stiano gradualmente logorando”, dice Agha. “Prevedo tempi bui davanti a noi, soprattutto con Parigi che è legata ai profughi; i più vulnerabili della società vengono incolpati, inavvertitamente o meno per quello che è stato fatto, e loro non hanno una voce per rispondere.”

Lei spera che la poesia possa far riflettere più profondamente gli ascoltatori sulla crisi dei rifugiati, su come si relazionano ad essa, e forse portarli ad agire.

“Se posso provocare questo nelle persone, per farli riflettere sulla vulnerabilità [dei rifugiati], ed effettivamente aiutarli a fare quel passo, quel salto, verso l'ignoto e lontano da tutto quello che conoscono”, dice. “Se riesco a creare un ponte di empatia per loro, attraverso la poesia, questo creerà una storia di successo davvero potente.”

La sua famiglia paterna è originaria della Palestina e si è stabilita a Damasco dopo il 1967. Suo padre ha smesso di insegnare in Algeria e si è trasferito a Londra negli anni '70 con 200 franchi francesi in tasca. “Lì ha avviato una compagnia di spedizione marittima incentrata sull'invio di merci in Medio Oriente. I suoi fratelli, due fratelli e una sorella, sono rimasti in Siria. È stato durante le visite ai familiari che Agha, cresciuta a Londra, ha potuto conoscere suo cugino, Amjad.

Suo padre le ha detto che Amjad aveva cercato di attraversare il Mediterraneo. Lei era devastata quando ha scoperto che Amjad, come tanti altri, non ce l'ha fatta.

“L'anno scorso, ho pianto sotto la doccia per molto tempo. E quest'anno ho fatto un respiro profondo dopo aver fatto la revisione finale [della poesia], e ho pensato ‘Questa sono io che faccio la mia parte per lui, per tutti gli altri. Mi ha colpito in così tanti modi mentre la scrivevo, mentre la recitavo, mi provoca molto dolore se ci penso, ma mi responsabilizza anche perché senza la loro lotta, non sarei ciò che sono. E senza la sua storia, non avrei la capacità di provare e condividere tutto questo. Ed è un promemoria quotidiano che ho il privilegio e il dovere di usare.”

‘Lui è uno dei tanti. Non è senza nome e senza volto, come invece lo sono altre centinaia se non migliaia di persone, ma questo non rende il dolore più lieve. Così lui è nei miei pensieri, tutti loro sono nei miei pensieri, e anche il pensiero che avrei potuto facilmente essere loro. Non c'è alcuna differenza nel sangue e nei geni tra noi e se mi dovessi soffermare su queste ingiustizie, diventerei pazza, così invece di fare accadere questo, mi metto a scrivere e a recitare i miei pensieri.”

Di seguito altre poesie su cosa vuol dire essere un rifugiato: