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Gli storici e le Antille francesi sulla frase di Sarkozy ‘I nostri antenati sono i Galli’

Categorie: Caraibi, Francia, Guadalupa, Martinica, Reunion, Arte & Cultura, Citizen Media, Elezioni, Etnia, Migrazioni, Politica, Storia
Asterix and Obelix, the Gauls (Aimer Béthune – public domain) [1]

Asterix e Obelix, i Galli (Aimer Béthune – dominio pubblico)

Nicolas Sarkozy ha dato il via alla sua campagna elettorale per le presidenziali 2017, ed è già chiaro che non farà mancare dichiarazioni singolari [2][fr, come i link seguenti].

A caccia di voti tra l'ala destra del suo partito, i repubblicani, con un suo recente commento ha sollevato qualche perplessità: “Una volta diventato francese, i tuoi antenati sono i Galli [3]“.

A parte la bizzarria genealogica insita nel discorso, si direbbe che Sarkozy stia cercando di sfruttare a proprio vantaggio le spaccature già esistenti nel paese, visto il particolare significato storico di questa frase sui “nostri antenati”.

Questo concetto è apparso per la prima volta nei libri di storia della Terza Repubblica, poco dopo il 1870, su esortazione dello storico Ernest Lavisse. Ecco la sua spiegazione [4]:

Il y a dans le passé le plus lointain une poésie qu'il faut verser dans les jeunes âmes pour y fortifier le sentiment patriotique. Faisons-leur aimer nos ancêtres les Gaulois et les forêts des druides, Charles Martel à Poitiers, Roland à Roncevaux, Godefroi de Bouillon à Jérusalem, Jeanne d'Arc, Bayard, tous nos héros du passé, même enveloppés de légendes car c'est un malheur que nos légendes s'oublient

Nel nostro passato più remoto c'è una poesia che dobbiamo instillare nelle anime dei nostri giovani per rafforzare il loro sentimento patriottico. Dobbiamo insegnare loro ad amare i nostri antenati Galli e le foreste dei druidi, Carlo Martello a Poitiers, Rolando a Roncisvalle, Goffredo di Buglione a Gerusalemme, Giovanna D'Arco, Bayard, tutti i nostri eroi del passato, anche se le loro storie si confondono con la leggenda, perché sarebbe tragico che i nostri miti andassero dimenticati.

Il problema è che questa affermazione, riportata nei libri di testo francesi fino agli anni '80, non è esatta. Come spiega [5] Suzanne Citron, autrice del libro “Le Mythe national: l'histoire de France revisitée”:

Cette lecture du passé français à travers la grille d’une Gaule qui préfigurerait la ‘nation’ est obsolète et non sans effets pervers. D’une part elle conditionne spatialement le passé autour du seul Hexagone, excluant de ce passé tout ce qui géographiquement lui est extérieur, comme les Antilles ou même la Corse.

Elle confère à la durée de la présence sur le sol hexagonal présumé ‘gaulois’ une vertu quasi-magique au nom d’une antériorité généalogique qui serait synonyme de supériorité. D’autre part, et c’est le plus grave, l’idée d’une souche gauloise ethnicise fantasmatiquement la ‘véritable’ nation et nie la diversité raciale et culturelle qui a constamment accompagné la création historique de la France.

Cercare di comprendere il passato della Francia da una prospettiva che ritiene i Galli i precursori della nostra nazione è qualcosa di obsoleto e abbastanza pericoloso. Da un lato costringe la nostra storia entro i limiti della Francia continentale, escludendo tutto ciò che sta geograficamente fuori, ad esempio nelle Antille o perfino in Corsica.

Conferisce una valenza quasi magica alla presenza di vecchia data sul presunto suolo “gallico”, promuovendo l'idea che tali antenati siano sinonimo di superiorità. Dall'altro lato, e questo è più grave, l'idea di una discendenza gallica assegna un'etnicità fittizia alla “vera” nazione e nega la diversità razziale e culturale che da sempre è parte integrante della storia francese.

La Gaule celtique via contreculture - domaine public [6]

La Gallia Celtica, come descritta da Cesare. (Pubblico Dominio)

Mathilde Larrere [7], una studiosa specializzata in storia delle rivoluzioni e delle vicende legate alla cittadinanza, fa notare che questa frase era già superata [8] durante il periodo coloniale:

Un mantra insegnato nelle scuole della Terza Repubblica e poi delle colonie, cosa che è piuttosto ironica.

Sarkozy ha così risposto [11] alla crescente controversia:

Ça veut dire qu'il y a un roman national, que ce roman national ce n'est pas forcément la vérité historique dans son détail mais c'est un roman national peuplé de héros qui ont fait la France, et quand on est fils d'un hongrois ou fils d'un algérien et que vous arrivez en France, on ne vous apprend pas l'histoire de la Hongrie ou de l'Algérie, on vous apprend l'histoire de France. Le nivellement de la pensée unique sur le droit à la différence ça suffit.

Intendo dire che esiste una narrazione nazionale, non per forza storicamente veritiera in ogni dettaglio, ma una narrazione nazionale popolata di eroi che hanno reso la Francia ciò che è, e se sei figlio di un un algerino o di un ungherese arrivati in Francia, ti viene insegnata la storia della Francia, non dell'Ungheria o dell'Algeria. Basta con l'appiattimento sul pensiero unico secondo cui ognuno ha diritto alla propria diversità.

Sarkozy sembra credere che accettare un condivisa discendenza Gallica sia un requisito essenziale per il processo di integrazione nella nazione francese. Ma come viene sentita la sua affermazione da quei Francesi che sono certi di non avere antenati tra gli antichi Galli?

Dessin sur les ancêtres gaulois via Aimer Béthune - Domaine public [12]

“Non sono sicuro che ci crederanno a lungo!” (Vignetta di Aimer Béthune — pubblico dominio)

Il professore di storia Thomas Snégaroff cita il poeta della Martinica Aimé Césaire [13] a proposito dei “nostri antenati Galli”:

Quand vous lisez à 6 ans que vos ancêtres étaient des Gaulois, qu'ils étaient blonds aux yeux bleus…Et l'instituteur et nous mêmes nous rigolions. Nous étions avant tout des nègres et créolophones.

Quando a 6 anni leggevamo che i nostri antenati erano dei Galli con i capelli biondi e gli occhi azzurri… non eravamo solo noi a ridacchiare, ma anche l'insegnante. Prima di tutto eravamo neri e parlavamo creolo.

Intanto Josette Borel-Lincertin, presidentessa del Consiglio del Dipartimento di Guadalupa, disapprova una così “limitata visione della Francia [14]”:

La République que nous défendons c'est précisément celle qui parvient à célébrer l'unité dans la diversité et certainement pas celle qui imposerait une vision étriquée de la France, de son identité et de son histoire. Je regrette cette escalade verbale de candidats qui, dans leur course effrénée derrière les électeurs du Front national, arrivent à en adopter les thèses plus éculées, les plus rétrogrades et les plus ineptes du point de vue historique.

La repubblica che difendiamo è chiaramente quella che celebra l'unità nella diversità e non certo quella che impone una visione ristretta della Francia, della sua identità e della sua storia. Mi dispiace assistere all'escalation verbale dei candidati che, nella loro rincorsa ai voti degli elettori del Front National, arrivano a sostenere gli argomenti più banali, retrogradi e storicamente inesatti.

Jean-Christophe Lagarde, presidente dell'Unione dei Democratici e degli Indipendenti, ricorda inoltre i francesi provenienti dalle antiche colonie [15],

 dont les parents et les grands-parents se sont battus pour que nous soyons aujourd'hui un pays libre.  C’est une fiction scientifique, le peuple gaulois n’existait pas. C’est la composition de plein de peuples. La définition du citoyen français c’est de partager les valeurs de la France de liberté, d’égalité, de fraternité et de laïcité.

[…] [Le persone] i cui padri e nonni hanno combattuto perché noi oggi potessimo essere una nazione libera. […] I Galli non esistevano, sono una finzione. Erano un'amalgama di molti popoli diversi. […] Ciò che definisce un cittadino francese è la condivisione dei valori della Francia: libertà, uguaglianza, fratellanza e laicità dello stato.

Ed infine, Myriam Cottias, che guida il primo centro francese per la ricerca sulla schiavitù, durante il suo intervento ad una conferenza sull'argomento, ha spiegato perché nelle Antille quella frase suona piena di significati nascosti [16]:

(..) a choisi pour cette conférence le titre Nos ancêtres les Gaulois… La France et l’esclavage aujourd’hui. Pour les Antillais, cela fait sens. Je ne sais si tel est le cas au-delà des Antilles, mais la formule soulève une question très importante : la possibilité de resituer, dans un parcours historique, la relation des Antilles avec l’Hexagone pour essayer de penser une relation qui ne serait pas prise dans la relation coloniale. La traduction concrète [de nos ancêtres les Gaulois] est la suivante : les anciens esclaves deviennent des Français à part entière.  Voilà pourquoi « nos ancêtres les Gaulois », le mythe fondateur français, sera enseigné dans les colonies. Les Antilles sont devenues françaises et se sont structurées localement sur la base de l’oubli de l’esclavage. Il ne peut être qu’un mot d’ordre politique car c’est un oubli impossible, surtout lorsque les structures de travail demeurent les mêmes, que la hiérarchie raciale héritée de l’esclavage demeure la même. Ce qui n’avait pas été prévu, à mon sens, c’est que le discours universaliste, égalitariste de la République allait produire un tel oubli.

Il titolo di questa conferenza è “I nostri antenati Galli… La Francia e la schiavitù oggi.” Per chi viene dalle Antille Francesi questo concetto ha molto senso. Non so se è così anche al di fuori delle Antille, ma questa frase sottolinea una questione importante: se sia possibile instaurare, lungo un percorso storico, una relazione tra le Antille e la Francia continentale che non sia più legata al colonialismo. […] Con l'abolizione della schiavitù, libertà, uguaglianza e fratellanza valevano per tutti, gli ex-schiavi erano ora cittadini francesi a tutti gli effetti. Ecco perché il mito dei “nostri antenati Galli” veniva insegnato nelle colonie. Quando le Antille sono diventate francesi e si sono strutturate localmente, la parola d'ordine era “dimenticare la schiavitù”. […] Naturalmente si è trattato solo di una formula politica, poiché dimenticare è impossibile, soprattutto quando le modalità lavorative non sono cambiate […] e la gerarchia razziale ereditata dalla schiavitù è rimasta la stessa. […] Ciò che non era stato previsto, a mio avviso, è che sarebbe stato il discorso universalista ed egualitario della Repubblica a far dimenticare la schiavitù.