Se sei un sostenitore di Israele, avrai probabilmente visto i video [ebraico] nei quali Hamas lancia razzi in prossimità dell’ospedale di Shifa. Altrimenti, se sei pro-palestinese, avrai letto questo articolo [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] su un cecchino, presumibilmente appartenente all’esercito israeliano (IDF), che ha ammesso su Instagram di aver ucciso 13 bambini di Gaza.
Mentre una guerra infuria tra le terre di Gaza e i cieli di Israele, un'altra, totale, infiamma i social network: la guerra dell'informazione.
Ci sono ottime probabilità che gli israeliani e i loro sostenitori trovino nei loro feed video dell’esercito che, come questo, descrivono armi e tunnel rinvenuti all’interno di moschee, mentre tra i gruppi pro-palestinesi circoleranno piuttosto immagini che mostrano la distruzione delle moschee di Gaza per mano dell’IDF. Da una parte i video dei razzi intercettati nei cieli di Tel-Aviv, dall’altra le letali conseguenze dell’esplosione di un missile nelle vicinanze di Gaza.
Più modelliamo i profili dei consumatori secondo le loro preferenze, meglio costruiamo dei sistemi di raccomandazioni che catturano completamente l’attenzione dell’utente. In un certo senso, stiamo costruendo dei motori di propaganda personalizzata che forniscono agli utenti dei contenuti che li fanno sentire a loro agio, scartando invece quelli con cui non sarebbero d’accordo.
Prima, riguardo la disinformazione, potevamo accusare i media. Adesso possiamo incolpare solo noi stessi.
Personalizzare la propaganda
Non solo ci sono molti più media, questi interagiscono con noi anche ad un ritmo molto più intenso, e da molte più fonti. Poiché i nostri profili online sono costruiti in base a ciò che già sappiamo, ciò che ci interessa e le raccomandazioni suggerite, i social network sembrano creati ad hoc per rinforzare le nostre credenze. Gli spazi personalizzati, ottimizzati al fine di aumentare la partecipazione, danno la priorità a contenuti che dovrebbero generare più traffico; più clicchiamo, condividiamo, mettiamo “mi piace”, più alta è la partecipazione monitorata.
I contenuti che ci fanno sentire a disagio, sono filtrati.
Eli Pariser, fondatore di Avaaz.org e amministratore delegato di Upworthy, aveva già anticipato il problema dell’effetto ‘Bolla Filtro’ in un TED talk:
Nella società dei mass media c'erano i “guardiani” di certe professioni, ad esempio i direttori dei giornali, che controllavano il flusso delle informazioni. Poi è arrivato internet, che li ha annientati, e ha permesso a tutti quanti di connettersi e accedere direttamente all'informazione: geniale. Ma non è in realtà quello che sta accadendo adesso.
Non stiamo ascoltando diversi punti di vista, piuttosto sempre gli stessi.
Una democrazia salutare riposa su un ecosistema mediatico sano. In quanto costruttori di spazi online interconnessi, come possiamo assicurarci che questi siano ottimizzati non solo per aumentare traffico e frequentazione, ma anche per un pubblico ben informato?
I media costruiscono la realtà
Mentre scrivo questo post, stanno emergendo dettagli circa un attacco missilistico dell’aeronautica militare di Israele vicino ad una scuola delle Nazioni Unite a Rafah. L’attacco ha provocato almeno 10 morti, e molti feriti. L’IDF ha dichiarato che l’obiettivo erano tre jihadisti che circolavano in moto nei pressi della scuola, e non la scuola stessa.
In meno di un’ora i grandi portali dell'informazione in lingua inglese riportavano la notizia (per maggiori dettagli, consultare la gallery di immagini):
- New York Times: “Airstrike Near U.N. School Kills 10” – “Un’incursione aerea vicino ad una scuola ONU, 10 morti”
- Google News: “US ‘Appalled’ by ‘Disgraceful’ UN School Shelling” – “Gli USA ‘scioccati’ per il ‘vergognoso’ bombardamento di una scuola ONU”
- CNN: “U.N. Calls Strike near Gaza Shelter ‘Moral Outrage’” – “L’ONU definisce l’incursione vicino ad un rifugio di Gaza “‘oltraggio morale’”
- Huffington Post: “State Dept: Israel Shelling ‘Disgraceful’” – “Dipartimento di Stato: il bombardamento israeliano è ‘vergognoso’”
Dando una scorsa ai più importanti portali mediatici israeliani online, si nota che l’incidente è appena menzionato (i titoli sono tradotti dall’ebraico):
- Ynet: “L’IDF dispiega le truppe, 95 razzi di Hamas oggi”. Un piccolo accenno all’incidente, in fondo alla pagina.
- Mako (Channel 2 News): Un Generale dell'IDF: “partiremo e distruggeremo ogni tunnel che troveremo”. Nessun accenno all’incidente della scuola ONU.
- Nana: Non un accenno all’incidente.
- Ha’aretz: In prima pagina un articolo sull’attacco alla scuola ONU.
Come si evince, non vi è praticamente alcun accenno all’incidente sulla versione digitale dei principali media israeliani.
Ha’aretz ha trattato la notizia, ma bisogna precisare che Ha’aretz è seguito da meno del 10% dei lettori, in quanto considerato un media che promuove idee estremamente liberali. A causa di questa guerra, il giornale sta perdendo anche molti abbonati, arrabbiati per gli articoli contro l'esercito israeliano.
Gli israeliani sono convinti che i media di tutto il mondo siano di parte, anti-israeliani e assai faziosi riguardo la causa palestinese.
Ciononostante, alcuni israeliani sono insorti contro i loro media, chiaramente di parte, pesantemente concentrati in poche mani di proprietari privati (come: la famiglia Mozes e Sheldon Adelson).
L’illustrazione qui a fianco, creata nel 2012 in risposta alla copertura da parte della CNN della dittatura in Bahrein, è stata molto condivisa dagli utenti di Facebook israeliani nelle scorse settimane. Riflette alla perfezione l’opinione che gli israeliani nutrono nei confronti dei media occidentali, irrazionali e distaccati dalla realtà.
Queste scelte deliberatamente operate dagli organi di stampa modellano la nostra realtà, e la nostra possibilità, in quanto lettori, di essere ben informati.
Gli israeliani dovrebbero mostrare più sensibilità riguardo l’attacco di una scuola dell’ONU? In questo caso, a chi attribuirne la responsabilità?
Sui social media
… il paesaggio è molto più sfumato, e altamente personalizzato. Costruiamo infatti una rappresentazione dei nostri interessi scegliendo di seguire o di mettere “mi piace” a determinate pagine.
Più ci intratteniamo con determinanti tipi di contenuti, più vedremo apparire nei nostri feed contenuti simili.
Le funzioni di raccomandazione e valutazione si basano sulle nostre rete di connessioni e le nostre azioni online, costruendo un modello che insegue la partecipazione; maggiori sono l'interazione, il traffico, i mi piace, le condivisioni e via di seguito, maggiore è il presunto valore dell’azienda. E sappiamo che il mercato capitalistico apprezza un valore in crescita.
Facebook gioca un ruolo chiave nella diffusione dell'informazione su vasta scala. Alcuni israeliani condividono notizie sulla loro bacheca, molti seguono i contenuti pubblicati da alcune pagine Facebook molto popolari. Si tratta di pagine pubbliche che generalmente propongono meme divertenti, o immagini che catturano l’attenzione sullo stile di Buzzfeed, contenuti quindi altamente condivisibili e perfetti per il tipo di interazione promossa da Facebook.
StandWithUs (413.000 mi piace), un'organizzazione internazionale no-profit dedicata ad “informare il pubblico su Israele, combattere l'estremismo e l'antisemitismo” non ha affatto menzionato l’incidente. Stessa cosa per Kikar Hashabat (117.000 mi piace) e Tweeting Statuses (605.000 mi piace), una pagina umoristica di selezione notizie molto seguita.
Invece, la mappa qui a fianco, che presenta la striscia di Gaza come un campo minato, è stata postata con il seguente commento: “Attualmente in diffusione su WhatsApp”.
Il moderatore del gruppo ha chiaramente ricevuto l’immagine da un gruppo WhatsApp e l’ha postata su una pagina pubblica di Facebook dove ha ricevuto più di 11.000 mi piace, centinaia di condivisioni e 133 commenti, che andavano dalle critiche alle giustificazioni; un flusso di reazioni estremamente polarizzato.
Ancora una volta, le fonti israeliane non hanno menzionato l’incidente ONU. La notizia non è stata ripresa dai media israeliani, e nemmeno condivisa sulle pagine Facebook più popolari.
Il grafico qui di seguito rappresenta le diverse reazioni degli account su Twitter, tra il 25 e il 30 luglio, rispetto ad un altro incidente avvenuto in una scuola dell’UNWRA, l'agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, a Beit Hanun. Non è ancora chiaro chi sia il responsabile della sparatoria, anche se sembra che qualcuno abbia imparato bene le tecniche SEO [it] di Google (clicca qui per vedere cosa compare in prima posizione nella ricerca su Google).
I nodi sono gli account Twitter e le loro connessioni rappresentano le relazioni con i follower. Più grande è il nodo, più è centrale, e più seguito è l’account nel gruppo. Più sono vicini due nodi e più connessioni condividono. I diversi colori rappresentano diverse comunità, diverse regioni che mostrano significativi livelli di connessione; i nodi dello stesso colore sono molto più interconnessi rispetto a quelli del resto del grafico.
I grafici a rete sono dei metodi matematici utilizzati per modellare le relazioni tra oggetti, e sono incredibilmente utili quando si lavora con i dati dei social. Analizzare la loro struttura ci aiuta a comprendere la nostra cultura e società. In questo caso, vediamo una netta separazione tra due parti. A destra, un gruppo di attivisti “Pro-Palestina” (in verde), e diversi organi di stampa e giornalisti (in grigio). Il grappolo grigio di blogger, giornalisti e media internazionali è molto connesso con il gruppo degli attivisti pro-palestinesi, il che significa che i due gruppi accederanno alle stesse informazioni. La struttura del grafico conferma la generale convinzione degli israeliani, che i media internazionali siano di parte.
Due dei post più popolari in quest parte del grafico sono:
I've just been to the UNWRA school that was shelled last night 13 dead. 4 shells bracketed school. Targeted or not, area is civilian.
— Paul Mason (@paulmasonnews) July 30, 2014
Sono appena tornato dalla scuola dell'UNWRA bombardata la scorsa notte, 13 morti. Obiettivo o meno, l'area è civile.
Our correspondent @paulmasonnews holds up shrapnel collected at UNWRA school in Gaza http://t.co/hQ8jNFwV1h #c4news pic.twitter.com/uS726ISRU8 — Channel 4 News (@Channel4News) July 30, 2014
Il nostro corrispondente Paul Mason tiene in mano delle schegge raccolte alla scuola dell'UNWRA a Gaza.
In parallelo, dall’altra parte, troviamo i gruppi “pro-israeliani”, che includono organi di stampa, personaggi pubblici israeliani, diversi sionisti americani (in azzurro), e anche americani conservatori e membri del movimento politico Tea Party (in blu).
Tra i post più condivisi in questo lato del grafico:
How many times can UNWRA claim to be “shocked” by rockets in their schools before people stop buying it? Third time: http://t.co/qwhB9HiBDl — Yair Rosenberg (@Yair_Rosenberg) July 29, 2014
Quante volte l'UNWRA dovrà dichiararsi “scioccato” dai razzi trovati nelle sue scuole prima che la gente smetta di comprarli? Siamo alla terza volta.
What is UNWRA ? $1 billion annual budget to teach this to the Gaza kids: #hate #war #Nakba Day http://t.co/7FEY9TgMYL pic.twitter.com/OYTdME4FHm
— TB. (@tom_bench) July 30, 2014
Di cosa si occupa l'UNWRA? Un budget da un milione di dollari l'anno per insegnare ai bambini di Gaza: odio, guerra, il giorno di Nakba.
Siamo di fronte a una netta differenza di scenario fra i due poli. Nessuna di queste informazioni è di per sé falsa, ma gli utenti fanno una scelta deliberata riguardo a cosa preferiscono condividere e quindi diffondere. Si tratta di una rappresentazione dei loro valori, e dei valori dei loro contatti.
I messaggi che attraversano un lato del grafico non raggiungeranno mai l’altro.
Certi nodi sono più strategici nella prospettiva di collegare le due sfere. In questo senso, Ha’aretz ospita il maggior numeri di connessioni della parte pro-palestinese e contemporaneamente di quella pro-israeliana, ed ha quindi una posizione più centrale.
In confronto agli altri nodi, Ha’aretz è quello più in grado di diffondere all’insieme della rete estesa. Possiede il potenziale per creare un ponte che vada oltre i pregiudizi e le barriere politiche.
Su Instagram possiamo osservare una dinamica simile. Il linguaggio usato per descrivere i contenuti pro-israeliani include tag come: Israele sotto attacco, io sto con Israele, pregate per Israele e pace (#IsraelUnderFire#IStandWithIsrael #PrayForIsrael #Peace). Dall’altra parte della barricata, troviamo: Gaza libera, pregate per Gaza, genocidio e boicotta Israele (#FreeGaza, #PrayForGaza, #Genocide e #BoycottIsrael).
Contenuti e conversazioni su Instagram si addensano in due diversi campi, dove, ancora una volta, ci ritroviamo a parlare con persone che la pensano già come noi.
Definite questo fenomeno omofilia, o Bolla Filtro, ma si tratta ad ogni modo del fenomeno dominante ovunque si guardi.
Capitalismo contro democrazia
Gli spazi online personalizzati sono concepiti perché vi si ritorni il più possibile. I contenuti che generano più clic o traffico risultano avere la priorità nei nostri feed, mentre quelli che potrebbero farci sentire a disagio, vengono assorbiti dalla rete prima di arrivare a noi.
Noi costruiamo volta per volta i nostri spazi sociali – decidendo di seguire un utente, o di mettere “mi piace” a una determinata pagina o iscriverci agli aggiornamenti di una precisa tematica.
Quando mettiamo “mi piace” su una pagina Facebook ci vengono raccomandate pagine simili (vedi: filtraggio collaborativo) sulla base di azioni passate di altri utenti. Per esempio, se decidiamo di seguire Miri Regev (nell’immagine a sinistra), una politica israeliana conservatrice e di destra, il sistema ci raccomanda altri politici di destra da seguire, molti dei quali condividono la sua linea politica.
Gli algoritmi che determinano l'insieme di raccomandazioni contribuiscono a rinforzare i nostri valori, e moltiplicano le opinioni simili all’interno dei nostri flussi di informazione.
Esperimento
Le pagine dei trend di Facebook sono degli aggregati di contenuti molto popolari sulla piattaforma. Se hai già fatto il login, vedrai una versione personalizzata dei trend, che priorizza le scelte dei tuoi amici e le loro opinioni. Prova.
Ora apri un finestra in incognito (Chrome: File->Nuova finestra in incognito) e naviga sulla stessa pagina. Finché il browser non ti riconosce come utente Facebook, accederai al flusso originale e non personalizzato.
Alla ricerca di buonsenso
È con stupore che ho trovato una discussione relativamente calma su un social network – Secret.ly, una app che ti permette di condividere messaggi anonimi con i tuoi amici. Il servizio ha pubblicato una pagina con una lista di post riguardanti il conflitto. Uno di questi mi ha particolarmente colpito, non solo per il soggetto, ma anche per la discussione che ne è seguita.
La combinazione di anonimato e social network sembrano calmare i toni spesso estremi e polarizzati della conversazione.
Aiuta anche il fatto che il servizio è, relativamente parlando, abbastanza piccolo.
In chiusura
Dobbiamo riflettere su come creare e mantenere ponti attraverso i grandi siti dell’informazione online. Nell’esempio di Twitter sopra citato, Ha’aretz risulta chiaramente ben posizionato nel network per poter comunicare ad entrambe le sfere, anche se proprio per questo motivo Ha’aretz fatica a trovare il suo pubblico di riferimento, e quindi ad avere le risorse necessarie per poter crescere ed operare. Se sei arrivato fino in fondo all’articolo, è perché evidentemente l’argomento ti sta a cuore. Ci sono due modi per aiutare:
• Aiutare Ha’aretz a trovare una stabilità economica attraverso un abbonamento online (meno di 10 dollari al mese)
• Donare a 972mag.com (e alla sua controparte ebrea – Mekomit.co.il), entrambi forniscono reportage freschi e originali, coprendo sul campo eventi relativi a Israele e Palestina, e con una grande attenzione per i diritti umani e la libertà di informazione.
Riflessioni? Commenti? Mi trovate qui: @gilgul
Gilad Lotan vive a New York ed è Chief Data Scientist presso Beta Works. È uno specialista di data visualisation, scrive di dati e politica del medio-oriente.