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Una battaglia giusta: i difensori dell'immigrazione sfidano l'Ordine Esecutivo di Trump

Categorie: Medio Oriente & Nord Africa, Nord America, Iran, U.S.A., Citizen Media, Diritti umani, Idee, Legge, Migrazioni, Relazioni internazionali, Rifugiati, The Bridge
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Una dimostrante protesta reggendo un cartello con scritto “I diritti degli immigrati sono diritti civili” durante una manifestazione avvenuta a Washington DC nel 2010. Immagine: Nevele Otseog (CC BY 2.0)

Ad Ali Kermani, un iraniano residente in Danimarca, è stato concesso di entrare negli Stati Uniti con un visto turistico a gennaio 2017. Il padre di Ali era malato di cancro al terzo stadio e, mettendo in conto il processo burocratico tipico del visto che riguarda un cittadino iraniano, Ali aveva programmato il viaggio con largo anticipo. Dopo diversi mesi ha ricevuto il suo visto, “ma poi è venuta fuori questa disposizione,” ha detto Ali, “e mi è stato negato il permesso di salire a bordo del mio volo.”

La “disposizione” in questione, ovviamente, era l'Ordine Esecutivo sull'Immigrazione firmato il 27 gennaio dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha scatenato un'ondata di incertezza, paura e indignazione, così come ha diffuso panico e confusione sia tra i funzionari governativi [2] [en, come tutti i link seguenti] che tra gli immigrati e gli attivisti nordamericani. Improvvisamente, un viaggiatore come Ali, che in passato aveva studiato e lavorato negli Stati Uniti per sei anni e non era tornato in Iran per più di dieci, è stato controllato in maniera capillare tanto che ora gli si prospetta un divieto di accesso al paese che durerà a lungo, basato semplicemente sulla sua nazionalità. “Ho il divieto di entrare in Iran perché non sono d'accordo con il governo.” ha detto Ali, evidentemente ironico. “Ed ora mi viene proibito anche di entrare negli Stati Uniti, a causa del governo iraniano.”

Dal momento in cui è stata firmata questa disposizione, gli avvocati che si occupano di diritto dell'immigrazione si sono dovuti confrontare con la complessa sfida di dare un senso ad una legge senza senso, mentre cercavano di guidare i clienti, e anche loro stessi, attraverso questo territorio inesplorato. Il risultato è stato in equal modo competitivo e gratificante, per non parlare dell'enorme portata emotiva del provvedimento.

Successivamente alla firma di questo decreto, gli avvocati hanno avuto il compito di decifrare le implicazioni della nuova legge e di trovare delle strategie che permettessero ai loro clienti di entrare in maniera legale ed effettiva negli Stati Uniti. Ci sono stati anche problemi legati al fatto che questo ordine fosse da ritenere lecito o costituzionale.

Le reazioni hanno spaziato dl panico e incredulità a rabbia e indignazione. L'ordine esecutivo è stato firmato con pochissimo preavviso e ancora meno informazioni e spiegazioni. Infatti, la formulazione stessa dell'ordine era incredibilmente ampia e vaga in merito a come sarebbe stato attuato ed applicato.

Non c'è da stupirsi che si sia creata una confusione generale fra le agenzie governative su come questa legge doveva essere messa in atto e chi l'avrebbe dovuta applicare. Durante i primi giorni di esecuzione dell'ordine, ci sono stati numerosi reclami di residenti permanenti che si sono visti rifiutare l'accesso agli Stati Uniti, obbligando la Casa Bianca a farsi avanti per chiarire la posizione dei possessori di Carta Verde che non dovevano essere soggetti [3]al divieto applicato.

Questo è stato solo uno dei molti aspetti problematici di questo ordine che non solo ha mandato in confusione le agenzie governative ed i legali che dovevano applicarlo, ma ha mostrato gravi lacune da parte dell'amministrazione nella loro capacità di creazione e attuazione di una legge.

Durante le ultime due settimane, i professionisti legali si sono messi in contatto tramite mailing list, forum e conferenze telefoniche per unire le forze e capire esattamente che cosa sarebbe successo. Ogni giorno spuntava fuori qualcosa di nuovo. Ogni giorno portava con sé una nuova sfida e altre incertezze, sia che fosse l'annuncio dell'USCIS (Servizi per la Cittadinanza e l'Immigrazione degli Stati Uniti) dove si diceva che tutte le richieste erano state congelate, incluse le domande di asilo [4] inoltrate da quelli che fanno parte dei sette paesi con il divieto di accesso, o le dimissioni degli ufficiali anziani del Dipartimento di Stato [5] e del Capo delle Pattuglie di Frontiera [6].

Gli avvocati presenti negli aeroporti hanno raccontato storie di clienti che sono stati trattenuti, rilasciati, interrogati o rispediti a casa. Hanno anche condiviso informazioni su quali fossero i porti consigliati per entrare, e una guida su cosa o no andava raccomandato ai clienti.

Lo shock iniziale creato da questo decreto è stato presto rimpiazzato da un'ondata comune di resistenza e solidarietà negli aeroporti di tutto il paese. L'ordine di esclusione ed isolamento emanato da Trump ha creato una salda rete di solidarietà tra avvocati, attivisti e coordinatori delle community.

La sensazione di cameratismo e cooperazione venutasi a creare in questi posti è stata una fonte d'ispirazione e speranza per molti. “L'unica nota positiva alla quale ho potuto assistere si è verificata durante il mio volontariato all'aeroporto Logan,” ha detto Joseph Molina Flynn, un avvocato di Boston che si occupa di diritto dell'immigrazione. “Non c'erano solo avvocati specializzati nel settore ad assistere le persone, ma anche altri colleghi, che pure non essendo esperti dell'argomento, si sono fermati per fornire assistenza anche emotiva”. Flynn è stato uno dei molti avvocati presenti all'Aeroporto Internazionale Logan di Boston. “Le ultime due settimane mi hanno decisamente permesso di rendermi conto in tempo reale che la legge in questione è uno strumento potente, e la positività che ne può scaturire dipende da come la si utilizza”, ha detto Flynn.

Boston, infatti, giocherebbe un ruolo importante della battaglia sulla legalità di questo decreto: domenica 29 gennaio, due giudici federali della città hanno concesso la possibilità di un soggiorno temporaneo in città come parte dell'ordine in questione, la prima di molte sfide legali contro tale legge. Alcuni viaggiatori, incluso Ali Kermani, hanno provato a volare verso Boston per approfittare di questo permesso temporaneo. “Sapevo che sarebbe stato rischioso,” ha detto Ali, al quale poteva essere negato il permesso di salire a bordo dell'aereo per Boston, “ma ho pensato che sarebbe valsa la pena rischiare pur di riuscire a vedere mio padre”.

Anche altri avvocati che si sono resi disponibili volontariamente presso gli aeroporti, sono rimasti colpiti dalla connessione tra il sostegno legale e l'azione scaturita dalla società civile. “È stata una bella sensazione, di quelle che si provano quando si vince. Sono stati tutti fantastici e disposti a tutto”, ha detto Anna N. Yeghiasarian, un'avvocatessa di Arlington, in Virginia. “È stato così bello vedere come, nonostante il poco preavviso, la gente sia iniziata ad arrivare da tutte le parti del paese, ma anche da fuori, radunandosi per supportare la causa”.

Gli avvocati, di fatto, si sono organizzati e hanno risposto sia con la loro presenza negli aeroporti che sfidando legalmente questo ordine. Il 3 febbraio, il giudice distrettuale di Seattle James Robart, ha emanato un'ingiunzione restrittiva [7] per bloccare temporaneamente la disposizione di Trump a livello nazionale.

Per me, che sono sia un avvocato dell'immigrazione che un iraniano che vive negli Stati Uniti, la sfida è stata mantenere il mio impegno nel fornire un corretto sostegno legale ai miei clienti mentre cercavo di rassicurare la mia famiglia e di essere attivo nella mia comunità. Mio zio e la sua famiglia avevano ricevuto l'approvazione per emigrare negli Stati Uniti per i primi di febbraio. Ho detto loro di fare più in fretta che potevano. Sono atterrati giusto 30 minuti prima che questo decreto venisse firmato, e sono stati interrogati all'Aeroporto Internazionale di San Francisco in maniera blanda. Ma nessuno di noi poteva immaginare la paura e l'ansia che avrebbero accompagnato il loro viaggio e l'arrivo negli Stati Uniti.

La mia famiglia, in passato, aveva attraversato la frontiera in qualità di rifugiati, intraprendendo un viaggio straziante per trovare una vita migliore. Non avrei mai immaginato che questa tradizione sarebbe continuata nella mia carriera professionale, e tra tutti i posti del mondo, proprio negli Stati Uniti.

L'aspetto più incoraggiante di tutto quello che è successo nell'ultima settimana e mezza è stato il clima di speranza e solidarietà che è emerso nel mezzo di una situazione di ansia e paura. Per me è stato un forte segno del fatto che la legge non agisce sempre ad interesse dei potenti. I prossimi quattro anni richiederanno molto a quelli di noi che sostengono la tolleranza e la diversità, ma per gli avvocati dell'immigrazione, almeno, sembra proprio che il momento di farsi vivi sia questo.