di Ana-Maria Dima
“Noi diventiamo ciò che siamo solo col radicale e profondamente insito rifiuto di ciò che gli altri hanno fatto di noi.” – Jean Paul Sartre, nella prefazione de I dannati della terra di Frantz Fanon.
Nell'Unione Europea la corruzione sembra essere il marchio di fabbrica della Romania. Storicamente il paese, e in generale la regione alla quale appartiene, hanno combattuto contro pratiche profondamente radicate, spesso illegali o dubbie, messe a punto per influenzare i risultati politici ed economici o per assicurarsi vantaggi o favori. Nei dieci anni trascorsi dall'entrata della Romania nell'Unione Europea sono infatti pochi gli altri termini che sono stati utilizzati con tale costanza e frequenza in riferimento ai risultati raggiunti e alla classe politica del paese. Nulla di diverso da quanto accadesse prima dell'adesione, come dimostrato dall'istituzione del Meccanismo di Cooperazione e Verifica per la Bulgaria e la Romania da parte della Commissione Europea. Questo strumento senza precedenti nella storia dell'integrazione europea è stato messo a punto per ridurre la corruzione su tutti i livelli, dal sistema giudiziario ai vertici politici, ed era anche inteso come misura volta a “contrastare la corruzione su tutti i fronti”, come evidenziato dai rapporti sui progressi raggiunti grazie al meccanismo [en, come tutti i link successivi].
Chiunque viva, studi o lavori in Romania, in una società nella quale la classe politica e l'apparato amministrativo, ivi compresi infermieri, medici, insegnanti e agenti di polizia, sono generalmente percepiti come corrotti, farebbe fatica a non sviluppare una mentalità dominata dalla corruzione, che per sua stessa natura è tentacolare. La necessità di cambiamento di una “dimensione sistemica”, come sottolineato dai rapporti della Commissione Europea fin dall'inizio, per decenni è stata una questione scottante in Romania. Tuttavia il prevalere dell'idea di una società profondamente corrotta porta con sé alcune domande spinose: noi cittadini siamo per associazione corrotti quanto il “sistema” che ci circonda? È possibile sottrarsi alla corruzione pur essendone circondati?
L'attuale governo rumeno è stato eletto meno di sei mesi fa. Il dilagare delle proteste in piazza a febbraio per contestare la decisione del governo di adottare l'ordinanza di emergenza è stato percepito dai più come un atto di ribellione alla corruzione. L'ordinanza, insieme ad altre misure, depenalizzava alcuni comportamenti scorretti da parte dei funzionari e, almeno agli occhi dell'opinione pubblica, avrebbe mitigato l'attuale legislazione anti-corruzione. Ma queste proteste, le più massicce dalla caduta del regime comunista nel 1989, lasciano molte domande aperte, in particolar modo in un paese che ha “contrastato la corruzione su tutti i fronti” per oltre dieci anni sotto la guida di governi formati dal Partito Nazionale Liberale, dai Socialdemocratici, dall'Unione Democratica Magiara di Romania, dai Liberaldemocratici e altri.
La corruzione può assumere diverse forme e sembianze, come ad esempio l'evasione fiscale, l'abuso di potere, le mazzette, i conflitti di interesse e il riciclaggio di denaro. Occulta la povertà e i malfunzionamenti del sistema, e al contempo, ironicamente, li mette a nudo. Ma porta con sé anche l'idea di una complicità tacita, eppure dilagante, come accade nel caso dei cittadini che non conoscono, o non concepiscono, altre modalità per rapportarsi con le autorità statali. È, in fondo, una forma di impotenza indotta. Chiunque abbia vissuto in Romania potrebbe essere considerato corrotto di conseguenza, poiché l'immagine di diffusa corruzione di un paese non può che inglobarne anche i cittadini, indipendentemente da quanto essi si proclamino innocenti.
La narrativa della corruzione è profondamente radicata nella nostra mentalità, se non nelle nostre stesse abitudini. Il ceto medio istruito rumeno che è sceso in piazza a febbraio sembrava essere oppresso da un antico senso di vergogna, la vergogna tipica di quei paesi i cui cittadini sono così impegnati ad anelare a luoghi profondamente diversi da quelli delle loro origini che finiscono per disprezzare se stessi e per sminuirsi a vicenda in un processo di stupore costante. È la vergogna degli stagionali rumeni che lavorano nell'UE, che vengono sfruttati nei paesi ospitanti, ma per una retribuzione “migliore”, se non addirittura “più giusta”. E in ogni caso, chi l'ha detto che essere sfruttati fuori dal proprio paese sia peggio dello sfruttamento a casa propria? E in fondo i lavoratori il cui sostentamento dipende interamente dai loro datori di lavoro hanno scelta?
C'è la mazzetta che si offre istintivamente agli infermieri in ospedale in segno di riconoscenza per un trattamento rispettoso; l'aspettativa che verrà richiesto qualcosa in più a coloro che vogliono lavorare in maniera corretta e trasparente con lo Stato o talvolta semplicemente ricevere un servizio essenziale; la “piccola attenzione”, come la chiamano i rumeni, necessaria per velocizzare una procedura, facilitare il rilascio di documenti, ad esempio la patente a chi abbia superato l'esame. Ma la corruzione va al di là del condizionamento e del desiderio di influenzare le azioni dei pubblici ufficiali; diventa un riflesso e un parametro, se non addirittura il parametro, per misurare la realtà che ci circonda. E in questo processo ci siamo convinti che la nostra società sia profondamente disfunzionale rispetto al resto dell'UE, una convinzione che sta corrodendo il nostro senso di fiducia.
Le manifestazioni di febbraio hanno portato alla luce il profondo senso di vergogna insito nella percezione che abbiamo di noi stessi, che ha trovato sfogo nelle modalità “scendi in piazza e urla a pieni polmoni” e “non startene lì seduto, fai qualcosa”. Il nostro complesso di inferiorità collettivo è esacerbato dai barometri della corruzione e dagli indici di povertà. Sappiamo di essere in cima alle classifiche della corruzione, e di essere i fanalini di coda per quanto riguarda la qualità della vita. Registriamo uno tra i più alti tassi di povertà infantile e siamo al primo posto per quanto riguarda la migrazione interna all'Unione Europea. Pessimi affari nella privatizzazione degli enti statali, la svendita di enormi lotti di terreno coltivabile negli ultimi dieci anni (attualmente metà della superficie agricola della Romania è in mano a stranieri), la migrazione di massa e l'alto tasso di povertà non sono certo il risultato di politiche di successo. Sappiamo anche di essere una “fonte di manodopera a basso costo” per l'Europa. Questo persistente senso di inadeguatezza, questo senso di aspirazione verso qualcosa di diverso, questo desiderio di vivere in luoghi in cui vigono l'equità e la giustizia e che condannano la corruzione, tutte qualità che si possono trovare soltanto lontano da casa, hanno impregnato la nostra immaginazione collettiva.
Tuttavia in questo contesto sorgono spontanee alcune domande: come gestiamo la piaga della corruzione, se davvero riguarda tutti noi? Ci denunciamo a vicenda? È possibile che il governo non sia l'unica entità corrotta, ma soltanto quella che fa più scalpore? Come hanno reagito alla corruzione le grandi multinazionali al loro ingresso nel mercato rumeno e quanto sono corrotte a loro volta? Chi è più corrotto, il governo o il settore imprenditoriale? Possiamo sottrarci al circolo vizioso della corruzione seguendo modalità che non richiedono una rivincita politica ma che siano semplicemente oneste, per quanto ciò sia possibile? E se un sistema è così intrinsecamente corrotto, i vecchi protagonisti corrotti non verranno semplicemente rimpiazzati da altri con valori simili? La lotta contro la corruzione corre il rischio di diventare una lotta “occhio per occhio” se queste problematiche non vengono affrontate come priorità.
Tuttavia, avere ricevuto visibilità e stima per aver protestato contro la corruzione, anche se solo per qualche giorno, ha ispirato un senso di orgoglio e unità in Romania. Un senso di coesione che non verrebbe intaccato tanto facilmente dalla vergogna, se non fosse per ciò che avviene quotidianamente negli ospedali, e forse anche nelle scuole, o nei municipi e nei consigli comunali, dove i leader politici e amministrativi si sentono ancora in diritto di comportarsi come se fossero degli dèi scesi in terra.
Questa consapevolezza non si manifesta più soltanto in forma di scontento o incapacità di “cooperare”. Espressioni come “vreau o țară ca afară” (letteralmente, “voglio un paese come gli altri”) alludono a un occidente idealizzato e a una vita immaginaria nella quale il nostro senso di inadeguatezza smette di tormentarci. Per qualche giorno la Romania è stata fonte di ispirazione per molti, in molti sono scesi in piazza con rabbia, ma pacificamente, per chiedere che i corrotti non vengano lasciati impuniti, e anche per riconoscere che il fardello della corruzione esiste al di là delle figure politiche che lo incarnano.
Lo sappiamo bene, ma per qualche ragione non riusciamo a liberarci del senso di vergogna che tutto questo ci provoca, una vergogna che ci viene imposta da molti fronti, o forse una vergogna con la quale accettiamo di convivere con eccessiva remissività.
Ana Maria Dima è rumena e lavora nell'ambito dello sviluppo internazionale. Seguila su Twitter @AnaMariaDima.