La storia che riportiamo di seguito è stata scritta da Rodrigo Borges Delfim ed è apparsa originariamente sul blog MigraMundo [en, come gli altri link, salvo diversa indicazione] il 31 gennaio 2017. Viene qui ripubblicata nell'ambito di una collaborazione tra MigraMundo e Global Voices.
Contrariamente a quanto affermato da Donald Trump, sul confine tra Messico e Stati Uniti esiste già un muro che interessa circa 1000 dei 3200 chilometri di confine tra i due paesi. La sua costruzione è stata avviata durante l'amministrazione di Bill Clinton (1993-2000).
Lungo la frontiera si trova un'area delimitata da un parco che si estende sul confine tra USA e Messico — il Parco dell'amicizia (Friendship Park o Parque de la Amistad in spagnolo) — dove le persone provenienti da entrambi i lati possono interagire tra di loro, nonostante le severe restrizioni imposte dalla polizia di frontiera.
“The Wall” è un progetto realizzato dalla giornalista spagnola Griselda San Martín tra il 2015 e il 2016 nell'area delimitata dal Parco dell'amicizia, che vuole provare l'esistenza di una barriera fisica — oltre che una psicologica e sociale — e sensibilizzare sugli effetti da essa prodotti.
In un'intervista esclusiva realizzata per MigraMundo, Griselda parla del modo in cui il progetto è stato realizzato e dimostra come Trump, in realtà, sia già riuscito a costruire una sorta di muro in grado di dividere il popolo statunitense.
MigraMundo (MM): come hai iniziato ad occuparti di questioni connesse all'emigrazione?
Griselda San Martin (GSM): durante la scuola di giornalismo (2011-2013) ho iniziato ad avvicinarmi ai temi che avrebbero poi risvegliato il mio interesse sulle questioni connesse all'emigrazione. Tenendo sempre a mente i problemi legati alle identità culturali e alle minoranze etniche, ho iniziato ad acquisire nozioni sulle conseguenze sociali derivanti dalle politiche sull'immigrazione durante un viaggio di studio nelle zone di frontiera di Tijuana-San Diego nel 2013.
MM: quanto tempo hai dedicato alla realizzazione di “The Wall”?
GSM: dopo essermi diplomata al Centro Internazionale di Fotografia di New York nel 2015, sono ritornata nelle zone di confine e ho trascorso un anno a lavorare su alcuni documentari di carattere sociale, a scovare storie di deportazioni, separazioni e di evacuazioni, oltre che di violazioni dei diritti umani. ‘The Wall’ era uno dei progetti a lungo termine che ho realizzato da settembre 2015 ad agosto 2016.
MM: per la realizzazione del progetto, hai ricevuto una qualche forma di finanziamento?
GSM: No. Il progetto è stato auto-finanziato.
MM: cosa ne pensi del nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump?
GSM: l'attuale clima politico negli Stati Uniti è preoccupante.
Il presidente Donald J. Trump è chiaramente intenzionato a portare a termine ciò che ha promesso durante la sua campagna elettorale. Durante la prima settimana di presidenza, ha firmato diversi ordini esecutivi che potrebbero influire notevolmente su diversi gruppi minoritari. Per quanto riguarda le questioni relative all'immigrazione, Trump intende deportare milioni di immigrati privi di documenti, rinegoziare il NAFTA [North American Free Trade Agreement] [it], proibire l'ingresso ai rifugiati provenienti da specifici paesi, costruire un muro lungo il confine meridionale e farlo pagare al Messico. Alcuni di questi provvedimenti non sono nuovi: Obama ha deportato 2,5 milioni di immigrati e il muro lungo un terzo del confine tra USA e Messico già esiste.
Indipendentemente dal fatto che Trump intenda o meno costruire o estendere la recinzione, ha già alzato un muro che divide i cittadini americani. Sembra inoltre curarsi solo dei sui elettori. In qualche modo è evidente che all'immigrazione viene erroneamente attribuita la responsabilità per i problemi economici di questo paese. Alcune minoranze avvertiranno le ripercussioni prodotte da tale percezione.
MM: che tipo di difficoltà hai incontrato durante la realizzazione del progetto?
GSM: Il Parco dell'amicizia, ovvero la parte del muro sul confine che io sto fotografando (dove le famiglie si incontrano), è aperto solo il sabato e la domenica e soltanto per qualche ora. Ciò significa che io ho solo poche ore alla settimana per lavorare a questo progetto e che devo tornare sul confine molte volte.
Le condizioni meteorologiche non erano sempre favorevoli e alcune persone preferivano non essere fotografate, ma devo dire che per la maggior parte del tempo non hanno avuto problemi.
Sul lato messicano del muro il parco è aperto. Tuttavia, sul lato statunitense è presente una seconda recinzione e l'area è controllata dalla polizia di frontiera. Inoltre, qui non avevo il permesso di utilizzare microfoni e il tempo concesso per fotografare e filmare era molto limitato. Dovevo poi procurarmi preventivamente l'autorizzazione.
MM: secondo te, quale insegnamento si può trarre da un progetto come “The Wall”?
GSM: il mio obiettivo è quello di mostrare le conseguenze sociali derivanti dalle politiche sull'immigrazione, come ad esempio la separazione delle famiglie. Ci sono persone in questo paese che ignorano l'esistenza di questo muro. Voglio mostrare loro il suo aspetto e ciò che il muro può rappresentare per le persone coinvolte.
MM: stai progettando di realizzare un altro progetto sull'immigrazione?
GSM: sì, sto lavorando a un progetto sugli immigrati ispanici che risiedono negli Stati Uniti. Vorrei raccontare come sono le loro vite ora e come verranno interessati dalle politiche del nuovo governo.
MM: restando in tema di immigrazione, che cosa significa per te questo fenomeno?
GSM: secondo me l'immigrazione è sacrificio. Le persone si lasciano tutto alle spalle, alla ricerca di un futuro migliore per sé e i propri figli.
“The Wall”
Il progetto “The Wall” racconta le storie di famiglie che si incontrano sul confine davanti alla recinzione tra Tijuana e San Diego, nei pressi del Parco dell'amicizia, in questo momento di crescenti tensioni xenofobe. Il parco è l'unico punto di incontro tra il Messico e gli Stati Uniti lungo le 2000 miglia di confine che divide i due stati.
Nel 1971, quando il parco è stato fondato, la recinzione era costituita solo da una rete di filo spinato. Mentre, oggi, a separare i due stati vi è un massiccio muro di metallo, che è stato più volte rinforzato. Si estende fino alla spiaggia, discendendo nelle acque dell'Oceano Pacifico fino a una profondità di 300 piedi. Poiché lo spazio per accedere al muro sul lato statunitense è circoscritto a una piccola area, le famiglie si appoggiano alla recinzione per cercare di scorgere i loro cari attraverso la rete d'acciaio, la cui trama è così fitta da consentire loro di sfiorarsi solo con le punta delle dita. In una piccola area del parco, lo spazio tra le barre metalliche consentirebbe alle famiglie di abbracciarsi, ma la polizia di frontiera statunitense sta sempre molto attenta che i visitatori rimangano a pochi passi di distanza dalla recinzione, in quanto qualsiasi tipo di contatto fisico è severamente proibito.
Il parco, oltre a servire come luogo di incontro per le famiglie e ad essere conosciuto per il significato storico e la posizione strategica, ospita periodicamente eventi sociali (come ad esempio matrimoni, feste realizzate per festeggiare il sedicesimo compleanno o incontri di confine tra i due stati) e qui gli attivisti si riuniscono per manifestare e promuovere azioni di sensibilizzazione in merito a tematiche sociali.
Il progetto “The Wall” esamina le interazioni di confine sullo sfondo di un clima politico xenofobo, dove l'esecuzione dei controlli di frontiera ha ridisegnato gli spazi pubblici attraverso arresti e misure di contenimento. Il grande e “magnifico” muro che alcuni politici hanno promesso di costruire già esiste. Tuttavia, nonostante le massicce recinzioni in metallo e i punti di controllo militarizzati, l'amore non ha confini.