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Esiste già un muro tra Messico e Stati Uniti e voglio mostrarvi com'è veramente

Categorie: America Latina, Nord America, Messico, U.S.A., Arte & Cultura, Citizen Media, Migrazioni, Relazioni internazionali
Alejandra Vallejo visits her husband Daniel Armendariz at the border wall at Friendship Park in Tijuana, Mexico on May 15, 2026. The couple has been meeting at the border every Saturday and Sunday for the previous 2 months. Armendariz cannot leave the United States because he is on probation and Vallejo does not have the documents to legally cross the border into the United States. Photo by Griselda San Martin.

Messico, 15 maggio 2016: Alejandra Vallejo fa visita al marito Daniel Armendariz davanti al muro di confine, nei pressi del Parco dell'amicizia di Tijuana. Nel corso degli ultimi due mesi, la coppia si è incontrata al confine ogni sabato e domenica. Armendariz non può lasciare gli Stati Uniti perché si trova in libertà vigilata e Vallejo non ha i documenti necessari per attraversare legalmente il confine verso gli Stati Uniti. Foto scattata da Griselda San Martin. Pubblicata con il permesso dell'autrice.

La storia che riportiamo di seguito è stata scritta da Rodrigo Borges Delfim ed è apparsa originariamente sul blog MigraMundo [1] [en, come gli altri link, salvo diversa indicazione] il 31 gennaio 2017. Viene qui ripubblicata nell'ambito di una collaborazione tra MigraMundo e Global Voices. 

Contrariamente a quanto affermato da Donald Trump, sul confine tra Messico e Stati Uniti esiste già un muro che interessa circa 1000 dei 3200 chilometri di confine tra i due paesi. La sua costruzione è stata avviata durante l'amministrazione di Bill Clinton (1993-2000).

Lungo la frontiera si trova un'area delimitata da un parco che si estende sul confine tra USA e Messico — il Parco dell'amicizia [2] (Friendship Park o Parque de la Amistad in spagnolo) — dove le persone provenienti da entrambi i lati possono interagire tra di loro, nonostante le severe restrizioni imposte dalla polizia di frontiera.

“The Wall” è un progetto realizzato dalla giornalista spagnola Griselda San Martín tra il 2015 e il 2016 nell'area delimitata dal Parco dell'amicizia, che vuole provare l'esistenza di una barriera fisica — oltre che una psicologica e sociale — e sensibilizzare sugli effetti da essa prodotti.

In un'intervista esclusiva realizzata per MigraMundo, Griselda parla del modo in cui il progetto è stato realizzato e dimostra come Trump, in realtà, sia già riuscito a costruire una sorta di muro in grado di dividere il popolo statunitense.

Pastor Guillermo Navarrete of the Methodist Church of Mexico stands at the border fence at Friendship Park during the weekly meeting of the Border Church in Tijuana, Mexico, on May 22, 2017. The binational service is conducted simultaneously on both sides of the border fence in English and Spanish. Photo by Griselda San Martin. Used with permission.

Messico, il pastore Guillermo Navarrete della chiesa metodista messicana in piedi davanti alla recinzione di confine, nei pressi del Parco dell'amicizia, durante l'incontro settimanale organizzato il 22 maggio 2016 dalla Chiesa di Frontiera a Tijuana. Il servizio religioso per le due nazioni si tiene simultaneamente su entrambi i lati della recinzione di confine, sia in lingua inglese che spagnola.

MigraMundo (MM): come hai iniziato ad occuparti di questioni connesse all'emigrazione?

Griselda San Martin (GSM): durante la scuola di giornalismo (2011-2013) ho iniziato ad avvicinarmi ai temi che avrebbero poi risvegliato il mio interesse sulle questioni connesse all'emigrazione. Tenendo sempre a mente i problemi legati alle identità culturali e alle minoranze etniche, ho iniziato ad acquisire nozioni sulle conseguenze sociali derivanti dalle politiche sull'immigrazione durante un viaggio di studio nelle zone di frontiera di Tijuana-San Diego nel 2013.

MM: quanto tempo hai dedicato alla realizzazione di “The Wall”?

GSM: dopo essermi diplomata al Centro Internazionale di Fotografia di New York nel 2015, sono ritornata nelle zone di confine e ho trascorso un anno a lavorare su alcuni documentari di carattere sociale, a scovare storie di deportazioni, separazioni e di evacuazioni, oltre che di violazioni dei diritti umani. ‘The Wall’ era uno dei progetti a lungo termine che ho realizzato da settembre 2015 ad agosto 2016.


MM: per la realizzazione del progetto, hai ricevuto una qualche forma di finanziamento?

GSM: No. Il progetto è stato auto-finanziato.

MM: cosa ne pensi del nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump?

GSM: l'attuale clima politico negli Stati Uniti è preoccupante.

Il presidente Donald J. Trump è chiaramente intenzionato a portare a termine ciò che ha promesso durante la sua campagna elettorale. Durante la prima settimana di presidenza, ha firmato diversi ordini esecutivi che potrebbero influire notevolmente su diversi gruppi minoritari. Per quanto riguarda le questioni relative all'immigrazione, Trump intende deportare milioni di immigrati privi di documenti, rinegoziare il NAFTA [North American Free Trade Agreement] [3][it], proibire l'ingresso ai rifugiati provenienti da specifici paesi, costruire un muro lungo il confine meridionale e farlo pagare al Messico. Alcuni di questi provvedimenti non sono nuovi: Obama ha deportato 2,5 milioni di immigrati e il muro lungo un terzo del confine tra USA e Messico già esiste.

Indipendentemente dal fatto che Trump intenda o meno costruire o estendere la recinzione, ha già alzato un muro che divide i cittadini americani. Sembra inoltre curarsi solo dei sui elettori. In qualche modo è evidente che all'immigrazione viene erroneamente attribuita la responsabilità per i problemi economici di questo paese. Alcune minoranze avvertiranno le ripercussioni prodotte da tale percezione.

MM: che tipo di difficoltà hai incontrato durante la realizzazione del progetto?

GSM: Il Parco dell'amicizia, ovvero la parte del muro sul confine che io sto fotografando (dove le famiglie si incontrano), è aperto solo il sabato e la domenica e soltanto per qualche ora. Ciò significa che io ho solo poche ore alla settimana per lavorare a questo progetto e che devo tornare sul confine molte volte.

Le condizioni meteorologiche non erano sempre favorevoli e alcune persone preferivano non essere fotografate, ma devo dire che per la maggior parte del tempo non hanno avuto problemi.

Sul lato messicano del muro il parco è aperto. Tuttavia, sul lato statunitense è presente una seconda recinzione e l'area è controllata dalla polizia di frontiera. Inoltre, qui non avevo il permesso di utilizzare microfoni e il tempo concesso per fotografare e filmare era molto limitato. Dovevo poi procurarmi preventivamente l'autorizzazione.

MM: secondo te, quale insegnamento si può trarre da un progetto come “The Wall”?

GSM: il mio obiettivo è quello di mostrare le conseguenze sociali derivanti dalle politiche sull'immigrazione, come ad esempio la separazione delle famiglie. Ci sono persone in questo paese che ignorano l'esistenza di questo muro. Voglio mostrare loro il suo aspetto e ciò che il muro può rappresentare per le persone coinvolte.

MM: stai progettando di realizzare un altro progetto sull'immigrazione?

GSM: sì, sto lavorando a un progetto sugli immigrati ispanici che risiedono negli Stati Uniti. Vorrei raccontare come sono le loro vite ora e come verranno interessati dalle politiche del nuovo governo.

MM: restando in tema di immigrazione, che cosa significa per te questo fenomeno?

GSM: secondo me l'immigrazione è sacrificio. Le persone si lasciano tutto alle spalle, alla ricerca di un futuro migliore per sé e i propri figli.

Carmen Morales with 2 of her grandchildren Christian, 8, and Sofia, 4, meet for the first time Morales’ daughter in law and grandchildren Jessi, 15, and Crystal, 11, who came to visit from San Bernardino, California. In this area, the iron bars are separated enough that families would be able to easily hug but it is strictly prohibited to approach from the U.S. side. Photo by Griselda San Martin. Used with permission.

Carmen Morales, accompagnata da due dei suoi nipoti, Christian (8 anni) e Sofia (4 anni), incontra per la prima volta la nuora e i nipoti Jessi (15 anni) e Crystal (11 anni), che sono venuti a farle visita da San Bernardino, California. In questa zona, le barre di ferro sono separate abbastanza da consentire alle famiglie di abbracciarsi facilmente, ma è strettamente proibito avvicinarsi al confine statunitense. Foto scattata da Griselda San Martin. Usata con il permesso dell'autrice.

“The Wall”

Il progetto “The Wall” racconta le storie di famiglie che si incontrano sul confine davanti alla recinzione tra Tijuana e San Diego, nei pressi del Parco dell'amicizia, in questo momento di crescenti tensioni xenofobe. Il parco è l'unico punto di incontro tra il Messico e gli Stati Uniti lungo le 2000 miglia di confine che divide i due stati.

Nel 1971, quando il parco è stato fondato, la recinzione era costituita solo da una rete di filo spinato. Mentre, oggi, a separare i due stati vi è un massiccio muro di metallo, che è stato più volte rinforzato. Si estende fino alla spiaggia, discendendo nelle acque dell'Oceano Pacifico fino a una profondità di 300 piedi. Poiché lo spazio per accedere al muro sul lato statunitense è circoscritto a una piccola area, le famiglie si appoggiano alla recinzione per cercare di scorgere i loro cari attraverso la rete d'acciaio, la cui trama è così fitta da consentire loro di sfiorarsi solo con le punta delle dita. In una piccola area del parco, lo spazio tra le barre metalliche consentirebbe alle famiglie di abbracciarsi, ma la polizia di frontiera statunitense sta sempre molto attenta che i visitatori rimangano a pochi passi di distanza dalla recinzione, in quanto qualsiasi tipo di contatto fisico è severamente proibito.

Il parco, oltre a servire come luogo di incontro per le famiglie e ad essere conosciuto per il significato storico e la posizione strategica, ospita periodicamente eventi sociali (come ad esempio matrimoni, feste realizzate per festeggiare il sedicesimo compleanno o incontri di confine tra i due stati) e qui gli attivisti si riuniscono per manifestare e promuovere azioni di sensibilizzazione in merito a tematiche sociali.

Il progetto “The Wall” esamina le interazioni di confine sullo sfondo di un clima politico xenofobo, dove l'esecuzione dei controlli di frontiera ha ridisegnato gli spazi pubblici attraverso arresti e misure di contenimento. Il grande e “magnifico” muro che alcuni politici hanno promesso di costruire già esiste. Tuttavia, nonostante le massicce recinzioni in metallo e i punti di controllo militarizzati, l'amore non ha confini.

Pastor Jonathan Ibarra and wife Gladys Lopez at their wedding photoshoot in front of the the U.S.-Mexico border fence in Playas de Tijuana, Mexico, on December 12, 2015. The border is a symbolic place for Ibarra and Lopez, who both grew up in California but now live in Tijuana separated from their whole family. Ibarra was deported and Lopez doesn’t have papers to legally reside in the United States. She tried to cross over three times but was caught by the border patrol and returned to Mexico. Photo by Griselda San Martin. Used with permission.

Messico, il pastore Jonathan Ibarra e la moglie Gladys Lopez durante il loro servizio fotografico in occasione del loro matrimonio il 12 dicembre 2015, di fronte alla recinzione di confine tra USA e Messico, sulla spiaggia di Tijuana. Il confine è un luogo simbolico per la coppia, che è cresciuta in California ma ora risiede a Tijuana, separata dal resto della famiglia. Ibarra è stato deportato, mentre la moglie non ha i documenti per risiedere legalmente negli Stati Uniti. Lopez ha tentato tre volte di attraversare il confine, ma è stata catturata dalla polizia di frontiera e riportata in Messico. Foto scattata da Griselda San Martin. Utilizzata con il permesso dell'autrice.