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‘Imparare a convivere con i Narcos in Messico’, storie dei sopravvissuti della guerra contro il crimine organizzato

Categorie: America Latina, Messico, Citizen Media, Media & Giornalismi
"Por las víctimas de la guerra contra los narcos, México". Foto del usuario Flickr Martín García. Usada bajo licencia CC 2.0

“In ricordo delle vittime della guerra contro i narcotrafficanti”. Foto dell'utente Flickr Martín García [1]. Utilizzata con licenza CC 2.0

Durante la tristemente famosa “guerra contro i narcotrafficanti” in Messico, i media sia internazionali che locali hanno spesso parlato delle persone morte e scomparse in termini statistici, che non colgono l'enormità della tragedia umana che questa guerra ha lasciato dietro di sé. Inoltre, la copertura data ai baroni della droga come El Chapo Guzmán [2] [it], capo del cartello di Sinaloa, ha offuscato la storia di coloro che dovrebbero essere al centro dell'attenzione [3] [es, come i link seguenti se non diversamente indicato]: le vittime di questa guerra.

Scarsa attenzione è stata data ai familiari delle vittime il giorno dopo un evento violento o alle comunità che hanno imparato a convivere con il dolore quotidiano. Ogni cadavere e ogni osso trovato in ciascuna delle centinaia di tombe senza nome sono la testimonianza degli innumerevoli genitori, figli e figlie, amici, mariti e mogli che portano dentro di sé ferite che forse non si rimargineranno mai.

Il progetto digitale di Animal Político “Aprender a vivir con el narco [4]” (Imparare a vivere con i Narcos) mira a dare una voce a queste vittime, raccontando le storie di persone che sono state sopraffatte dagli scontri tra le forze dell'ordine e i cartelli:

El crimen organizado no sólo nos hace temer por nuestra vida. Su impacto se siente más allá. Por ejemplo, en el cierre de tiendas de abasto popular por el acoso del narco, lo que obliga a comunidades enteras a viajar kilómetros para algo tan simple como comprar leche.

Il crimine organizzato non ci fa solo temere per la nostra vita. Il suo impatto è molto più esteso. Basta pensare ai negozi che chiudono perché strangolati dalle estorsioni dei trafficanti di droga, costringendo intere comunità a spostarsi di chilometri per comprare semplicemente solo il latte.

Il dolore raccontato dalle vittime

Un video intitolato “Live Changed by Fear” (La vita trasformata dalla paura) offre uno scorcio di queste storie. Uno dei protagonisti è Guadalupe, un padre che dedica tutti i weekend a cercare suo figlio nelle tombe senza nome. Un'altra è Emma Veleta Rodríguez che, in un solo giorno, ha perso il padre, quattro fratelli, il marito e due nipoti.

“Nuevamente, como cada domingo, nos disponemos a realizar esta actividad que nos hemos propuesto de ir a buscar fosas, a buscar a nuestros seres queridos.”

Guadalupe Contreras: “Mi hijo se llama Antonio Ivan Contreras Mata. Cuando desapareció tenía 28 años. Es padre de tres niños. Trabajaba en un taller eléctrico en El Naranjo. El 13 de octubre salió de la casa, tenía que regresar el 15 y ya no regresó.”

Emma Veleta: “Es muy difícil para mí que me quedé con mis tres hijas para seguirles dando el estudio. Pues aparte tengo a mi mamá, que ella también está aquí conmigo. Ahorita ella no tiene ni una entrada de dinero. Mi papá le dejó sus seguros y todo pero ahorita nada puede cobrar porque le exigen el acta de defunción, ¿y de dónde la agarramos?”

Sacerdote: “Ancora una volta, come facciamo ogni domenica, prepariamoci ad affrontare il compito che ci siamo imposti: cercare le tombe dei nostri cari”.

Guadalupe Contreras: “Il nome di mio figlio è Antonio Ivan Contreras Mata. Aveva 28 anni quando è scomparso. È padre di tre figli. Lavorava da un elettricista a El Naranjo. Il 13 ottobre, è uscito da casa. Sarebbe dovuto tornare il 15, ma non è mai tornato”.

Emma Veleta: “Per me è difficilissimo andare avanti perché sono rimasta sola con tre figlie e devo pensare alla loro istruzione. Inoltre, mi devo anche occupare di mia madre che vive con me. Non ha mezzi di sostentamento. Mio padre aveva un'assicurazione, ma lei non la può riscuotere perché vogliono un certificato di morte. Dove vado a prenderlo?

Nella loro introduzione [5], i redattori di “Aprender a vivir con el narco” spiegano perché considerano le conseguenze della violenza così pressanti per la realizzazione del progetto:

No sólo porque es urgente retratar los rostros de quienes le plantan cara al miedo, sino porque los conflictos de los países, la fragilidad y la gobernanza están en la mira de la comunidad internacional.

[Il progetto è importante] non solo perché è urgente mostrare i volti di chi deve affrontare la paura, ma anche perché i conflitti, la fragilità e il governo di questi paesi sono sotto gli occhi della comunità internazionale.

Il progetto si basa sia su storie raccontate dai lettori che su resoconti di giornalisti che lavorano in aree ad alto rischio. Quelli che seguono sono alcuni brani di queste storie.

KYHB, lettrice di Animal Político [6], scrive da Taxco [7][it], stato di Guerrero, al centro del paese. La sua testimonianza ci ricorda che la violenza non dovrebbe mai essere considerata normale in qualunque forma si manifesti. Per lei, la paranoia non è parte della normalità [8]:

Desde hace algunos años que conozco el morbo y el amarillismo. Todos los días paso por puestos de periódicos, donde veo páginas exhibiendo imágenes qué sólo podrían estar en contexto en un libro de criminología o un expediente de un peritaje. Veo en esos cuerpos sin vida reflejada mi propia mortandad. Me desagrada y a veces siento que soy la única a la que le provoca disgusto o tristeza, que le parece una falta de respeto para la persona que alguna vez ocupó ese cuerpo. Yo no puedo entregarme a la indiferencia o normalizarlo.

Da molti anni ormai ho imparato a conoscere la morbosità e l'atroce sensazionalismo. Ogni giorno passo davanti all'edicola dove vedo pagine con immagini che si troverebbe normalmente in un testo di criminologia e nei archivi degli esperti. Vedo tutti questi corpi senza vita che riflettono il mio essere mortale. Provo disgusto e a volte mi sembra di essere l'unica a sentirsi nauseata o rattristata. Mi sembra che si manchi di rispetto a chi una volta era dentro a quel corpo. Non riesco a rimanere indifferente o a considerare la cosa normale.

KYHB continua riflettendo, con timore, su quanto tutto questo è ormai diventato parte della sua vita quotidiana:

No, no es normal que mi primo de 10 años piense que de grande quiere ser narco, tampoco lo es que la gente vaya por la calle escuchando corridos que relatan las “hazañas” de la delincuencia. Esos corridos me parecen una burla para todos aquellos que perdieron a alguien y para los que tememos nos pase lo mismo. Veo nuestra fragilidad cuando las historias pasan a ser cifras en un conteo. Es increíble la apatía de algunas personas que justifican la muerte de seis personas y la desaparición forzada de 43 estudiantes en la ciudad vecina por “andar de revoltosos”. Creo que intentan convencerse de que la tragedia no los alcanzará mientras no se muevan y callen.

No, non è normale che mio cugino di 10 anni voglia diventare un narcotrafficante quando è grande, così come non è normale che le persone vadano in giro ascoltando le ballate che narrano “le gesta” del criminali. Per me, significa deridere tutti quelli che hanno perso qualcuno e chi tra noi ha paura che gli accada lo stesso. Vedo la nostra fragilità quando le storie diventano dati statistici. L'apatia delle persone mi stupisce. Non riesco a capire come si possa giustificare la morte di sei persone e la scomparsa forzata di 43 studenti in una città vicina con il semplice fatto che “erano indisciplinati”. Penso che tentino di convincersi che la tragedia non li colpirà fintanto se ne stanno buoni e tranquilli.

Maribel L. da Città del Messico ha scritto “Cuatro meses de extorsiones en el DF: una familia saqueada por las amenazas [9]” (Quattro mesi di estorsioni nel Distretto Federale: una famiglia distrutta dalle estorsioni), in cui racconta come le estorsioni di criminali armati, mese dopo mese, hanno finito per distruggere la sua impresa e separare la sua famiglia.

Piensas en todo lo que perdiste, en cómo unas personas te cambian la vida en días. El dolor nunca sana, el trauma se queda, el miedo persistirá a estar solos. Los hábitos cambiaron, los números telefónicos también, nos contactamos solo lo necesario. Entre más lejos estamos mejor.

Uno pensa a tutto quello che ha perso e a come degli estranei possano cambiarti la vita da un giorno all'altro. Il dolore non si placa mai, il trauma rimane, la paura è sempre con te quando sei da sola. Le abitudini cambiano come cambiano i numeri di telefono. Ci contattiamo solo quando è necessario. Più stiamo lontani l'uno dall'altro e meglio è.

Infine, conclude dicendo:

Deseamos que sean detenidas las demás personas, porque no sabes en qué momento te van a secuestrar o matar. Me he preguntado si llorar solucionaría los sentimientos arraigados durante esos horribles días, pero la respuesta es que no, porque se me ha olvidado como llorar, porque tengo que aprender a vivir con el dolor.

Vogliamo che le altre persone vengano arrestate perché non sappiamo quando ci rapiranno o uccideranno. Mi sono chiesta se le mie lacrime leniranno queste sensazioni così profonde durante questi giorni orribili, ma la risposta è no, perché ho dimenticato come piangere e ho imparato a convivere con il dolore.

Il reporter Mario Gutiérrez Vega ha pubblicato l'articolo “Los niños olvidados de Ciudad Juárez: una generación marcada por la violencia [10]” (I bambini dimenticati di Ciudad Juárez: una generazione segnata dalla violenza). Nell'introduzione, solleva problematiche come: chi si prende cura del bambino di una donna scomparsa o di un uomo assassinato dal crimine organizzato? Cosa vuol dire crescere in una colonia emarginata della più pericolosa città del Messico?

No es como cualquier niño de su edad al que atienden sus padres. Bryan es huérfano y él mismo dice que ha tenido que aprender a cocinar un huevo, freír papas, calentar tortillas y “hacer la chichi” para los bebés que viven con él, como le llama a preparar el biberón con agua, azúcar y leche en polvo.

Cuenta que tiene nueve cicatrices en su pierna izquierda, las mismas que años de vida. Insignificantes en comparación con las heridas grabadas en sus ojos, inenarrables en un niño para quien la violencia ha sido la vida misma y tiene que aprender a vivir con ella.

A los cinco años le dijeron que su mamá había desaparecido. Pero la infancia de Bryan no se esfumó ese día. Ya había acabado dos años antes, cuando a unas cuadras de su casa, observó el cuerpo ensangrentado de su papá, recién asesinado por hombres armados que dispararon desde su vehículo.

Bryan non è come gli altri bambini della sua età che sono accuditi dai genitori. È un orfano e dice che deve imparare da solo a cucinare un uovo, friggere le patate, riscaldare le tortilla e fare il “chichi” – un biberon di acqua, zucchero e latte in polvere – per i più piccoli che vivono con lui.

Ci parla delle sue nove cicatrici sulla gamba sinistra, nove come gli anni della sua vita, che sono insignificanti rispetto alle ferite impresse nei suoi occhi, indescrivibili per un bambino per cui la violenza è la vita stessa e un qualcosa con cui ha dovuto imparare a convivere.

All'età di cinque anni gli hanno detto che sua madre era scomparsa. L'infanzia di Bryan non è però finita quel giorno. Era già finita quando, due anni prima, ha visto il corpo insanguinato del padre, ucciso da degli uomini che gli avevano sparato da un'auto.

Questa era la situazione di Ciudad Juárez al momento della nascita di Bryan:

Bryan nació en 2006, cuando la violencia por el crimen organizado y su combate se fue incrustando en los problemas sociales que ya existían en Ciudad Juárez. En 2008, 2009 y 2010 se convirtió en el lugar más peligroso del mundo por la cantidad de asesinatos, de acuerdo con informes del Consejo Ciudadano para la Seguridad Pública y del gobierno de Estados Unidos. Sólo en 2010, la fiscalía estatal contabilizó 3 mil 103, un promedio de 8.5 diarios.

Bryan è nato nel 2006 quando la violenza del crimine organizzato e i suoi scontri si erano ormai infiltrati nei problemi sociali che già esistevano. Nel 2008, 2009 e 2010 Juárez è diventata la più pericolosa città del mondo a causa dell'impressionante numero di omicidi, secondo quanto indicato dal Consiglio dei Cittadini per la Sicurezza Pubblica e il governo statunitense. Solo nel 2010, i pubblici ministeri hanno contato 3.103 omicidi, pari a una media di 8,5 omicidi al giorno.

Queste sono solo alcune delle centinaia di migliaia di storie che il crimine organizzato, che si è ormai infiltrato nell’anima del paese, sta lasciando dietro di sé in Messico. Poche storie sopravvivono ai titoli delle prime pagine. Questo progetto vuole ricordarci chi non ci dobbiamo dimenticare.

Oltre a “Vivir con el narco”, nel 2015 Animal Político ha avviato un progetto di data journalism chiamato Narcodata [11], che si pone l'obiettivo di semplificare le complesse informazioni dietro la fallita guerra contro la droga che ha afflitto il paese per gli ultimi quattro decenni.