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Gli Ahwazi dell'Iran rischiano la condanna a morte dopo le false accuse di opposizione al governo

Categorie: Medio Oriente & Nord Africa, Arabia Saudita, Iran, Citizen Media, Cyber-attivismo, Diritti umani, Governance, Guerra & conflitti, Legge, Politica, Protesta, Relazioni internazionali

Protesta degli Ahwazi arabi contro il trattamento riservato alla popolazione Ahwazi da parte dell'Iran, organizzata a Londra il 3 luglio 2016. Immagine fornita dalla Peter Tatchell Foundation e utilizzata con la sua autorizzazione.

Il 31 agosto, un tribunale iraniano ha condannato a morte due uomini Ahwazi arabi e altri sei uomini a 3-25 anni di carcere, per la loro presunta associazione a gruppi di opposizione inesistenti. 

Le ultime condanne a morte indicano un'escalation della repressione in Iran, che è seconda solo a quella della Cina per numero di esecuzioni pro capite all'anno [1] [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione]. Secondo Amnesty International, in Iran vengono giustiziate in media tre persone al giorno [2], tra cui donne e bambini, con una percentuale esageratamente alta di condanne nei confronti delle minoranze etniche [3] come gli Ahwazi arabi, i curdi, i beluci e i turkmeni.

Gli otto Ahwazi condannati a morte il 31 agosto [4] provengono principalmente dall'antica città Ahwazi di Shush (Susa) e dalle aree limitrofe. Apparentemente, sono stati tutti torturati e costretti a firmare false confessioni [5] in cui ammettevano di essere i fondatori del gruppo di opposizione inesistente denominato ‘Jund al- Farouq’ o ‘Soldati di Farouq’ [6].

Il nome di questo falso gruppo trae origine dalle tensione di lunga data tra sunniti e sciiti, che si è poi estesa all'odierna Repubblica Islamica dell'Iran che non riconosce la legittimità del Califfato di Rashidun istituito nel 634 A.C. Il nome “Soldati di Farouq” richiama alla mente anche il nomignolo di Umar ibn Al-Khattab, il secondo califfo musulmano del califfato di Rashidun.

Gli attivisti Ahwazi arabi credono che il regime abbia inventato il gruppo per presentare gli Ahwazi come estremisti legati all'Arabia Saudita che tramano per turbare l'Iran. Questi arresti evidenziano l'intenzione di Teheran di indebolire gli Ahwazi arabi indigeni usando una narrativa geopolitica mirata a proteggere a tutti i costi l'Iran dall'intromissione dell'Arabia Saudita. Collegando gli Ahwazi a falsi gruppi dell'opposizione, il regime giustifica la repressione nei confronti del gruppo etnico come necessaria per salvaguardare la “sicurezza nazionale”.

Agli accusati non è stato permesso di essere rappresentati da un legale e il verdetto del “Tribunale rivoluzionario di Ahwaz” era scontato. Queste le accuse mosse a tutti e 8 gli uomini  [7][fa]:

“Moharebeh [enmity to God] through the foundation of the Jund al-Farouq group, membership of opposition groups, and propaganda against the regime.”

Moharebeh (nemico di Dio) a causa della creazione del gruppo Jund al-Farouq, dell'appartenenza a gruppi dell'opposizione e di propaganda contro il regime”.

Chi sono gli Ahwazi che sono stati arrestati?

I condannati a morte sono il 36enne Abdullah Karamullah Ka’ab, sposato con tre figli del distretto di Shavur, e il 30enne Ghassem Abdullah del villaggio di Kaab Beit Allawi. La data dell'esecuzione non è ancora stata resa nota, ma è imminente. Le loro famiglie sono ignare del fatto che esiste una procedura legale per appellarsi contro la sentenza.

I tre uomini condannati a 25 anni di carcere sono invece: il 23enne Majed Beit Abdullah di Khalaf Moslem, il 30enne Ahmed Kaab, un poeta di Shush, e il 31enne Hassan Beit Abdullah di Kaab Beit Allawi. 

Altri tre uomini, tutti del distretto di Shavur, sono stati condannati a tre anni di carcere ciascuno. I loro nomi sono Hassan Karmalachaab e Majid Beit Abdullah, entrambi di 24 anni, e Issa Beit Abdullah di 30 anni. 

I condannati sono stati arrestati da personale di sicurezza durante alcuni raid nelle loro abitazioni il 16 ottobre 2015. Ahmad, Majed e Abdullah sono stati trasferiti nel carcere di Masjid Suleiman dopo un serrato interrogatorio.

Tutti e otto i condannati sono stati successivamente trasferiti alla sede di Shush del Direttorato dell'Intelligence, tristemente noto per le torture a cui sottopone i prigionieri, e tenuti per due anni in regime di isolamento durante il quale è stato vietato loro di ricevere visite dai propri familiari e di comunicare con loro.  

Dopo il processo, i condannati sono portati al centro di detenzione del Direttorato dell'intelligence della città di Ahwaz.

Ghassem Abdullah è il secondo Ahwazi condannato a morte per la sua presunta appartenenza al gruppo Ahwazi di opposizione. Foto fornita dalla famiglia.

Le famiglie dei condannati chiedono l'intervento delle organizzazioni di difesa dei diritti umani

Le famiglie dei due condannati a morte hanno chiesto alle organizzazioni di difesa dei diritti umani di far conoscere alla comunità internazionale il dramma che stanno vivendo i loro figli. Queste le loro dichiarazioni: [8]

“our sons are innocent and the allegations against them by the Iranian judicial and security authorities are false.”

“I nostri figli sono innocenti e le accuse rivolte contro di loro dal sistema giudiziario e delle forze di sicurezza iraniani sono false.”

Karim Dahimi, un attivista dei diritti umani Ahwazi, che vive a Londra ed è in contatto con le famiglie, ha riferito quanto segue a Global Voices:

“The families of two political prisoners, Abdullah Karamullah Ka’ab and Ghassem Abdullah, were informed that they were sentenced to death by the First Branch of the Revolutionary Court for waging war against God, conspiring with foreign countries against the government, joining banned groups and spreading anti-regime propaganda.”

“Two years later, the men were taken to Isfahan province, where they were allowed a brief call to their families to inform them of their new detention location.  Their families sought to visit them there, but were denied any visitation rights. Recent information revealed that they were kept in solitary confinement cells run by the intelligence service branch in Isfahan.”

“Le famiglie di due prigionieri politici, Abdullah Karamullah Ka'ab e Ghassem Abdullah, sono stati informate che i loro cari stati condannati a morte dal Primo Ramo del Tribunale Rivoluzionario per aver intrapreso una campagna contro Dio, cospirato con stati esteri contro il governo, essersi uniti a gruppi vietati ed aver diffuso propaganda anti-regime.”

“Due anni dopo, gli uomini sono stati portati nella provincia di Isfahan, dove è stato loro permesso di fare una breve telefonata alle proprie famiglie per informarle di dove si trovassero. Le loro famiglie hanno cercato di visitarli, ma è stato negato loro il diritto di visita. Da informazioni recenti, è emerso che sono stati messi in isolamento nella sezione controllata dal servizio di intelligence di Isfahan”.

La recente repressione degli Ahwazi e di altre minoranze etniche in Iran

Negli ultimi anni, il governo ha inasprito [9] la sua già brutale persecuzione degli Ahwazi arabi e di altre minoranze in Iran, come i curdi, i beluci, i turchi e i turkmeni.

Questo inasprimento della repressione è avvenuto in risposta alla risoluzione del 14 novembre, approvata dal Terzo Comitato dell'Assemblea Generale dell'ONU, [10]che condannava l'Iran per la sua diffusa violazione dei diritti umani, per l'incremento delle esecuzioni e l'inasprimento della repressione di minoranze etniche e religiose.

Nonostante i ripetuti appelli di molte organizzazioni di difesa dei diritti umani (tra cui le Nazioni Unite, Amnesty International e Human Rights Watch) di porre fine a queste politiche disumane, il sistema giudiziario iraniano ha attivamente accelerato e intensificato le torture e le esecuzioni dei dissidenti e dei gruppi minoritari.

L'attuale brutalità ricorda quella dell’era dell'Ayatollah Khomeini dopo la rivoluzione islamica del 1979 [11], quando le esecuzioni di massa di dissidenti e oppositori erano la norma.

Il governo sta inoltre costruendo insediamenti costituiti solo da persone di etnia persiana nella regione di Ahwaz,  [12]rinominata Khuzestan nel 1936, e impedisce agli arabi indigeni di viverci. Agli Ahwazi viene impedito di lavorare negli impianti di estrazione di petrolio e nelle raffinerie della zona, che generano il 95% delle risorse di gas e petrolio dell'Iran.

Nonostante l'abbondanza di risorse e la ricchezza della regione, gli Ahwazi vivono spesso in condizioni di estrema povertà.   [13]