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Egitto: i blackout della rete in Sinai lasciano i civili irraggiungibili e senza chiamate di emergenza

Categorie: Medio Oriente & Nord Africa, Egitto, Censorship, Citizen Media, Diritti umani, Guerra & conflitti, Libertà d'espressione, Tecnologia, Advox

Manifestazione contro la chiusura delle reti mobili nel Sinai settentrionale. Sullo striscione si legge: “Non vogliamo essere costretti a usare le reti mobili di Israele a causa della vostra negligenza”. Foto pubblicata sulla pagina del gruppo Sinai2014/SinaiOutofCoverage.

Questo articolo è stato scritto da Asser Khattab e originariamente pubblicato sul blog di SMEX [1][en, come i link seguenti salvo diversa indicazione]. Viene ripubblicato da Global Voices in virtù di un accordo per la condivisione dei contenuti.

Nell'ambito di un'operazione militare mirata a sdradicare “i terroristi e gli elementi e le organizzazioni criminali” dalla Penisola del Sinai e dalle aree adiacenti, le Forze Armate Egiziane hanno ordinato il blocco di internet e di tutti i servizi di telecomunicazione in tutta la regione.

Lo scopo della campagna militare, nota con il nome in codice “Comprehensive Operation: Sinai 2018 [2]” (Operazione completa: Sinai 2018) è quello i colpire i ribelli affiliati all'ISIS [3] nelle aree settentrionali e centrali della Penisola del Sinai, ad ovest della valle del Nilo e del Delta del Nilo.

Gli attivisti online e i civili egiziani stanno lanciando l'allarme su Twitter usando l'hashtag #سيناء_خارج_التغطية [“Il Sinai è fuori dall'area di copertura [4]”] [ar] per esprimere le loro preoccupazioni sul destino dei civili del Sinai, di cui il mondo non è per lo più a conoscenza dal momento che la popolazione è praticamente sia fisicamente che virtualmente [5] inaccessibile. Da luglio2013, l'area settentrionale del Sinai viene considerata [6] dalle autorità egiziane una zona militare chiusa e protetta, inaccessibile ai giornalisti e agli osservatori dei diritti umani. Migliaia di persone sono state sfrattate e allontanate con la forza [7] mentre i militari egiziani radevano al suolo le loro case con i bulldozer per creare zone cuscinetto lungo il confine con Gaza [6] e, più di recente, in prossimità dell’aeroporto del Sinai [8].

Questa imponente campagna militare ha di fatto causato un blackout dei media nel Sinai, interrotto le telecomunicazioni e messo gli abitanti in condizioni di non poter più comunicare tra di loro, isolandoli dal proprio paese e dal resto del mondo.

Questi blocchi sono diventati una cosa normale per gli abitanti di Al-Arish e di altre città scarsamente popolate nel Sinai settentrionale. Secondo un ingegnere di al-Arish che ha parlato con SMEX, a condizione che gli fosse garantito l'anonimato per timore di essere convocato dalle autorità, ha dichiarato che i collegamenti delle reti vengono interrotti “ogni volta che ci sono in corso operazioni militari e di sicurezza nell'area desertica a sud della città”. La fonte ha aggiunto anche che il governo non avverte gli abitanti delle interruzioni, così come non fornisce alcuna giustificazione dopo il ripristino dei servizi.

Il governo egiziano sta organizzando offensive contro i ribelli del Sinai [9] dal 2011, in seguito alla rivoluzione egiziana che culminò con la caduta del Presidente Hosni Mubarak. Il gruppo militante estremista Ansar Beit al-Maqdis (ABM) ha ripetutamente attaccato le forze di sicurezza egiziane prima di stipulare un'alleanza con l'auto-proclamato Stato Islamico nella Penisola del Sinai, noto con il nome di ISIL-Provincia del Sinai.

Mohannad Sabry, un giornalista e ricercatore che si è occupato a lungo del Sinai, ha raccontato a SMEX in un'intervista telefonica che i blackout di internet e delle telecomunicazioni sono semplicemente inefficaci.

“Le interruzioni delle comunicazioni fanno più danni alle forze governative che ai ribelli”, ha affermato, ricordando che in alcune di queste occasioni le forze di terra hanno perso i contatti tra di loro e con il Ministero degli Interni mentre erano in corso i combattimenti. Sabry ha poi aggiunto che i gruppi di ribelli utilizzano “mezzi alternativi per comunicare come i terminali portatili BGAN [10] e i walkie talkie ad onde corte”, spiegando che l'interruzione delle telecomunicazioni ha scarso impatto sui presunti obiettivi.

Le interruzioni impediscono però ai giornalisti locali e stranieri, nonché alle organizzazioni non governative, di raggiungere le risorse sul campo.

Sabry afferma che “i blackout sono anche un modo per limitare la copertura sul fallimento della strategia egiziana nel Sinai e sull'impatto negativo che ha avuto sulla comunità”.

Il 3 febbraio, il New York Times ha smascherato l'esistenza di “un'alleanza segreta [11]” stipulata tra Egitto e Israele per combattere i ribelli del Sinai settentrionale. Secondo Sabry, il governo egiziano sta cercando di non far trapelare questa notizia. Secondo le sue dichiarazioni, “i leader egiziani non volevano rivelare di aver approvato gli attacchi aerei israeliani alle postazioni dello Stato Islamico nel Sinai”.

In Egitto, il settore delle telecomunicazioni è gestito dalla National Telecommunications Regulatory Authority (NTRA), il che “significa che questo ente è implicato in qualsiasi interruzione della rete che si verifica nel paese”. Questo è quanto ha riferito a SMEX un attivista che difende la libertà di espressione a condizione che gli venisse garantito l'anonimato per motivi di sicurezza.

“Vari enti governativi interferiscono con le attività di NTRA, tra cui il Ministero della Difesa, il Ministero degli Interni, l'Agenzia per la sicurezza nazionale e altri ancora, come il Ministero delle telecomunicazioni”, ha riferito l'attivista.

Le ricorrenti interferenze sui servizi di internet e delle telecomunicazioni arrivano in un momento in cui la libertà di stampa e di espressione sono messe sempre più in pericolo dal regime militare del Presidente Abdel Fattah El-Sisi. Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ), nel 2016, l'Egitto figurava al terzo posto nell'elenco dei paesi che puniscono i giornalisti con il carcere [12].

Fare reportage nel Sinai settentrionale è diventato ancora più difficile dal momento in cui è stato dichiarato una zona militare segregata nel luglio 2013 e resa inaccessibile ai giornalisti. La nostra fonte ad Al-Arish ci ha riferito che, benché i giornalisti possano richiedere l'autorizzazione ad accedere all'area tramite il portavoce militare egiziano, Tamer al-Refai “raramente concede autorizzazioni… a nessuno è stato permesso di scrivere articoli su quanto accade e qualsiasi articolo che riguardi [gli abitanti del Sinai]”.

Quando gli è stato chiesto se c'erano organizzazioni che si battevano per il diritto degli abitanti di accedere a Internet e ad altri mezzi di telecomunicazione, l'ingegnere di Al-Arish ha risposto: “Assolutamente no, al pari della stampa, anche le attività delle associazioni non governative sono molto controllate in quest'area”.

Sabry ha affermato che le vere vittime di queste interruzioni sono i civili locali che risiedono nel Sinai settentrionale perché “non sono in grado di segnalare danni collaterali e incidenti in quanto hanno un accesso limitato ai servizi di emergenza”.

“Molte donne non sono state in grado di chiamare un'ambulanza mentre erano in travaglio”.

Per gli abitanti, come la nostra fonte di Al-Arish, che sono colpiti direttamente da questi blackout, “la cosa peggiore è l'elemento di sorpresa”. Alcuni abitanti non hanno potuto essere informati della morte di un parente e sono venuti a saperlo solo dopo 10-12 ore. Altri hanno dovuto percorrere grandi distanze, addirittura fino a 90 km, semplicemente per fare una telefonata o inviare un'e-mail.

Impedire e limitare l'accesso alle informazioni e ai servizi di comunicazione è un problema nazionale in Egitto, che si estende ben oltre la penisola del Sinai. Dal 24 maggio 2017 il governo egiziano ha bloccato almeno 496 siti web, secondo quanto riferisce un'organizzazione legale indipendentemente chiamata Association of Freedom of Thought and Expression. [13]

I siti web di giornali internazionali, come quello del Washington Post, e di giornali locali indipendenti come quello di Mada Masr, sono stati chiusi con il pretesto che sostenevano il terrorismo o che divulgavano notizie “false”. In questo modo però al pubblico egiziano viene impedito l'accesso a servizi e informazioni essenziali e il lavoro dei giornalisti è oggetto di attacchi sempre più sistematici.