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Un'introduzione sul movimento #MeToo in Giappone

Categorie: Asia orientale, Giappone, Citizen Media, Cyber-attivismo, Diritti umani, Donne & Genere, Legge
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Foto “Meili”, da Twitter. Utilizzata con permesso.

A dicembre 2017, il movimento #MeToo finalmente ha raggiunto il Giappone [2] [en], dopo che tre donne hanno deciso di opporsi ai loro violentatori. Le testimonianze di queste tre donne ci danno un’ idea delle sfide che le donne giapponesi affrontano quando parlano delle loro esperienze di molestia sessuale.

Mentre si considera generalmente che il movimento #MeToo [3] [en] abbia avuto inizio a ottobre 2017, quando molte donne hanno parlato delle loro presunte esperienze di molestia sessuale da parte del magnate cinematografico di Hollywood Harvey Weinstein, in Giappone il movimento ha avuto inizio a maggio 2017 quando l'hashtag #FightTogetherWithShiori [4] [en] (Combattiamo insieme a Shiori) ha cominciato a fare tendenza sul Twitter giapponese. L'hashtag è stato creato per sostenere una donna, conosciuta semplicemente come “Shiori”, che è apparsa in televisione raccontando di essere stata violentata da un noto giornalista nel 2015 [5][en].

A ottobre 2017, grazie al supporto in Giappone e in tutto il mondo [6] [en], Shiori Ito ha deciso di rivelare il suo nome completo e ha pubblicato un libro, “Black Box.” (La Scatola Nera) [jp, come i link seguenti salvo diversa indicazione]:

Io leggo “Black Box” della Sig.ra Shiori Ito. Io sostengo la Sig.ra. Shiori Ito. Mentro lo leggevo, mi riportava alla mente molte cose che non potevo scrivere qui. Grazie.

Shiori Ito, conosciuta semplicemente come ‘Shiori’, appare frequentemente anche in numerose interviste chiedendo giustizia e mettendo in evidenza il problema delle molestie sessuali in Giappone [10][en].

Dopo il debutto di Shiori sotto i riflettori pubblici, mentre il movimento #MeToo [3] [en] negli Stati Uniti e negli altri paesi prendeva campo, altre donne hanno cominciato a far sentire la loro voce sui social media.

A dicembre 2017, una blogger nota semplicemente come Hachu ha aiutato a portare l'hashtag #MeToo in Giappone [2] [en], dopo che la sua storia era stata pubblicata da Buzzfeed Giappone [11]. Hachu, una famosa scrittrice e blogger, ha rivelato di essere stata molestata sessualmente da uno dei suoi manager, [12]un noto [13] direttore creativo dell'industria pubblicitaria giapponese, mentre lei stava lavorando per il gigante della pubblicità Dentsu.

Il tweet di Hachu sulla storia di Buzzfeed è stato condiviso su Twitter 17.000 volte:

È stato pubblicato adesso un articolo sulla mia ammissione di molestia sessuale e bullismo sul lavoro da parte di Kishi Yuki, ex dipendente Dentsu. Durante le interviste degli ultimi mesi, non sapevo se apparire in pubblico o rivelare il nome del colpevole, ma il movimento #MeToo mi ha dato la spinta finale. Sono grata a tutti quelli che si sono preoccupati e hanno corso il rischio di testimoniare.

La storia di Hachu, che è stata pubblicata per la prima volta a metà dicembre, ha portato altre donne a condividere la loro storia. Alla fine di gennaio 2018, una terza storia “#MeToo” ha generato una discussione sui social media in Giappone. La rivista online wezzy [17] ha raccontato che l'attrice teatrale Shimizu Meili — conosciuta come ‘Meili’ sui social media e nelle interviste — ha rivelato su Twitter di essere stata violentata dal produttore teatrale Takeuchi Tadayoshi.

Tadayoshi è un produttore del genere teatro anime ‘2.5D’ [18] [en] che rappresenta la drammatizzazione del manga giapponese [19] [en]in musical. Meili l'ha incontrato quel fatidico giorno. Il teatro 2.5D gode di un gran numero di fan così Meili ha reso pubblica la sua accusa con un tweet sulla violenza sessuale subita senza fare il nome del colpevole. Meili ha messo insieme una serie di tweet in un Momento Twitter intitolato “Il motivo per cui ho pianto allo spettacolo di febbraio”. [20]

Questo è il motivo per cui ho pianto allo spettacolo di febbraio. Perchè ero stata violentata, riuscivo solo a pensare al mio corpo come qualcosa di sporco, e lo odiavo. Ho pensato per almeno un anno di rinunciare alla mia carriera di attrice mentre mi prendevo una pausa dalle scene.

Dopo che i suoi post su Twitter di dicembre sono diventati virali, la rivista online wezzy [22] li ha raccolti. Più tardi quel mese, quando la storia #MeToo di Hachu è stata riportata da Buzzfeed, Meili si è sentita pronta a rivelare il nome del suo aggressore. Quello che è successo il mese seguente ci dà un'idea delle difficoltà che le vittime di violenza sessuale devono affrontare in Giappone.

In Giappone provare una violenza sessuale è difficile

Mentre è stato difficile per Hachu dimostrare che il suo manager a Dentsu l'aveva aggredita sessualmente, Shiori e Meili hanno affrontato un'ulteriore complessa sfida mentre cercavano di dimostrare di essere state violentate. Il caso di Shiori è stato abbandonato dopo le indiagini della procura, mentre la polizia non ha nemmeno segnalato il caso di Meili alle autorità competenti.

La difficoltà di Shiori e Meili nel persuadere la procura che la violenza aveva avuto luogo è il risultato di una legge esistente in Giappone.
Secondo la legge Giapponese “sex “crime law” (legge sul crimine sessuale) rivista a giugno 2017 [23][en], viene ancora richiesto alle vittime di comprovare che la violenza sessuale sia davvero avvenuta fornendo prove di ciò che la legge chiama “molestia o intimidazione”.

In una intervista con Global Voices (GV), Meili ha raccontato che la polizia ha archiviato il caso immediatamente senza nemmeno interrogare il presunto responsabile perchè lei non poteva dimostrare che l'aggressione sessuale aveva di fatto avuto luogo.

Meili afferma che c'erano varie ragioni per le quali non poteva provare cose fosse successo e la sua somiglia alla stessa difficile esperienza che Shiori racconta di aver passato con la polizia [24] [en] quando ha presentato la sua causa contro il suo presunto aggressore.

Nel suo libro del 2017 riguardo la violenza sessuale subita, Black Box [25], Shiori racconta che la polizia l'aveva costretta a mettere in scena la violenza utilizzando quello che somigliava ad un manichino da crash-test mentre degli agenti uomini guardavano e scattavano fotografie.

Diversamente da Shiori, Meili dice di essere stata in grado di fornire ciò che sarebbe stata la prova della sua violenza — ovvero le immagini della telecamera di sicurezza dell'hotel che hanno mostrato il suo presunto aggressore mentre la portava in stanza prima dellla violenza. Tuttavia, la polizia le ha detto che essere portata in un hotel mentre lui poggiava un braccio sulle sue spalle non costituiva violenza sessuale, e quindi la stessa non poteva essere dimostrata [jp]:

Il filmato della telecamera di sicurezza dell'hotel mostrava chiaramente lui mentre mi portava in hotel. Tuttavia l'agente alla stazione di polizia disse che non potevano accusarlo di un quasi-stupro [28] per il solo fatto che il suo braccio fosse intorno a me mentre entravamo nella camera dell'hotel, e non potevano verificare che il fatto avesse avuto luogo. La base per l'accusa di un crimine di quasi-stupro è quella ‘grave’, così mi hanno detto. Tutto quello che potevo fare era piangere.

Il filmato di Meili agli occhi degli investigatori si è dimostrato inconcludente e senza nessun altra prova sostanziale e la richiesta di Meili è stata rifiutata. Non c'è sta alcuna indagine nè arresto.

“Io volevo solo lavare via ogni traccia di ciò che era successo quel giorno.”

Parte del motivo per cui quella prova ‘sostanziale’, utile a dimostrare l'attacco di Shiori o Meili, era difficile da trovare è il fatto che le prove materiali non potevano essere fisicamente ottenute. [17]

Dalla rivista wezzy, che ha parlato del caso di Meili:

被害後24時間以内に(できれば)被害に遭ったままの服装、トイレやお風呂にも入っていない状態での使用が推奨されている。

Si raccomanda [in generale] che [i kit per lo stupro] vengano utilizzati (preferibilmente) entro 24 ore dall'aggressione, sotto gli stessi vestiti, senza essersi lavati o aver usato il bagno.

Secondo Meili e Shiori, questo è praticamente impossibile perchè la prima cosa che volevano fare era lavarsi. Come Shiori ha scritto in Black Box:

都内に借りていた部屋へ戻ると、真っ先に服を脱いで、山口氏に借りたTシャツはゴミ箱に叩き込んだ。残りは洗濯機に入れて回した。この日起こったすべての痕跡を、洗い流してしまいたかった。シャワーを浴びたが、あざや出血している部分もあり、胸はシャワーをあてることもできないほど痛んだ。自分の体を見るのも嫌だった。(Black Box [25], pp. 55-56)

Quando sono tornata al mio appartamento in affitto a Tokyo, mi sono spogliata immediatamente, ho buttato nella spazzatura la maglietta che Yamaguchi mi aveva prestato e poi ho messo il resto dei miei vestiti in lavatrice. Volevo solo eliminare ogni traccia di ciò che era successo quel giorno. Ho anche fatto la doccia, ma avevo delle ferite e alcune stavano addirittura sanguinando. Faceva così male che non riuscivo nemmeno a far andare l'acqua sul petto. Non volevo nemmeno guardare il mio corpo. (Black Box [25], pp. 55-56)

In un'intervista con GV, Meili dice che non si è fatta visitare entro 24 ore dopo l'aggressione. La ragazza ha preferito, invece, andare in una clinica ostetrica nove giorni dopo l'aggressione, ma per prima cosa è andata dalla polizia per sporgere denuncia. Afferma che la sua intenzione era quella di andare in clinica da sola per raccogliere la prova che pensava servisse ai fini di un'indagine.

Quando le è stato chiesto come la polizia l'avesse trattata, Meili afferma:

[…] 証拠が不十分という理由で被害届も受理されず、アフターケアの体制もなく、今後は弁護士に相談してみて下さいという一言を言われただけで終わりました。

Hanno respinto la mia denuncia per insufficienza di prove, non hanno fornito alcuna assistenza sanitaria e mi è stato detto che potevo solamente rivolgermi ad un avvocato. Tutto qui.

Meili afferma inoltre:

支援センターは何処にあるのか知らなかった事もあり、行ったことはありません。正直調べる気力も無かったです。

Non sapevo dove fosse il centro per le vittime di stupro, quindi non ci sono mai andata. Sinceramente, non avevo la forza per cercarlo.

Al contrario, Shiori nel suo libro Black Box afferma che ha provato a cercare aiuto presso quello che pensava essere l'unico centro operativo per le vittime di stupro di Tokyo, ma dato che era necessario un breve colloquio prima di dare qualsiasi informazione, Shiori ha deciso di non presentarsi.

電話をすると、「面接に来てもらえますか?」と言われた。どこの病院に行って何の検査をすればいいのか教えてほしいと言ったが、話を直接聞いてからでないと、情報提供はできないと言われた。 (Black Box, p.48 [25])

Quando li ho chiamati, mi hanno detto di andarci per un colloquio. Ho chiesto presso quale ospedale sarei dovuta andare e quali esami avrei dovuto fare, ma mi hanno detto che non erano in grado di darmi alcuna informazione senza aver ascoltato la storia direttamente da me.

Le risorse per chi sopravvive ad una aggressione sessuale sono scarse.

Mentre alle vittime di aggressione sessuale viene detto di fare un test del DNA il prima possibile dopo l'attacco, questi “kit per lo stupro” non sono spesso accessibili. Ad aggravare il problema, i collegamenti tra la sicurezza sociale e quella medica a supporto delle vittime, che in Giappone sono ancora molto deboli.

“Sfortunatamente, non avevamo in quel momento la possibilità di portare Shiori [presso la nostra struttura]”, afferma Tanabe Hisako in una intervista via e mail con GV. Tanabe è membro del comitato direttivo di SARC Tokyo (Centro di Soccorso per la Violenza Sessuale di Tokyo) [29], l'unico centro di emergenza per le vittime di aggressione sessuale a Tokyo. Insieme a SACHICO (Centro di Intervento e Primo Soccorso per la Violenza Sessuale di Osaka), il SARC Tokyo è uno dei primi veri centri di soccorso in caso di aggressione sessuale aperto 24 ore su 24, 7 giorni su 7, del Giappone.

Secondo Tanabe, il SARC Tokyo è destinato a fungere da “centro di soccorso unico” per mettere in contatto chi sopravvive all'aggressione sessuale con le strutture mediche che possono fornire assistenza.

Tanabe afferma:

SARCにいらしていただきたいと案内したことにはそのような根拠があります。[…] 電話した時、「出かけていく気力も体力もなかった」と詩織さんは言われています。そういう方に、残念ながらお迎えに行ったりできる体制はありませんでした。警察通報ならば、機動力がありますから、車でお迎えに行ったりすることは可能だったでしょう。当時は、なんとかしてSARCに来ていただくしかなかったのです。現在であれば、被害者が無理なく来れそうな近くの協力医療機関を案内して、SARCから支援員が飛んでいくことは可能ですし、そうしています。

Questo è stato il motivo per cui abbiamo chiesto a Shiori-san di recarsi al SARC […] Sfortunatamente, non eravamo attrezzati per portarla qui in quel momento. Se lei avesse sporto denuncia alla polizia, con i loro mezzi, loro avrebbero potuto mandare una macchina per andarla a prendere. […] Ad ogni modo,oggi, possiamo indicare alla vittima un istituto medico e lo staff di SARC può essere inviato per un'immediata assistenza in loco. Questo è il modo in cui lavoriamo oggi.

Dall'esperienza di Shiori di quasi tre anni fa, ci sono molte più risorse a disposizione per chi sopravvive ad un'aggressione sessuale a Tokyo, afferma Tanabe.

A luglio 2015, il SARC di Tokyo è stato in grado di aumentare il suo staff a tempo pieno grazie ad un finanziamento iniziale da parte del Governo Metropolitano di Tokyo; [30] ciò, ovviamente, non ha potuto aiutare Shiori che ha denunciato la sua aggressione ad aprile 2015.Il governo nazionale sta programmando [31]l'istituzione di centri di soccorso per la violenza sessuale in ognuna delle 47 prefetture del Giappone. Secondo la signora Tanabe, quaranta di queste istituzione sono già state avviate, ma il budget totale è di soli 163 milioni di yen (circa 1.5 milioni di dollari).

SARC東京ができてよかったことは、多くの被害者が泣き寝入りして、それでも心に深い傷を負って生活していて、そうした過去の被害を抱えた方の相談だけでなく、被害直後にお電話くださる方が増えたことです。

Una delle cose positive dell'istituzione del SARC Tokyo è che mentre molte delle vittime rimangono in silenzio e continuano a soffrire, le chiamate non solo di chi è stato vittima in passato, ma di chi è una vittima adesso hanno cominciato ad aumentare.

Un messaggio per i non ascoltati #Metoo in Giappone e nel mondo

Come parte della sua intervista con GV, Meili ha voluto mandare un messaggio a chi è sopravissuto ad una qualsiasi forma di aggressione sessuale. A tutti quei “MeToo” che non sono stati ascoltati nel mondo:

孤独を感じてしまうかもしれません。

生きていたくないと思ってしまうかもしれません。

そう思ってしまう自分が嫌になってしまうかもしれません。

しかし、そう思ってしまう程の事があなたの身に起きてしまったのです。辛い時は辛いと言ってください。周りに助けを求めてください。決して独りではありません。

Potrai sentirti sola. Potrai non voler più vivere. Potrai odiare te stessa per pensarla in questo modo. Ma il motivo per cui pensi questo è perchè hai subito un trauma. Quindi, quando per te è dura, parla. Cerca aiuto. Non sei da sola. Mai.