Tra i contrattempi dell'amministrazione Temer, migliaia di indigeni marciano nella capitale brasiliana

Dal 23 al 27 aprile, più di tremila leader indigeni provenienti da tutte le regioni del Brasile si sono riuniti nella capitale del paese. Foto: 350.org, CC BY-NC-SA 2.0

Questa storia è stata scritta da Nathália Clark di 350.org, un'organizzazione che costruisce un movimento globale di base sul clima, ed è pubblicata qui come parte di una collaborazione con Global Voices. 350.org ha partecipato alla Mobilitazione Nazionale Indigena in Brasile come sostenitore.

Il campo aveva l'odore di fumo e urucum, una pianta utilizzata per la pittura del corpo. Un'energia di sfida pulsava attraverso la folla. Potevamo sentire canti, mantra rituali e pianti cerimoniali.

Il luogo risuonava con le voci degli oltre 3.000 indigeni di oltre 100 gruppi differenti provenienti da tutto il Brasile, che si sono riuniti per i cinque giorni della Mobilitazione Nazionale Indigena [pt, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] del 2018, tenutasi dal 23 al 27 aprile a Brasilia, la capitale brasiliana.

Conosciuto anche come Accampamento Terra Libera” (“Acampamento Terra Livre”, in portoghese), il sit-in è un evento annuale organizzato dall'Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB, nell'acronimo portoghese). Quest'anno si è tenuta la sua 15esima edizione.

Secondo l'ultimo censimento demografico brasiliano, ci sono 305 popoli indigeni in Brasile, che parlano 274 lingue diverse. Insieme, sono quasi 897.000 – circa lo 0,47% dei 200 milioni di persone che compongono la popolazione del paese.

La maggior parte di essi sono sparsi in migliaia di villaggi, dal nord al sud del territorio nazionale, situati nelle 715 Terre Indigene già regolarizzate e formalmente riconosciute dal governo federale. Ci sono più di 800 casi di terre indigene in attesa di regolarizzazione.

“L'opinione sul genocidio” e altri colpi bassi

Il movimento ha dovuto affrontare una serie di contrattempi politici che hanno dato rinnovato impulso alla mobilitazione di quest'anno.

Il Congresso nazionale brasiliano, la cui maggioranza è attualmente dominata dai sostenitori del settore agroindustriale, sta cercando di approvare un pacchetto di legge che pregiudicherebbe i diritti dei popoli indigeni, garantiti dalla Costituzione del Brasile del 1988 e da altre leggi internazionali, come la Convenzione 169 dell'Organizzazione internazionale del Lavoro [en].

Nell'attuale complessa situazione politica in Brasile, sotto la controversa amministrazione del Presidente Michel Temer, i rappresentanti del settore agroindustriale sono riusciti ad imporsi ancora di più e ad occupare ulteriori livelli di governo.

Solo pochi giorni prima dell'Accampamento Terra Libera, il Presidente Temer ha ceduto alle pressioni di un comitato rurale e ha licenziato il presidente della Fondazione Nazionale Indigena (FUNAI), sostituendolo con qualcuno più agro-amichevole.

La riluttanza del governo a concedere il riconoscimento ufficiale dei confini delle terre indigene e la criminalizzazione dei leader del movimento sono stati i principali punti di preoccupazione e risentimento per coloro che si sono radunati a Brasilia.

Kretã Kaingang, un capo indigeno dello stato di Paraná e coordinatore del programma indigeno di 350.org in Brasile, ha ricordato il tipo di minacce che ha affrontato. “Sono stato imprigionato per un po’, accusato di crimini che non sono stati provati e mi è stato impedito da un giudice di avvicinarmi alla terra in cui sono nato. Per quattro anni non ho potuto mettere piede nel luogo in cui è sepolto il mio cordone ombelicale”, ha detto.

Nel settembre 2017, il procuratore generale del Brasile ha emesso un parere legale affermando che solo le popolazioni indigene che stavano occupando il loro territorio nel giorno in cui è stata promulgata la Costituzione del 1988 dovrebbero beneficiare del riconoscimento del loro diritto alla terra.

Conosciuta come la tesi del “limite di tempo”, e talvolta chiamata “opinione sul genocidio” [en], è stata approvata dal Presidente Michel Temer. Se mai dovesse diventare legge, indebolirebbe gravemente il riconoscimento di nuove terre indigene.

“Abbiamo un solo obiettivo qui: riprendere il processo di demarcazione delle nostre terre”

La notte è scesa mentre i capi indigeni stavano svegli ad osservare di fronte all'edificio del governo federale. Ad un certo punto, la folla ha alzato le candele e ha interrotto le attività per ascoltare un lamento cantato da una delle donne indigene. È stata una cerimonia di lutto.

Il giorno successivo, l'Esplanade of Ministries, la strada principale dove si trovano tutti gli edifici del governo federale, è stata nuovamente occupata dai manifestanti che hanno marciato verso la sede del Congresso Nazionale.

Con dipinti e ornamenti, ballando e cantando grida di guerra, indigeni Kaingang, Guarani, Guarani-Kaiowá, Guarani-Mbya, Xucuru, Pataxó, Munduruku, Awá-Guajá, Guajajara, Marubo, Xerente, Xavante, Kayapó, Tenetehara, Tembé, Tucano, Krahô, Kanela e molti altri hanno chiesto la ripresa del processo di demarcazione delle loro terre e chiesto il rispetto dei loro diritti, come sancito dalla Costituzione del 1988.

I leader indigeni portavano striscioni con messaggi rivolti alle autorità: “Demarcazione ora!”, “Nessun fracking nelle nostre terre!” e “Guarani resiste”. Altri cartelli denunciavano la distruzione di territori, fiumi e risorse naturali da parte di giganti infrastrutture e progetti per l'energia.

“Abbiamo un solo obiettivo qui: riprendere il processo di demarcazione delle nostre terre. Molti dei nostri parenti non potevano unirsi a noi, così siamo venuti a rappresentare le nostre comunità”, ha detto Kretã Kaingang.

Durante la manifestazione, la strada era macchiata di rosso, a simboleggiare il sangue versato dai popoli indigeni durante gli atti di repressione e violenza che sono considerati da molti una continuazione del genocidio storico perpetrato contro di loro durante il periodo coloniale.

“La scia di ‘sangue’ che lasciamo rappresenta la violenza e gli attacchi imposti dallo stato ai popoli originari di questo paese. Diverse invasioni, minacce e assassini si sono verificati in Brasile, oltre a un crudele processo di criminalizzazione dei nostri leader. Ma nonostante queste problematiche circostanze, resisteremo e combatteremo sempre, come abbiamo imparato dai nostri guerrieri ancestrali”, ha detto il capo Marcos Xukuru di Pernambuco.

Joênia Wapichana, la prima donna indigena e avvocato indigeno a reggere nella Corte Suprema federale, ha ricordato che cosa è realmente in gioco: “Il fatto che il Ramo esecutivo abbia uno strumento per limitare il diritto alla demarcazione mette le vite di tutti i popoli indigeni a rischio, la cui sussistenza dipende direttamente dalla terra e da tutto ciò che essa offre”.

“La demarcazione delle nostre terre coincide con la loro conservazione. Abbiamo ricevuto notizie dai nostri parenti di tutte le regioni sulle invasioni perseguite da taglialegna, prospettori, accaparratori e imprese statali. Quello che vogliamo è garantire la vita delle generazioni future. Combattiamo qui non solo per noi popoli indigeni, ma per la società brasiliana nel suo complesso”, ha detto Tupã Guarani Mbya, della terra indigena Tenondé Porã, a San Paolo.

Per il capo Juarez Munduruku, i popoli indigeni sono come alberi. “C'è vita negli alberi proprio come c'è in noi. Se li uccidi, muoiono e non tornano più. Se un taglialegna uccide un ‘cacique’, finisce una storia”.

Ha ricordato che nel mezzo del fiume Tapajós, in Amazzonia, dove si trova il suo territorio, ci sono piani per costruire 43 grandi impianti idroelettrici, che sbarreranno con dighe uno dei più grandi fiumi del paese, un luogo sacro per la sua gente. Due di questi progetti sono già stati attuati e ci sono piani anche per la costruzione di 30 porti per il trasferimento delle monocolture di soia, oltre al settore minerario e al disboscamento illegale.

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