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La prima cosa da fare per proteggere gli oceani della Terra

Categorie: Ambiente, Citizen Media, Governance
Shadow bands and light bands during a tropical sunset. Photo by Flickr user NOAA Photo Library. CC-BY-NC-SA 2.0

Gioco di luci e ombre sull'oceano durante un tramonto tropicale. Foto dalla galleria fotografica dell'utente di Flickr NOAA. CC-BY-NC-SA 2.0

Questo post di Liza Gross [1] [en, come i link seguenti] è stato pubblicato originariamente [2] su Ensia.com [3], una rivista che evidenzia le soluzioni ambientali sul fronte internazionale, e viene ripubblicato qui come parte di un accordo per la condivisione dei contenuti.

Quando i pescatori del New England si lamentarono che lavoravano sempre più duramente per pescare sempre meno pesce, Spencer Baird riunì un gruppo scientifico per indagare. Benché la scarsità di pesce sembrasse inconcepibile ai tempi, Baird scrisse nel suo rapporto, “un calo allarmante della pesca costiera è stato stabilito in modo esaustivo dalle mie stesse indagini, come pure attraverso le prove dei testimoni riconosciuti.”

Il rapporto fu il primo di Baird come capo della Commissione per la pesca e i prodotti ittici degli Stati Uniti. Era l'anno 1872.

Baird riconobbe i limiti degli oceani. Un decennio dopo, tuttavia, la sua controparte britannica espresse un'opinione decisamente diversa. Definendo la pesca marittima “inesauribile”, Huxley giudicò le normative inutili, poiché “niente di quello che facciamo ha un serio impatto sulla quantità di pesci.”

Durante il secolo successivo, quando la pesca diventò sempre più meccanizzata, la nozione di Huxley che gli oceani sono infinitamente abbondanti perdurò, persino quando l'evidenza mostrava il contrario. Oggigiorno, l’ 80% delle riserve ittiche globali [4] sono state pescate fino al limite ed oltre. E il nostro fallimento nella protezione degli oceani — non solo dei pesci in essi — come una risorsa finita minaccia ormai la sua capacità di recuperarsi, come ha argomentato una commissione internazionale di governi e imprenditori in un rapporto del 2014.

“La distruzione dell’ habitat, la perdita di biodiversità, lo sfruttamento eccessivo della pesca, l'inquinamento, il cambiamento climatico e l'acidificazione degli oceani stanno spingendo il sistema oceanico al punto di collasso”, hanno avvertito i presidenti della Commissione Globale degli Oceani [5].

Gli scienziati sanno come curare la maggior parte delle infermità che affliggono l'alto mare — ovvero le acque oceaniche ad oltre 200 miglia nautiche dalla costa, oltre la giurisdizione delle nazioni. La restrizione delle attività industriali come la pesca, la navigazione marittima e lo sfruttamento minerario dei fondali marini nelle zone critiche per la biodiversità contribuirebbero notevolmente al recupero della salute degli oceani, dicono. Non c'è però spazio per tali misure in un quadro normativo creato per gestire il consumo e il commercio nelle acqua oceaniche, invece della loro salvaguardia.

È un sistema ancorato ostinatamente alla visione a tunnel di Huxley, persino di fronte a un'evidenza tanto allarmante che Baird avrebbe potuto difficilmente immaginare.

Salvaguardia inefficace

Il quadro internazionale primario per il controllo dell'abbondanza dell'oceano è la Convenzione delle Nazioni Unite sulla Legge del Mare. UNCLOS, che entrò in vigore nel 1994 e fu creata per riempire le lacune lasciate dagli accordi anteriori dell'ONU che regolavano la navigazione marittima (mediante l'Organizzazione Marittima Internazionale) e la pesca (mediante l'Organizzazione per l'Agricoltura e l'Alimentazione).

Il trattato fu integrato rapidamente nel 1994 dall’ Attuazione della Parte XI di UNCLOS, che regola lo sfruttamento minerario dei fondali marini profondi per le risorse non biologiche (mediante l'Autorità Internazionale per i Fondali Marini), e l’accordo dell'ONU sulle riserve ittiche del 1995 [6], che dipende da 10 organizzazioni regionali di gestione della pesca, conosciute come RFMO [7], per rendere effettive le sue linee guida sulla sostenibilità.

UNCLOS dipende da 166 Paesi per assicurare che i loro cittadini e le imbarcazioni siano conformi alle disposizioni del trattato oltre la giurisdizione nazionale — ovvero due terzi delle acque oceaniche. I Paesi tendono a firmare accordi intergovernativi – chiamati accordi “settoriali” perché governano diversi settori imprenditoriali — che riflettono i loro interessi nazionali. Questi accordi settoriali creano organi autoritari per assicurare l'uso e lo sfruttamento equo delle risorse marittime fra le nazioni. Sebbene gli organi settoriali rappresentino gli interessi dell'industria ittica, mineraria, della navigazione marittima e di altre industrie che governano, possono approvare misure di salvaguardia se vogliono farlo. E alcuni lo fanno: un corpo settoriale, la Commissione Baleniera Internazionale, ad esempio, introdusse una moratoria sulla caccia alla balene negli anni 1980 sotto la pressione dei paesi membri che non cacciavano le balene. Al contrario, i corpi settoriali RFMO, che includono principalmente solo le nazioni dedite alla pesca come parti degli accordi, hanno generalmente resistito alle misure di salvaguardia.

UNCLOS protegge anche gli interessi economici delle nazioni, attraverso normative che danno ai paesi costieri diritti esclusivi sulle risorse marine all'interno delle 200 miglia nautiche in alto mare. La maggior parte dello sfruttamento di gas e petrolio, ad esempio, è supervisionato dai Paesi all'interno di queste zone esclusive. Però le normative nazionali inadeguate possono condurre al disastro, come il disastro petrolifero del Deepwater Horizon nel 2010 – che ha causato 11 morti e il rovesciamento di quasi 5 milioni di barili di petrolio nelle acque statunitensi del Golfo del Messico – rese terribilmente chiaro. Il solo modo di prevenire simili disastri, argomenta il Comitato della Commissione Oceanica Globale, è attraverso un accordo internazionale vincolante in materia di sicurezza e standard ambientali, che consideri le corporazioni responsabili per i danni ambientali.

Uno dei maggiori problemi nella salvaguardia degli oceani, come dicono molti scienziati, è che gli accordi settoriali dipendono dalle misure obbligatorie di conformità, mentre i patti di salvaguardia, come la Convenzione sulla Conservazione delle Specie Migratorie di Animali Selvatici [8] e la Convenzione sulla Diversità Biologica [9], dipendono quasi esclusivamente dalle misure volontarie.

Non esiste un accordo di salvaguardia generale né regionale che possa proteggere l'alto mare, dice Jeff Ardron, consulente del governo marittimo presso il Segretariato del Commonwealth, una coalizione di politiche pubbliche a Londra. Gli scienziati devono quindi attraversare gli organi settoriali, uno per uno, per proteggere un ecosistema vulnerabile con risultati alterni, dice Ardron. “È inefficiente e frustrante e lento,” spiega, “però è tutto quello che abbiamo al momento.”

Intorno al Mare dei Sargassi

Prendete, ad esempio, il caso del Mare dei Sargassi [10], un enorme tratto dell'oceano Atlantico settentrionale, così chiamato per le alghe sargassum che sostentano una comunità diversificata di tartarughe, pesci, lumache, granchi e altri animali. Il Mare dei Sargassi offre un habitat di riproduzione e crescita per una ventina di specie, incluse le anguille americane ed europee minacciate, che migrano per migliaia di miglia dai fiumi e ruscelli per deporre le uova nei manti di vegetazione itineranti.

È l'unico mare circondato da correnti, non terraferma, per questo ha avuto una scarsa protezione dall'impatto umano. Le correnti concentrano inquinamento, plastica e altri detriti. Gli scienziati dell'Istituto di Ricerca dell'Acquario di Monterey Bay sospettano che queste pressioni possano aver contribuito a significativi declini nella biodiversità [11] dagli anni '70, come è stato scritto in un articolo scientifico di Marine Biology nel 2014 [12].

Nel 2010, Kristina Gjerde, consulente per le politiche di alto mare dell'Unione Internazionale nel Programma Marino e Polare Globale per la Conservazione della Natura, ha aiutato ad organizzare l'Alleanza per il Mare dei Sargassiper proteggere questo ecosistema vulnerabile. Gjerde e i suoi colleghi hanno realizzato il caso scientifico [13] per riconoscere il Mare dei Sargassi come un'importante area ecologica, per giustificare la protezione della Convenzione sulla Diversità Biologica dell'ONU. I delegati presso i dibattiti dell'ONU sulla biodiversità nel 2012 [14] hanno concordato che il Mare dei Sargassi soddisfa i criteri per la protezione. Però, l'autorità per la gestione delle aree marine protette oltre la giurisdizionale nazionale è legata anche alle organizzazioni settoriali intergovernative che condividono un interesse nell'area. Per questo motivo, il team Sargasso ha dovuto rivolgersi a ognuno a turno.

In primo luogo, si sono rivolti all’ organo per la pesca con giurisdizione sopra la pesca del tonno nel Mare dei Sargassi, la Convenzione Internazionale per la Conservazione del Tonno Atlantico [15]. I deputati hanno detto al team Sargasso che non vedevano un fondamento logico per proteggere una regione che non ha molta pesca. Successivamente, il team si è rivolto all'Organizzazione Marittima Internazionale, che regola l'inquinamento da navigazione. I funzionari hanno chiesto le prove che i liquami, lo scarico delle acque di zavorra (che possono contenere specie aliene e inquinanti) e il transito delle navi stava danneggiando il Mare dei Sargassi.

“La prova è un livello molto arduo da superare in qualsiasi questione”, dice Gjerde. Ecco perché gli scienziati hanno cercato di convincere gli organi che governano le attività industriali dell'oceano a incorporare la cautela nelle loro attività, dice. Finalmente, dopo anni di negoziazioni, Gjerde e i suoi alleati hanno ottenuto almeno una protezione parziale per il Mare dei Sargassi. Nel 2015, l'Organizzazione della Pesca nell'Atlantico nord-occidentale ha convenuto di bandire l'attrezzatura per la pesca a strascico nelle acque di media profondità, che potrebbe danneggiare il fondale marino, oltre a denunciare tutte le specie indicatrici di ecosistemi marini vulnerabili catturate dai pescherecci e dichiarare tutte le montagne sottomarine [16] [it] nella sua giurisdizione vietate per la pesca a strascico fino al 2020.

Il team Sargasso non ha ancora raggiunto accordi simili con l'Organizzazione Marittima Internazionale o l'Autorità Internazionale dei Fondali Marini, che governa l'estrazione dai fondali marini. E questo illustra una delle carenze più scoraggianti nei quadri normativi esistenti. La mancanza di un quadro normativo globale significa che i difensori degli oceani possono proteggere un'area sensibile da un tipo di sfruttamento, soltanto per trovarla a rischio di un altro.

Minacce sinergetiche

Gli oceani aperti coprono quasi metà della Terra, ospitano alcune delle sue regioni più importanti dal punto di vista ambientale e, inoltre, forniscono lavoro e sicurezza alimentare a decine di milioni di persone. Eppure, con gli organi per la conservazione incapaci di emettere provvedimenti sanzionatori, è possibile sfruttare le risorse degli oceani finché non ci saranno più risorse da sfruttare.

Le specie marine a rischio di sovrapesca devono anche lottare con il dilagante inquinamento da plastica, liquami, prodotti chimici industriali, deflussi agricoli e altri contaminanti. Le navi rilasciano circa 1,25 milioni di tonnellate metriche (1,4 millioni di tonnellate) di petrolio [17] all'anno. E le navi da crociera, da sole, rilasciano 30.000 galloni (100.000 litri) di liquami [18] al giorno. Gli scienziati stimano che i rifiuti plastici uccidano [19] più di un milione di uccelli marini e 100.000 mammiferi marini all'anno.

In aggiunta a queste tensioni, gli scienziati hanno prodotto prove documentali dell’ impatto del cambiamento climatico sulla vita marina. Il merluzzo e i pesci di acque profonde stanno migrando verso i poli in cerca di acque più fredde. Le barriere coralline, incapaci di tollerare acque più calde e rese più acide del 30% [20] dall'eccesso di anidride carbonica, stanno soffrendo uno sbiancamento diffuso. E poiché le acque più calde assorbono meno ossigeno, le specie come il tonno e il marlin [21], già sottoposte a una pesca intensiva, trascorrono meno tempo cacciando nelle acque profonde.

“La volontà politica è al centro di tutto”. – Michael Orbach. Nonostante la gravità di questi effetti, molti scienziati ritengono che controllando l'inquinamento e la pesca eccessiva, oltre a proteggere l'habitat, sia possibile guadagnare il tempo sufficiente per aiutare le specie a riprendersi dagli impatti del cambiamento climatico. Dicono che i recenti progressi della tecnologia satellitare e dei sensori remoti possano ora individuare le imbarcazioni che pescano illegalmente [22], e questo potrebbe aiutare a tenere milioni di tonnellate di pesce [23] fuori dal mercato nero. L’ Interpol, il guardiano della polizia internazionale, ha recentemente stabilito un’ unità contro il reato della pesca illegale [24], per aiutare le nazioni ad arrestare i pescatori pirata quando entrano nei porti. Il successo dipende comunque dalla collaborazione fra le nazioni nel procedere penalmente contro i pescherecci illegali.

Convincere la nazioni a collaborare nelle misure internazionali di conservazione si è rivelato un compito gravoso, dice Michael Orbach, professore emerito di affari marittimi e politica del mare presso l'istituto dell'ambiente (Nicholas School of the Environment) alla Duke University. “La volontà politica è al centro di tutto”, dice.

Le nazioni hanno bisogno di risorse per il monitoraggio e l'attuazione, però necessitano anche della volontà di utilizzare queste risorse per la salvaguardia. “È un grande requisito”, dice Orbach.

Speranza all'orizzonte

Se dipendesse da Orbach, tutte le attività umane in alto mare dovrebbero richiedere una concessione rilasciata da un organo regolatorio che abbia l'autorità di monitorare e sanzionare i trasgressori. In questo modo si risolverebbe il problema di dover fare affidamento sull'industria ittica e sulle organizzazioni di navigazione e di attività estrattiva per la loro autoregolamentazione.

Per istituire e avviare un simile sistema sarebbe necessario un immenso sostegno pubblico, dice Orbach. E questo è alquanto improbabile. “È molto difficile attivare il pubblico per la salvaguardia degli oceani,” dice. “Semplicemente, è qualcosa che la maggior parte delle persone non conosce.”

Ecco perché i difensori dell'oceano hanno lavorato dietro le scene, per anni, per creare le protezioni della biodiversità [25] nel Diritto del Mare. Finalmente, i loro sforzi stanno dando risultati.

Nel 2015, l'Assemblea Generale dell'ONU ha adottato una risoluzione [26] per ampliare UNCLOS per proteggere la biodiversità marina e le risorse genetiche in zone non soggette a una giurisdizione nazionale. La risoluzione, che sollecita lo sviluppo di aree marine protette e di studi sull'impatto ambientale, pone le basi per la creazione di misure più severe per la conservazione in alto mare. La prima di quattro sessioni del “comitato preparatorio [27]” per negoziare come dovrebbero essere quelle misure si è svolta nella primavera del 2016.

Gjerde, che ha partecipato alle riunioni, dice che l'accordo dimostra che le nazioni riconoscono finalmente che sarà necessario un accordo internazionale giuridicamente vincolante per garantire una salvaguardia significativa.

Con solo il 2% dell'oceano protetto — e alcuni scienziati raccomandano il 30% per salvaguardare la biodiversità — la creazione di riserve marine è una priorità assoluta. L'accordo si prefigge di creare un organo regolatorio con l'autorità e l'infrastruttura per applicare le norme di conservazione e sanzionare i comportamenti illeciti. Stabilisce anche una procedura per designare le riserve marine, che limiti qualsiasi attività che possa danneggiare l'habitat dal profondo fondale marino al vertice della colonna d'acqua (ovvero la superficie del mare).

Con solo il 2% dell'oceano [28] protetto — e alcuni scienziati raccomandano il 30% [28] per salvaguardare la biodiversità — la creazione di riserve marine è una priorità.

Il comitato prevede di fornire raccomandazioni all'Assemblea Generale alla fine del 2017. Poi inizierà il duro lavoro di costruire un consenso internazionale sul nuovo accordo sulla biodiversità, un processo che potrebbe durare anni.

Però molto potrebbe succedere prima. Non c'è niente che impedisca alle organizzazioni settoriali di organizzare aree protette già da ora, dice Ardron della Segreteria del Commonwealth. “Devono solo convincersi che è necessario farlo”.

Ed è qui dove il pubblico potrebbe giocare un ruolo. I consumatori possono influenzare l'industria ittica, ad esempio, attraverso il potere del loro portafoglio [29], o fare pressione sui loro governi, affinché promulghino controlli delle emissioni delle navi [30], una fonte di emissioni in gran parte non regolamentate [31] di gas serra.

Sostanzialmente, una buona gestione degli oceani oltrepassa quello che i singoli individui riescono a realizzare. Anche i social media possono essere utili, dice Gjerde. Mentre gli scienziati e i gruppi ambientalisti hanno sollecitato l'Autorità Internazionale dei Fondali Marini di aprire le sue decisioni sulle estrazioni dai fondali allo scrutinio pubblico, una campagna su Twitter ha ottenuto quasi 800.000 firme in una petizione identica. Se abbastanza persone esprimono preoccupazione sugli oceani, gli scienziati possono utilizzare il flusso di supporto come sostegno nella prossima riunione del comitato preparatorio UNCLOS sulla biodiversità marina, dice Gjerde.

Sostanzialmente, una buona gestione degli oceani oltrepassa quello che i singoli individui riescono a realizzare. E Gjerde crede che il nuovo accordo ONU sulla biodiversità darà finalmente agli scienziati la struttura di cui hanno bisogno per mettere gli oceani sulla strada del recupero. Ha trovato ragioni per essere ottimista durante il primo ciclo di negoziati. Rifiutando la convinzione di Huxley di 130 anni fa, ovvero che gli esseri umani non potrebbero mai danneggiare i vasti oceani del nostro pianeta Terra, le delegazioni sono venute preparate per lottare su quello che devono fare per assicurare una gestione sostenibile dei mari.

E questo, dice Gjerde, “è un enorme passo in avanti.”

Liza Gross [1] è una giornalista indipendente e editor di PLOS Biology, media specializzato in salute ambientale e pubblica, ecologia e salvaguardia. Il suo lavoro è stato pubblicato in diversi organi di stampa, inclusi New York Times, Washington Post, The Nation e Discoverand KQED. Trovate i suoi tweet su @lizabio [32].