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No alla tassa sui social che colpisce donne, giovani e poveri in Uganda

Categorie: Uganda, Citizen Media, Cyber-attivismo, Diritti umani, Donne & Genere, Giovani, Legge, Libertà d'espressione, Advox

Gli ugandesi si oppongono alla nuova tassa sui social e sul Mobile Money. “Io respingo la tassa sul mobile money e sui social! Questa tassa deve sparire”.

Il 1° luglio 2018, il governo dell'Uganda ha introdotto un'imposta di 200 scellini ugandesi (0,05 dollari) per l'utilizzo dei social, sollevando la disapprovazione dei cittadini.

Con un valore medio del PIL pro capite di 604 dollari [1] [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], l'utilizzo giornaliero dei social media o delle app di messaggistica potrebbe consumare il 3% della retribuzione annuale media degli ugandesi.

La lotta contro la tassa sui social media ha preso una svolta legale lo scorso 2 luglio, quando cittadini preoccupati si sono rivolti al tribunale sostenendo che la tassa violi la costituzione ugandese.

I firmatari della petizione [2] affermano, infatti, che questa tassa contravvenga ai diritti umani degli ugandesi sanciti dalle “disposizioni indicate nella Costituzione della Repubblica dell'Uganda del 1995″.

Il quotidiano keniota The Daily Nation riporta quanto segue:

The petition, filed by a team of young advocates under their Cyber Law Initiative (U) Limited and four individuals, Mr Opio Bill Daniel, Mr Baguma Moses, Mr Okiror Emmanuel and Mr Silver Kayondo against the attorney-general, is challenging the Constitutionality of the (200 USH) [$0.05 USD] daily charge for access to social media platforms.

[…]

The petition is particularly targeting several sections of the Excise Duty Amendment Act 2018 [3], which provided for taxes on Over The Top (OTT) services from mobile telephone usage.

La petizione contro il procuratore generale, presentata da un team di giovani avvocati su iniziativa dell'organizzazione Cyber Law Initiative (U) Limited e di quattro cittadini, Opio Bill Daniel, Baguma Moses, Okiror Emmanuel e Dilver Kayondo, impugna l'incostituzionalità della tassa giornaliera di 200 scellini ugandesi (0,05 dollari) per l'accesso alle piattaforme di social media.

[…]

In particolare, la petizione prende di mira diverse sezioni dell’Excise Duty Amendment Act [3] (Legge di riforma sulle imposte indirette) del 2018 che prevedevano tasse sui servizi Over The Top (OTT) utilizzati tramite telefono cellulare.

La tassa costituisce una minaccia per i diritti fondamentali della libertà di parola e di accesso alle informazioni, garantiti dalla Costituzione dell'Uganda [4] nonché protetti da trattati internazionali, inclusi il Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici [5] e la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo [6] [it], dei quali l'Uganda è uno Stato firmatario.

I firmatari della petizione chiedono, inoltre, al tribunale di emettere un ordine che possa bloccare in modo permanente il pagamento della tassa. La rivista PCTech riporta [7] quanto segue:

They want the court to issue an order, permanently stopping the government and all her agencies, authorities and officials from imposing any tax on internet or social media usage. In addition, they also want an order, directing the government and government regulatory body of the communications sector; Uganda Communication Commission (UCC) to only regulate OTT services in a manner that guarantees free access, net neutrality, and open internet.

Viene richiesta al tribunale l'emissione di un ordine che fermi, in modo permanente, il governo, le agenzie, le autorità e gli uffici dall'imporre qualsiasi tassa sull'utilizzo di internet e dei social. In aggiunta, viene richiesto un ordine indirizzato al governo e all'organismo regolatore governativo del settore delle comunicazioni, la Commissione per le Comunicazioni dell'Uganda (UCC), per regolare i servizi OTT in modo da garantire il libero accesso, la neutralità della rete e un internet aperto.

L'avvocato ugandese Silver Kayondo ha promesso di “lottare fino ad arrivare di fronte al Tribunale africano per i diritti umani e dei popoli”:

Ai firmatari della petizione si è aggiunto Raymond Mujuni in difesa delle fonti giornalistiche OTT e dei mezzi di trasmissione digitale. Siamo in cammino verso il Tribunale per agire nei confronti del procuratore generale. L'UCC e l'agenzia delle entrate ugandese (URA) saranno raggiunte da altri atti. Lotteremo fino ad arrivare di fronte al Tribunale africano per i diritti umani e dei popoli.

La comunità di Global Voices, che rappresentiamo, ha anch'essa preso posizione sulla questione e organizzato una maratona di tweet, fissata per lunedì 9 luglio, in solidarietà agli attivisti in Uganda.

Il poster della campagna #NoToSocialMediaTax (No alla tassa sui social media). Progetto di Innocent Amanyire @NinnoJackJr e usata con permesso.

Mentre la battaglia legale procede, rimangono in sospeso, e richiedono ulteriori indagini, le questioni su equità, giustizia e accesso. Secondo un'indagine dell'Autorità nazionale sulle tecnologie dell'informazione, il 77% degli ugandesi non può permettersi di sostenere il costo base per l'utilizzo di internet, e solo il 22% della popolazione attualmente ne fa uso.

Invece che investire in infrastrutture che avrebbero potuto espandere l'accesso alla banda larga, il governo ha imposto una tassa sui social che limita seriamente l'accesso e porta denaro nelle casse dello Stato. [11]

I critici vedono la tassa come una forma di doppia tassazione [12] in quanto sia il tempo di trasmissione che i dati erano già soggetti ad imposta. Ora, molti utenti affermano di non potersi permettere di pagare l'extra di 200 scellini ugandesi al giorno per accedere alle piattaforme sociali e di comunicazione online, dette anche servizi OTT.

La tassa allarga il divario nell'accesso a internet non solo per i giovani ugandesi e per quelli più poveri, ma anche per le donne, favorendo così il divario digitale di genere [13].

Esenta i ricchi, tassa i poveri.

I giovani ugandesi: in prima linea sui social e schiacciati dalla tassa

L'Uganda lotta contro uno dei più alti tassi di disoccupazione dell'Africa orientale. Un censimento [16] condotto in Uganda nel 2014 rivelava che, su oltre 18 milioni di persone tra i 14 e i 64 anni, il 58% erano disoccupate. Inoltre, secondo il rapporto [17] della Commissione per le Comunicazioni dell'Uganda, sempre del 2014, il 52% degli ugandesi possedeva un telefono cellulare e il 71% di essi viveva in zone rurali.

I giovani tra i 15 e i 24 anni risultano essere i maggiori utilizzatori di smartphone, costituendo il 28% della popolazione. Molti fanno affidamento sul proprio cellulare e su WhatsApp per svolgere attività economiche che vengono poi gestite attraverso il mobile money [18]. Questi utenti sostengono, quindi, che la tassa sui social media avrà il solo effetto di ostacolare imprenditorialità, facilità di fare impresa e creatività.

Il Centro per la collaborazione sulla politica internazionale dell'ICT nell'Africa orientale e meridionale (CIPESA) fa notare che un solo gigabyte (GB) di dati costerà loro circa il 40% del loro reddito mensile medio:

Parte 1: Per gli ugandesi più poveri, il costo della connessione aumenterà del 10% facendogli spendere, per un solo Gb di dati, il 40% del loro reddito mensile medio. Per gli ugandesi più ricchi, invece, l'aumento del costo della connessione sarà dell'1%!

Un affronto ai cittadini già sovratassati

La tassa sui social arriva sulla scia della controversa “tassa sui pettegolezzi” [23] [it] dell'aprile 2018 ed è vista come un affronto per i già sovratassati cittadini. Il Presidente Museveni, però, dichiara:

I am not going to propose a tax on internet use for educational, research or reference purposes… these must remain free. However, olugambo (gossip) on social media (opinions, prejudices, insults, friendly chats) and advertisements by Google and I do not know who else must pay tax because we need resources to cope with the consequences of their lugambo.

Non propongo una tassa sull'utilizzo di internet per scopi educativi, di ricerca o di riferimento… per tali scopi, internet deve rimanere gratuito. Tuttavia, gli olugambo (pettegoli) sui social media (opinioni, pregiudizi, insulti, chiacchierate amichevoli), così come le inserzioni pubblicitarie di Google e non so di chi altri, devono essere tassati perché abbiamo bisogno di risorse per far fronte alle conseguenze che hanno prodotto.

La categorizzazione delle piattaforme dei social media come beni di lusso ha mostrato una profonda lacuna nell'alfabetizzazione digitale dei responsabili politici del governo Museveni.

Il giornalista ugandese Daniel K. Kalinaki [24] sintetizza così l'impatto giornaliero della “tassa sui pettegolezzi” e della “tassa sui social media” sui cittadini:

There are basically two problems with the social media tax. First, it shoots the wrong person twice: A Facebook user has already paid tax on the mobile phone, data and electricity; they are, except in a few cases, the product, not the revenue. The tax is like taking money at the gate then also charging for the seats in an empty stadium.

Secondly, people generally don’t gossip or insult others for a living; they do so because they are idle, sad and often unemployed. Imposing a tax to keep them quiet is the cyber equivalent of asking starving people who don’t have millet to eat red velvet chocolate cake instead. This and the mobile money tax have taken many young and poor people, including many in the countryside who have never paid a direct tax, through the organ grinder of our tax system. You can hear the screams from Kidera to Kyotera.

La tassa sui social media presenta due problemi di base. In primo luogo, colpisce per ben due volte le persone sbagliate: chi utilizza Facebook paga già la tassa sul telefono cellulare, i dati e l'elettricità; ad eccezione di pochi casi, questi elementi costituiscono il prodotto, non il ricavo. Un po’ come se si pagasse il biglietto per entrare e, in più, per avere il posto a sedere in uno stadio vuoto.

In secondo luogo, le persone di solito non spettegolano o insultano gli altri per mestiere; lo fanno perché sono frivole, tristi e spesso disoccupate. Imporre una tassa allo scopo di tenerle calme è l'equivalente informatico di chiedere alle persone che muoiono di fame, che non hanno neanche un pezzo di pane da mangiare, di sostituirlo con una torta. Questa tassa, insieme a quella sul mobile money, ha colpito giovani e poveri, inclusi gli abitanti delle zone rurali che non hanno mai pagato un'imposta diretta, per via delle norme-tritatutto che compongono il nostro sistema fiscale. Di questi, se ne possono sentire le grida di protesta da Kidera a Kyotera.