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‘A volte, adottare l'indentità afro implica avere conversazioni spiacevoli con le persone che ami’

Categorie: Europa occidentale, Guinea equatoriale, Spagna, Citizen Media, Etnia

Lucía Asué Mbomío Rubio nella foto di Maité Escarria. Foto pubblicata con il permesso dell'intervistata.

Lucía Asué Mbomío Rubio è una giornalista spagnola, di Madrid per la precisione, nata da madre di Segovia, Spagna, e da padre di Niefang, Guinea Equatoriale.

Autrice poliedrica, tra le altre cose ha al suo attivo la pubblicazione del romanzo Las que se atrevieron [1] [es, come i link seguenti, salvo diversa indicazione], multiple collaborazioni con organizzazioni come il collettivo Afroféminas [2], partner di Global Voices in spagnolo [3], e ha un suo canale YouTube.

Le abbiamo chiesto di parlarci del suo impegno antirazzista nel contesto spagnolo, delle sue considerazioni a proposito della negritudine, e del suo operato come attivista.

GV: Quali sono i rischi e le sfide connessi all'adottare l'identità “afro” o “nera” in una società come quella spagnola?

LM: En España da miedo hablar de la raza (asumiendo que las razas, desde un punto de vista biológico, no existen y se trata de una construcción socioeconómica), digamos que tratar determinados temas, incomoda o, como diría el fotógrafo Rubén H.Bermúdez “resulta violento”, entre otras cosas, porque se da por hecho que es algo malo.

De ahí que no resulte raro escuchar frases como “yo no soy racista, pero”, como si ese preámbulo invalidara la “racistada” que tiende a ir a continuación.

LM: In Spagna parlare di razza fa paura (si suppone che, da un punto di vista biologico, le razze non esistano e che si tratti di un concetto socioeconomico), diciamo che trattare determinati temi disturba o, come direbbe il fotografo Rubén H.Bermúdez, “risulta violento”, tra l'altro, perché si dà per scontato che sia qualcosa di male.

Di conseguenza, non è raro sentire frasi come “io non sono razzista, ma”, come se la premessa invalidasse l'affermazione razzista che seguirà.

Per questo, Lucía ci spiega come una parte importante della lotta contro le ingiustizie dovute al razzismo dipenda dalla visibilità delle discriminazioni. Che a sua volta dipende, in gran parte, dagli spazi in cui chi le subisce può essere ascoltato:

Hace poco, Luis Castellvi, profesor en Cambridge [4], escribía en un artículo [5]: “para la mayoría blanca en España el racismo es invisible, como lo es el machismo para ciertos hombres, la homofobia para muchos heterosexuales y un largo etcétera. Pero obviamente eso no significa que estas formas de discriminación no existan. Para saber cuánto racismo hay en España, debe darse voz a las minorías afectadas y a quienes conviven con ellas.” Pues bien, eso es lo que, a menudo, sucede en esta sociedad, que se habla de algunos –ismos desde el privilegio de quien no los padece y que cuando opinamos como afectados/as se nos tilda de victimistas de manera automática sin entender que escucharnos es una oportunidad para modificar conductas y, por tanto, de contribuir a la mejora de un Estado del que también formamos parte.

Recentemente, Luis Castellvi, professore a Cambridge [4] [en], ha scritto in un articolo [5]: “In Spagna, per la maggioranza bianca il razzismo è invisibile, come lo è il maschilismo per alcuni uomini e l'omofobia per molti eterosessuali, solo per citarne alcuni. Ovviamente, però, ciò non significa che queste forme di discriminazione non esistano. Per sapere quanto razzismo c'è in Spagna, bisogna dar voce alle minoranze che lo subiscono, e a chi convive con loro.” Ecco, questo è ciò che spesso succede in questa società, che si parla dei diversi -ismi dalla posizione privilegiata di chi non li subisce, e che quando diciamo la nostra in quanto interessati/e, veniamo accusati automaticamente di vittimismo, senza capire che ascoltarci è un'opportunità per modificare alcuni comportamenti, e quindi per contribuire al miglioramento di una nazione di cui anche noi facciamo parte.

E continua:

Mi toma de conciencia ha ido de la mano de un activismo antirracista que se ha traducido en mi colaboración durante casi cuatro años ya con Afroféminas [2], para visibilizar a través de entrevistas a mujeres negras que podrían ser referentes para cualquiera, si algún medio tuviera a bien el poner el foco sobre ellas. También me he enfocado en armar talleres en diversos foros con el fin de analizar con perspectiva crítica el modo en el que los periodistas contribuimos a difundir una imagen de las personas negras que trata a la parte como el todo y que se niega a dejar de lado los estereotipos consuetudinarios que nos asocian (sí, hablo como emisora y como receptora puesto que como informadora yo también he cometido errores).

La mia presa di coscienza è cresciuta insieme al mio attivismo antirazzista, che si è tradotto in quasi quattro anni di collaborazione con Afroféminas [2], con l'intento di dare visibilità, intervistandole, a donne nere che potrebbero essere un punto di riferimento per chiunque, se i media fossero disposti a dar loro spazio. Mi sono anche dedicata a organizzare, in diversi forum, dei laboratori in cui analizzare da una prospettiva critica il modo in cui noi giornalisti contribuiamo a diffondere un'immagine delle persone nere che tratta la parte come il tutto, e che rifiuta di mettere da parte gli stereotipi con cui abitualmente veniamo associati (sì, parlo come soggetto che ha sia diffuso sia ricevuto quell'immagine, perché anch'io come giornalista ho commesso degli errori).

Mi hanno detto: ‘la razzista sei tu che evidenzi le differenze’

Sebbene sia noto che le conversazioni sul razzismo siano difficili, molti ignorano quanto siano comuni gli episodi di rifiuto. Nell'esperienza di Lucía Mbomío le risposte sono varie e complesse, però la maggioranza condivide un denominatore comune che complica ulteriormente la questione: le differenze nella vita quotidiana che molti non vivono e si rifiutano di vedere.

LM Asumirse como negra o como afro, puede implicar escuchar más de una vez frases del tipo “si todos somos iguales” o “la racista eres tú por marcar esas diferencias”. Ese “todos somos iguales” deja patente la enajenación existente hacia determinadas realidades cotidianas, como puede ser ir por la calle y que te pidan la documentación más veces que a alguien blanco debido a que dan por hecho que no eres “de aquí” (y a lo que conlleva no serlo) o que no aparezcas casi nunca en medios de comunicación salvo de manera estereotipada, por poner un par de ejemplos.

A veces, asumirme como afro, desde un punto de vista, quizá, más mundano pero no menos importante, supone tener conversaciones desagradables con gente a la que quieres y que te quiere. El amor más infinito no tiene por qué estar exento de los prejuicios inoculados por un sistema racista.

LM Adottare l'identità afro, o nera, può implicare l'ascoltare più di una volta frasi del tipo “siamo tutti uguali” o “la razzista sei tu che evidenzi le differenze”. Quel “siamo tutti uguali” significa misconoscere totalmente alcune realtà quotidiane, come camminare per strada ed essere fermata per il controllo dei documenti più frequentemente di un bianco, perché si dà per scontato che tu non sia “di qui” (con tutte le implicazioni del caso), o il non apparire quasi mai sui mezzi di comunicazione se non in maniera stereotipata, per citare un paio di esempi.

A volte, identificarsi come afro, da un punto di vista forse più mondano, ma non meno importante, implica avere conversazioni spiacevoli con le persone che ami e che ti amano. Perfino l'amore più infinito può non essere esente dai pregiudizi inoculati da un sistema razzista.

GV: Cosa ne pensi del tentativo di andare al di là delle divisioni razziali, per unirsi in una lotta antirazzista incentrata sull'idea di identità ed esperienza personale?

Que los y las aliadas son necesarias pero que de ninguna manera pueden encabezar la lucha antirracista. Ni siquiera mi madre, que ha tenido un par de hijxs leídxs y auto considerados como negrxs, podría. Ella puede aportar su visión como progenitora, sus experiencias y opiniones son importantes, pero no puede saber (aunque padezca algunas de sus consecuencias) lo que vivimos mi hermano o yo. Yo tampoco sé lo que es ser blanca y tener hijxs que no lo son: niños que lleguen llorando del colegio por haber recibido insultos o llenos de rabia o de miedo tras alguna agresión.

Alleati e alleate sono necessari, ma in nessun modo potrebbero guidare la lotta antirazzista. Nemmeno mia madre, che ha avuto due figli considerati neri da sé stessi e dagli altri, potrebbe. Può portare la sua visione come genitrice, le sue esperienze e opinioni sono importanti, però non può sapere (nonostante ne patisca alcune conseguenze) quello che viviamo io o mio fratello. Come io non posso sapere cosa significhi essere bianca e avere figli che non lo sono: bambini che tornano da scuola piangendo per essere stati insultati, o pieni di rabbia o di paura dopo aver subito qualche abuso.

Il potere del “dove” nell'identità

GV: Vorrei approfondire una questione che sorge ogni volta che cerchiamo di definire noi stessi: l'uso della parola “neri”. È un termine che è stato ed è centrale nel razzismo come teoria, la cui nascita è legata alla colonizzazione. Da quale parte del dibattito ti poni?

Creo que es algo muy contextual. Cuando yo era pequeña, aquí, si no eras blanca, eras negra. Todas las nomenclaturas creadas para marcar una gradación que te acercara más a unx o a otrx tan propia de algunos países de Latinoamérica (y herencia del sistema de castas español) no se usaban demasiado. Como a muchas personas en España, me han dicho que me vaya a África cuando me he quejado de algo que no estuviera bien o por tener opiniones que a algunas personas no les han cuadrado. Por eso, aún siendo consciente de mi parte blanca española, y últimamente, también del privilegio que se deriva de ella por el colorismo que existe y por el DNI con el que nací debajo del brazo, yo siempre me he autodenominado negra. Lo de “afrodescendiente” es algo muy reciente para mí, aunque reconozco que cuando estoy en algunos sitios, a sabiendas del poder del “dónde”, uso esa palabra.

También hay que tener en cuenta que hay mucha gente que está en contra del término “mulato” porque es una denominación exógena e impuesta cuya etimología proviene de mula, nos animaliza.

Credo che dipenda molto dal contesto. Quando ero piccola, qui, se non eri bianca, eri nera. Tutte le definizioni create per individuare la sfumatura che ti accomuna più a uno o all'altro gruppo, tipica di alcuni paesi dell'America Latina (eredità del sistema di caste spagnolo), non si usavano molto. Come a tanti altri in Spagna, mi è stato detto di tornarmene in Africa quando mi sono lamentata per qualcosa che non mi stava bene, o perché le mie opinioni non garbavano a qualcuno. Per questo, nonostante sia consapevole della mia parte bianca spagnola, e ultimamente anche dei privilegi che essa comporta a causa del “colorismo” e grazie al documento di identità che ho in tasca, da sempre mi autodefinisco nera. Afro-discendente è un termine molto recente per me, anche se riconosco che quando mi trovo in alcuni contesti, consapevole del potere del “dove”, uso questa parola.

Bisogna anche tener presente che molte persone sono contrarie al termine “mulatto” perché è una definizione esogena e imposta, la cui etimologia deriva da mulo, e ci animalizza.

E a proposito della forza dei contesti geografici e sociali:

Me consta que de haber crecido en otras partes del mundo seguramente lo vería diferente. En Guinea Ecuatorial, por ejemplo, que es mi otro país, me llamaban “blanca”. Pero yo he pasado casi toda mi vida (con excepciones que no han superado el año) en Madrid y mi posicionamiento responde a mis experiencias aquí en España.

Me gusta citar aquí a Amin Malouf que, en su libro “Identidades asesinas” [6], explicaba que, normalmente, pese a que somos poliédricos, nos asimos a la cara de nuestra identidad que consideramos que es más atacada.

Sono certa che se fossi cresciuta in altre parti del mondo, vedrei le cose in modo diverso. In Guinea Equatoriale, per esempio, che è la mia altra patria, mi chiamano “bianca”. Ma io ho passato quasi tutta la mia vita (con eccezioni che non superano l'anno) a Madrid, e le mie posizioni dipendono dalle mie esperienze qui in Spagna.

Voglio qui citare Amin Malouf che nel suo libro “Identidades asesinas” [6] (tradotto in inglese come “In the Name of Identity [7]” [en]), spiegava che, normalmente, anche se siamo esseri poliedrici, ci identifichiamo maggiormente con il nostro lato che consideriamo più sotto attacco.

Nella seconda parte di questa intervista, parleremo con Lucía a proposito del suo lavoro nell’ attivismo afro cibernetico, del suo canale YouTube e anche del suo libro Las que se atrevieron.