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La caccia simulata può davvero salvare i leoni in Kenya e Tanzania?

Categorie: Kenya, Tanzania, Ambiente, Citizen Media, Indigeni, Tecnologia

Male Lion at Sunrise, Ol Pejeta Conservancy, Kenya, East Africa. Photo by Diana Robinson. CC-BY-NC-SA 2.0

Leone maschio all'alba, Ol Pejeta Conservancy [salvaguardia Ol Pejeta], Kenya, Africa orientale. Foto di Diana Robinson. CC-BY-NC-SA 2.0

Questo post di Stephanie Dloniak [1] [en, come i link seguenti] è stato originariamente pubblicato sul Ensia.com [2], una rivista che illustra le soluzioni ambientali internazionali in atto, e viene ripubblicato qui conformemente a un accordo per la condivisione dei contenuti.

Su un altopiano ricco di arbusti all'ombra del monte Kilimangiaro, in una tenda di canapa sotto a un tetto in metallo che somiglia a un hangar per aeroplani, Philip Briggs prende tre leoni da un mazzo di carte.

“Queste femmine di leone hanno avuto tutte cuccioli all'inizio del 2010, appena dopo l'inizio della siccità”, dice. “Hanno iniziato a colpire continuamente i boma [zone recintate del bestiame] e Narika è stata trafitta in una battuta di caccia per rappresaglia”.

Le carte sono state create da Lion Guardians [3], un'organizzazione no profit del Kenya che aiuta gli ambientalisti locali a conoscere i singoli leoni. Ognuna ha la foto e descrizione di un leone che vive nei dintorni del Parco Nazionale Amboseli, in Kenya. Organizzando le carte in alberi genealogici e distribuendole sul tavolo in legno come se fossero felini che si muovono attraverso il paesaggio. Briggs e Stephanie Dolrenry, biologi di Lion Guardians, raccontano la storia della mattanza cronica del bestiame da parte dei leoni, e di come la morte di Narika ha contribuito a creare uno strumento per gestire questi leoni problematici: le caccie simulate.

Trading-card-like images and descriptions of lions help Lion Guardians distinguish among individual animals as they work to minimize human-lion conflict. Photo by Stephanie Dloniak

Immagini e descrizioni dei leoni in formato carta di credito aiutano l'organizzazione Lion Guardian a distinguere i singoli animali, mentre si lavora per minimizzare il conflitto uomo-leone. Foto di Stephanie Dloniak.

I maasai, il popolo di pastori indigeni del sud del Kenya e del nord della Tanzania, hanno sempre cacciato i leoni — in risposta agli attacchi sul bestiame e per celebrare il rito di passaggio dei maschi nell'età adulta. Durante una caccia, un gruppo di guerrieri localizza un leone a piedi, si avvicina con canti e grida tradizionali, per poi attaccarlo con le lance in un furore rumoroso.

“Dopo l'uccisione di Narika, le sue sorelle, i suoi cuccioli e un maschio chiamato Lomunyak hanno abbandonato tutti la zona, smettendo di uccidere il bestiame per due mesi”, spiega Dolrenry. “Abbiamo osservato questo significativo cambio di comportamento”.

“Se vengono repressi dopo aver attaccato il bestiame, possono imparare”. — Eric Ole Kesoi

Il team di Lion Guardians si chiede se le caccie simulate, che mimano nei dettagli le caccie reali, salvo che l'animale non viene attaccato con le lance alla fine, potrebbero ottenere lo stesso risultato nel comportamento, contribuendo tuttavia a salvaguardare i felini. I leoni occupano oggigiorno solo il 25% del loro territorio africano storico e la loro popolazione sta declinando, soprattutto a causa della perdita di habitat e prede, oltre che per gli abbattimenti di rappresaglia.

“[I Maasai] considerano i leoni animali furbi, animali che sanno quando hanno fatto qualcosa di sbagliato,” dice Eric Ole Kesoi, manager della comunità di Lion Guardians e anziano maasai, che ha partecipato in numerose caccie simulate. “Se vengono repressi, dopo aver attaccato il bestiame, possono imparare”.

L'organizzazione Lion Guardians mira a salvaguardare i leoni, integrando il sapere ecologico tradizionale e i valori del popolo maasai locale con la moderna tecnologia e l'analisi dei dati. I guerrieri maasai che vengono scelti per diventare guardiani dei leoni vengono addestrati e poi armati di apparecchi per l'individuazione via radio, unità GPS, mazzi di carte dei leoni e telefoni cellulari, oltre ai loro tradizionali bastoni e coltelli. Gli uomini giovani localizzano i leoni, registrano i problemi con la fauna selvatica, avvertono i mandriani quando i leoni sono presenti e cercano il bestiame perso. I guardiani dei leoni sembrano avere successo, finora; la popolazione locale dei leoni è più che raddoppiata negli ultimi quattro anni e pochissimi sono stati uccisi. Le caccie simulate aggiungono uno strumento molto importante ai loro mezzi d'azione.

Fino al 2015, i guardiani dei leoni hanno svolto sei caccie simulate contro leoni identificati individualmente, che erano conosciuti per aver attaccato ripetutamente il bestiame negli boma (recinti) e sono stati localizzati immediatamente dopo. I risultati preliminari sono promettenti: tutti i leoni che sono stati oggetto di caccia simulata hanno smesso di ammazzare il bestiame per uno o due mesi.

Lion Guardian Ng’ida takes a GPS point in front of Mt. Kilimanjaro. GPS data help Lion Guardians track animals and keep livestock out of harm’s way. Photo by Philip Briggs.

Il guardiano dei leoni Ng’ida prende le coordinate GPS davanti al Monte Kilimanjaro. I dati GPS aiutano i guardiani dei leoni a localizzare gli animali e a mantenere il bestiame fuori pericolo. Foto di Philip Briggs.

Ole Kesoi intravede un beneficio sia per i leoni sia per i maasai. Il ricorso alla caccia simulata come terapia di avversione può diminuire il conflitto e l'uccisione dei leoni. Contemporaneamente, le caccie permettono ai guardiani dei leoni di assumere un ruolo attivo nella salvaguardia della loro comunità.

Non tutti sono però entusiasti di questa idea. Craig Packer, un ecologista dell'Università del Minnesota, ha studiato i leoni nell'ecosistema di Serengeti in Tanzania dal 1978. “Nonostante i guardiani dei leoni siano stati indubbiamente validi e innovativi, mi preoccupa la sostenibilità del programma a lungo termine,” dice Packer. “Le sfide della salvaguardia dei leoni a lungo termine richiederanno molto più che strategie ‘culturalmente appropriate’ per la mitigazione dei conflitti”.

Susan Alberts appare più fiduciosa. Biologa all'università Duke, Alberts ha lavorato nell'ecosistema per più di 20 anni con il Progetto di Ricerca Amboseli Baboon.

“La principale minaccia per la fauna selvatica in Amboseli è la crescita della popolazione umana. Sappiamo tutti che cos'è necessario per gestirla: istruzione, alcuni reinsediamenti volontari, probabilmente compensazione. Non esiste una cura miracolosa. Detto questo, l'utilizzo della conoscenza dei comportamenti dei predatori, oltre che convincere le comunità che hanno un ruolo importante nel mantenere intatto l'ecosistema, sembra realmente essenziale per andare avanti”.

L'utilizzo di caccie simulate per cambiare il comportamento dei leoni problematici non è certamente una soluzione magica per la salvaguardia in Africa. Tuttavia, insieme ad altri approcci, in particolare quelli correlati alle tradizioni e ai valori locali, potrebbero aiutare sia la fauna selvatica sia il popolo che convive con essa a vincere questi giochi della vita, con le carte che possono utilizzare.

Nota dell'editor: Stephanie Dloniak ha prodotto questo articolo come partecipante nel programma Ensia Mentor Program [4]. Il suo mentore per il progetto è stato Michelle Nijhuis [5], premiata giornalista scientifica e ambientale.