Anatomia di un terremoto a Trinidad

Schermata del terremoto del 21 agosto 2018 dalla mappa interattiva di USGS.

Mi ricordo nitidamente il terremoto di Haiti nel 2010 [it]. Non ero là fisicamente, ma il resto di me stessa lo era certamente, nella mente e nel cuore. Il team di Global Voices dei Caraibi [en, come i link seguenti, salvo dove diversa indicazione] ha pubblicato quasi 50 post sulle attività di soccorso, assistenza e ricostruzione nei due mesi dopo il 12 gennaio 2010, e avevamo un team in loco per un breve periodo nelle prime fasi della ricostruzione, per sostenere gli internauti haitiani, che avevano un accesso limitato a elettricità e internet, nel condividere le loro prospettive sul disastro.

Lo spaventoso terremoto di Haiti di magnitudine 7,0 ha avuto effetti devastanti: nei 30-40 secondi di durata, è stato come se un bambino si fosse infuriato e avesse distrutto la sua città di mattoncini Lego. Il bilancio economico e umano, fardelli che questa nazione insulare in difficoltà era mal equipaggiata per sopportare, erano sconvolgenti. Anche da lontano, quel terremoto mi ha cambiato: ha solidificato il potere delle piattaforme di media cittadini nel parlare per la gente nelle zone colpite da calamità (e guerre), quando i media tradizionali non riuscivano neanche a trovare una circolazione sicura. Era un fenomeno che si sarebbe ripetuto, dall'inizio della Primavera Araba [it] più tardi quell'anno fino alla crisi permanente in Siria. Ma quell'evento ha anche consolidato nella mia mente che siamo i custodi dei nostri fratelli. Una comunità globale. Aiutati, e il cielo ti aiuterà.

È quello che ho fatto il 21 agosto 2018, insieme con il resto di Trinidad e Tobago. Il terremoto, con 7,3 di magnitudine nel suo epicentro nel Venezuela settentrionale, era 6,9 quando i suoi effetti ondulatori ci hanno raggiunto a Trinidad. Alle 17:31 ora locale, stavo lavorando al mio computer, in attesa dell'arrivo di mio marito a casa dal lavoro, da un momento all'altro. Avrebbe dovuto andare a prendere nostro figlio, che era a casa di un amico. Quando è iniziato il rimbombo, non ero eccessivamente preoccupata. La nostra isola si trova lungo una linea di faglia, perciò siamo abituati ai tremori di tanto in tanto, che sono normalmente moderati e di breve durata. Ho quindi fatto quello che faccio di solito: niente. “Oh,” ho pensato tra me, “è un terremoto. Vediamo cosa succede”.

In una manciata di secondi il rimbombo è diventato più intenso: mi sono trovata improvvisamente davanti a un leone infuriato che ruggiva sopra il manto erboso, le mura tremavano per il suo eco. Mi sono alzata dalla mia sedia, ho guardato fuori dalla finestra: il mio intero vicinato era scombussolato, così violente erano le oscillazioni. Questo non era il solito terremoto. Ho fatto quello che non faccio mai: sono uscita di casa. Quando ho raggiunto il salotto, mi sono sentita come se mi trovassi nel mezzo di una banda musicale del martedì di carnevale, la musica così ad alto volume da esplodere dagli altoparlanti e far tintinnare tutto intorno: boom, boom, boom! Il pavimento si muoveva con il suono, ballando a un ritmo strepitoso e malvagio – come un amico lo ha descritto, un “dutty wine” [una danza africana-giamaicana] inarrestabile.

Il terremoto è durato in totale per 90 terrificanti secondi, in onde, ognuna più forte della successiva, finché quando sono arrivata nel mio cortile e ho guardato in basso al pendio nella parte più boscosa, densa di alberi da frutta e alti bambù che si bilanciavano, il terreno avrebbe potuto essere un copriletto che stavo sbattendo: saliva e scendeva con un moto penosamente lento. Ero ammutolita, mi sentivo piccola e allo stesso tempo in completa soggezione. Questa era la natura e ho compreso di essere nel suo cuore profondo.

La ragione per cui sono corsa fuori era strategica: se qualcosa iniziava a frantumarsi, non volevo essere intrappolata. All'aria aperta, potevo almeno vedere che cosa minacciava di rovesciarsi, e … ebbene … evitarlo. Tuttavia nel mio cortile, circondata da alberi di cocco e gli alberi tabebuia e un maestoso elicriso, il fiore immortale, mi sentivo stranamente calma nel mezzo della tormenta, e più presente di quanto lo ero stata da secoli. Questo non vuol dire che non ho pregato Dio di farlo arrestare. (Di fatto, queste potrebbero essere state le mie esatte parole.) Ma se in quel momento c'era qualcosa di reale, era che siamo tutti connessi. Le dualità si affievoliscono: dagli uccelli negli alberi ai banditi in strada, eravamo tutti allo stesso livello. Le cose cui permettiamo di separarci sembravano insignificanti, paragonate alla separazione delle placche tettoniche.

Mio marito mi ha chiamato alle 17:33, proprio mentre il tremore stava svanendo. Avevo lasciato il telefonino all'interno. Non mi era assolutamente venuto in mente di portarmelo con me, tantomeno di filmare l'evento come tanti utenti dei social media hanno fatto, ma non appena mi ha detto che era ancora in ufficio sono uscita e salita in macchina per andare a prendere mio figlio. Mancava l'elettricità; il segnale telefonico era sporadico e non riuscivo a contattare la casa dell'amico di mio figlio per sapere come se l'erano passata. Le strade erano più vuote del solito, e tranquille. La gente sembrava allibita, tranne un cliente davanti a uno stand di doubles che stava dando spettacolo, mostrando al venditore come il terremoto lo aveva fatto tremare. Sono riuscita a sorridere. La popolazione di Trinidad trova regolarmente il senso dell'umorismo nei momenti di tristezza. È quello che ci aiuta ad andare avanti.

Come tutti, mio figlio e i miei amici erano scossi, ma indenni e sono estremamente grata che, pur non essendo con me, almeno era con il suo migliore amico. Immagino che ne parleranno per anni: “Ti ricordi quando eravamo tutti rannicchiati insieme sotto la trave durante il terremoto?” E questo è il fatto: noi eravamo tutti lì insieme.

Di ritorno in macchina nella mia strada, mi sono fermata almeno tre volte per chiacchierare con i vicini. Il mio telefonino, che era ormai quasi scarico, continuava a tintinnare ininterrottamente con messaggi di amici e familiari, sia vicini che lontani, che chiamavano per sapere come stavamo, e io facevo lo stesso. Quando mi sono seduta all'imbrunire, mi sono resa conto di com'eravamo fortunati, nonostante la caduta di detriti e la rottura di vetri, non c'era stata nessuna perdita di vite umane, ho capito che quello che Shivanee Ramlochan, un poeta di Trinidad, ha detto è vero: “Ci abbracciamo gli uni agli altri, qui”.

Spero che ce lo ricorderemo dopo le scosse di assestamento.

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