Il suo mondo è quello che è: l'enigma dello scrittore trinidadiano V.S. Naipaul

V.S. Naipaul tiene una lezione all'Università delle Indie Occidentali di Trinidad nell'aprile 2007. (FOTO: Georgia Popplewell (CC BY-NC-ND 2.0)

Era il raro personaggio letterario la cui notorietà induceva i giornali a tenere per decenni nei cassetti le bozze del suo necrologio. Quando l'11 agosto si è diffusa la notizia che V.S. Naipaul era morto all'età di 85 anni, la copertura stampa è stata rapida e voluminosa. Era una storia da prima pagina sui tre quotidiani di Trinidad e Tobago, la fotografia del premio Nobel è apparsa sopra i titoli dei giornali.

Sui social network, dove si svolge la maggior parte del dibattito pubblico di Trinidad e Tobago, alcuni commentatori hanno si sono soffermati sul dettaglio che la stampa internazionale ha definito Naipaul uno scrittore britannico. “Ne sarebbe stato felice”, era la classica reazione. Per coloro che disapprovavano Naipaul – e lui amava la disapprovazione – il suo presunto disconoscimento di Trinidad, l'isola dove è nato e cresciuto, era motivo di antiche lamentele. Ricordiamo la pungente dichiarazione di Naipaul in occasione della consegna del Premio Nobel nel 2001: “È un grande tributo all'Inghilterra, la mia casa, all'India, la casa dei miei antenati, e alla dedizione e al sostegno del mio agente”. Punto. Quindi, essere commemorato come inglese: non era quello che desiderava da sempre?

La morte di V. S. Naipaul è in prima pagina su tutti e tre i quotidiani di Trinidad e Tobago. “Per coloro che disapprovavano Naipaul – e lui amava la disapprovazione – il suo presunto disconoscimento di Trinidad, l'isola dove è nato e cresciuto, era motivo di antiche lamentele”.

Ma i fatti sono complicati. Nato in una colonia britannica, Naipaul era un cittadino britannico quando lasciò Trinidad nel 1950, a 18 anni, con una borsa di studio per Oxford faticosamente ottenuta. Abitava stabilmente a Londra quando Trinidad e Tobago divennero una nazione indipendente nel 1962. È sempre stato “inglese”, e allo stesso tempo non ha mai realmente appartenuto al suo paese d'adozione. Lo si legge chiaramente nei suoi libri.

Naipaul era “trinidadiano” fino al midollo,” dice [en, come i link seguenti] Kenneth Ramchand, l'eminente studioso di letteratura. “Trinidad lo ha fatto. Lo ha modellato e, anche se era in contrasto con Trinidad, ne è stato ossessionato per tutta la carriera”. Andrei oltre e direi che Naipaul è stato lo scrittore più trinidadiano che Trinidad abbia prodotto, nel bene e nel male. “Una casa per il signor Biswas” rimane quanto di più vicino ci sia ad un grande romanzo trinidadiano, con il suo spassionato ritratto di una famiglia indo-trinidadiana che cerca un senso di coerenza e di autodeterminazione in una piccola società “estremamente semplice e al tempo stesso estremamente confusa”. “Elezioni a Elvira” è il testo di riferimento più prezioso per chiunque cerchi di capire l'incorreggibile politica tribale di Trinidad e Tobago (secondo l'autorevolissimo teorico politico Lloyd Best). “La perdita dell’ Eldorado” resta la storia più stimolante e incisiva della colonizzazione di Trinidad. E i racconti picareschi di “Miguel Street”, opera cardine di Naipaul, hanno influenzato più di qualsiasi altro testo i successivi scrittori di narrativa trinidadiana.

Naipaul ha sempre definito la sua scrittura come ricerca di comprensione di sé: “Ho dovuto scrivere i libri che ho scritto, perché su quegli argomenti non c'erano libri che mi dessero quello che volevo”. E “quegli argomenti” sono le circostanze storiche in cui egli nacque, nella Trinidad del 1932. Nel saggio “Prologo di un'autobiografia”, ha fornito una sintesi:

“… there was a migration from India to be considered, a migration within the British empire. There was my Hindu family, with its fading memories of India; there was India itself. And there was Trinidad, with its past of slavery, its mixed population, its racial antagonisms and its changing political life; once part of Venezuela and the Spanish empire, now English-speaking, with the American base and an open-air cinema…. And there was my own presence in England, writing….

“So step by step, book by book … I eased myself into knowledge.”

“… bisognava considerare la migrazione dall'India, una migrazione all'interno dell'impero britannico. C'era la mia famiglia indù, con i ricordi sfumati dell'India; c'era l'India stessa. E c'era Trinidad, con il suo passato di schiavitù, la sua popolazione mista, i suoi antagonismi razziali e la sua mutevole vita politica; una volta parte del Venezuela e dell'impero spagnolo, ora di lingua inglese, con la base americana e un cinema all'aperto…. E c'era il mio essere in Inghilterra, a scrivere…

“Così passo dopo passo, libro dopo libro… mi sono adagiato nella conoscenza”.

“Io sono la somma dei miei libri”, disse. E l'io che ha creato nei suoi libri era deliberatamente privo di fedeltà a tutto ciò che non fosse lo scrivere in sé. Si sforzava di raggiungere “la libertà dalle persone, dagli intrighi, dalle rivalità, dalla concorrenza”. Ha aggiunto: “Non si ha una parte, non si ha un Paese, non si ha una comunità, si è interamente individui”. Questa posizione ha messo Naipaul in conflitto con molti altri scrittori caraibici e, di fatto, con molti lettori caraibici. Per decenni, la letteratura caraibica è stata stimolata da discussioni irrisolte sulla responsabilità, la lingua, l'autenticità – su come essere uno scrittore caraibico. Naipaul non ha partecipato a queste discussioni. La satira piuttosto bonaria della sua produzione iniziale ambientata a Trinidad maturò negli anni '60, in una critica più acuta e pessimistica di quelle che Naipaul vedeva come le aspirazioni delle società caraibiche del post-indipendenza, “fatte a metà”, abitate da “mimi”. Nel corso dei suoi viaggi, ha esteso la sua analisi ad altre nazioni post-coloniali in Asia, Africa e Sud America. Non usava mai mezzi termini. Fu accusato di esagerare lo squallore dell'India, di ostilità all'Islam. Le sue descrizioni dei neri caraibici e degli africani sembrano spesso tradire ansia razziale, se non un palese pregiudizio. E con perfido spirito stuzzicava i suoi critici con commenti oltraggiosi. In un profilo pubblicato, poco dopo il conferimento del premio Nobel a Naipaul, il mio collega Jeremy Taylor ha elencato alcune memorabili offese:

“Over the years, he has called people monkeys, infies (inferiors), bow-and-arrow men, potato eaters, Mr Woggy. He has described whole countries as ‘bush.’ Oxford University, where he earned his degree in English, was ‘a very second-rate provincial university.’ Africa ‘has no future,’ and as for African literature, ‘you can’t beat a novel out on drums.’ He once recommended that Britain should sell knighthoods through the Post Office (this was before he became Sir Vidia Naipaul).”

“Nel corso degli anni, ha definito le persone come scimmie, infies (abbreviazione di inferiori),  uomini con arco e freccia, mangiatori di patate, Mr Woggy. Ha descritto interi Paesi come dei ‘cespugli’. L'Università di Oxford, dove si è laureato in inglese, era ‘un'università provinciale di secondo livello’. L'Africa ‘non ha futuro’ e, per quanto riguarda la letteratura africana, ‘non si riesce a battere con un romanzo su di un tamburo’. Una volta consigliò alla Gran Bretagna di vendere per posta i titoli nobiliari (questo prima di diventare Sir Vidia Naipaul)”.

I trinidadiani dovrebbero riconoscere queste provocazioni come la sua versione del nostro picong, la presa in giro, spietata forma di derisione messa a punto dai nostri calipsoniani. Dovremmo vedere nella sua impudente condotta pubblica un Naipaul che “recita se stesso”, come i trinidiadiani descrivono la performance di un personaggio accuratamente studiato che nasconde e rivela allo stesso tempo. Il suo biografo Patrick French cita l'idea dello scrittore barbadiano George Lamming secondo cui Naipaul “recitava un ole mas” – “mascherandosi o combinando guai per divertirsi, una caratteristica trinidadiana”. French aggiunge: “Quando era maleducato o provocatorio in quel modo, Naipaul era pieno di allegria”. È questa l'ironia che svela l'uomo dietro lo scrittore: non fu mai più trinidadiano di quando denigrava Trinidad

“Dopo aver letto la biografia di [Patrick] French ‘The World Is What It Is’ non si può evitare di sentirsi respinti dall'intolleranza di Naipaul, dalla sua misoginia, dalle crudeltà verso i suoi cari, così come verso gli estranei. Ma ci sono poi i suoi libri, scritti in una prosa di grande rigore e chiarezza, in cui l'incessante ricerca a volte trova una tenerezza inaspettata.”

E così le reazioni più ponderate alla sua morte sono state anche le più conflittuali. Dopo aver letto la biografia di [Patrick] French ‘The World Is What It Is’ (‘Il mondo è quello che è’, non tradotto in italiano) non si può evitare di sentirsi respinti dall'intolleranza di Naipaul, dalla sua misoginia, dalle crudeltà verso i suoi cari, così come verso gli estranei. Ma ci sono poi i suoi libri, scritti in una prosa di grande rigore e chiarezza, in cui l'incessante ricerca trova a volte una tenerezza inaspettata.

Il suo tema di sempre era il modo in cui le forze insensibili della storia, in particolare gli enormi movimenti di popoli tra le culture e all'interno di esse, spinti dall'impresa coloniale, agiscono nella vita della gente comune. Era affascinato dal processo di costruzione e ricostruzione dell'individuo imposto da tali migrazioni. La sua famiglia, l'isola natale, i luoghi lontani in cui è andato, le sue incomprensioni e le sue illusioni venivano parimenti analizzati. E i suoi libri, al loro meglio, offrono ritratti delle nostre società e di noi stessi che non possiamo contestare, neanche volendo. Di Naipaul ci sono libri che spero di non rileggere mai più e libri senza i quali non riesco a capire il mondo in cui sono nato.

“Tutto ciò che di me ha valore, è nei miei libri”. Questa potrebbe essere la frase più vera scritta da Naipaul. Non si tratta di stabilire se l'opera giustifichi i peccati dell'uomo. Sarebbe un'equazione troppo semplice. La potenza e, sì, la bellezza della sua scrittura è per certi versi il prodotto dei difetti dello scrittore, oltre a trascendere tali difetti, senza assolverli. L'algebra morale dell'arte è complessa, e ci dovrebbe turbare. Non c'è esempio migliore dei libri di V.S. Naipaul. È una delle ragioni, la grande ragione, per cui sento di doverlo leggere.

Nicholas Laughlin ha curato un'edizione riveduta e ampliata della corrispondenza familiare giovanile di V.S. Naipaul, Letters Between a Father and Son (Lettere tra un padre e un figlio, 2009; non tradotto in italiano). 

(Foto di Faizul Latif Chowdhury, via Wikimedia Commons).

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