Irma: una riflessione sugli uragani e le Bahamas

Uragano, Bahamas. Winslow Homer (1898). Immagine donata a Wikimedia Commons come parte di un progetto del Metropolitan Museum of Art di New York.

di Nicolette Bethel

Questo articolo è apparso originariamente su Blogworld [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] e viene ripubblicato qui con l'autorizzazione dell'autrice.

Chiunque sia cresciuto con me sa che non sono una persona che prende gli uragani alla leggera. Quando avevo 17 anni, ho scritto un lungo saggio sull'argomento. Il saggio mi ha fatto immergere nei fondamenti scientifici degli uragani e, inoltre, mi ha portato negli archivi in cerca dell'impatto degli uragani sulle Bahamas.

Ero a conoscenza dell'uragano del 1929, naturalmente; la generazione delle mie nonne era sopravvissuta a ciò e loro ci raccontavano le storie di quei giorni difficili, in cui gli uragani arrivavano tutti gli anni e passavano direttamente sopra Nassau. E i libri di storia che avevo a mia disposizione (l'edizione del 1968 di Michael Craton di A History of The Bahamas (“Una storia delle Bahamas”) e quella di Paul Albury del 1975, The Story of The Bahamas (“La storia delle Bahamas”) menzionavano un uragano anteriore, nel 1866, che aveva anche devastato Nassau. Leggevo tutto quello che mi capitava fra le mani su entrambi gli uragani. E poi, durante la decada seguente, più o meno, sono stata una profeta degli uragani, mettevo in guardia la mia famiglia (in realtà, chiunque mi ascoltasse) di prepararsi, tutti gli anni. Infatti, nonostante Nassau non avesse subito un evento grave per circa un ventennio, io sapevo esattamente che era solo una questione di tempo.

Ebbene, come abbiamo visto, così è stato. New Providence è stata colpita direttamente nel 2001 dall'uragano Michelle, il cui occhio è passato direttamente sopra Nassau, ed è poi stata colpita quasi direttamente dall'uragano Matthew nel 2016, il cui occhio è virato a ovest della nostra isola nelle ultime ore prima di colpire. Tuttavia, finora nulla ha avuto un tale impatto sulla capitale come gli uragani negli anni '20 e dell’ 1800.

Ci sono due cose che vorrei dire su questa questione. La prima riguarda il passato e che cosa ci può insegnare. La seconda è correlata al futuro e come possiamo utilizzare quello che abbiamo imparato.

Che cosa può insegnarci il passato

Le Bahamas, come gli USA, sono situate storicamente fuori dalla traettoria più comune degli uragani. La maggior parte del nostro arcipelago è situato sopra il Tropico del Cancro, nella regione sub-tropicale. E almeno fino alla fine del XX secolo, la maggioranza degli uragani tendeva a formarsi e a rimanere all'interno dei tropici, attraversando l'Atlantico fino al Mar dei Caraibi e poi spazzando le Antille Minori. Questo era disastroso per i Caraibi, ma provvidenziale per le Bahamas, poiché le isole dei Caraibi tendono a essere montagnose e le montagne aiutano a rompere la struttura degli uragani. Il risultato più comune era che, finché arrivavano alle Bahamas, persino i peggiori uragani come Inez e David e Georges, si erano dissipati e ridotti a uragani di categoria 1 o 2, o persino tempeste tropicali.

All'incirca ogni 30 anni, tuttavia, qualche regolare cambiamento nei modelli metereologici sembrava incoraggiare la formazione di uragani più a nord e aumentare la probabilità che colpissero le Bahamas e le zone costiere orientali degli USA. Questi uragani si diffondevano attraverso l'Atlantico e non venivano fermati dalla terraferma o dalle montagne, finché non erano penetrati all'interno degli USA. L'uragano del 1866 nelle Bahamas fu uno di questi, uno dei primi con una rotta sistematica della sua ubicazione e intensità (si ritiene che fosse un potente uragano di categoria 4). La nostra prima fonte di informazione sulla sua intensità proviene dalla pressione barometrica registrata durante il passaggio della tempesta (per maggiori dettagli, leggete il libro di Wayne Neely). Fu seguita da un altro mortale uragano nel 1899; poi una serie di uragani di categoria 4 e 5 tra il 1926 d il 1932; poi Betsy nel 1965; e infine Andrew nel 1992.

Chiunque voglia apprendere qualcosa sugli uragani alle Bahamas può guardare a Wayne Neely. È lui l'esperto. Se volete sapere chi ascoltare sui social media, controllate che cos'ha da dire. È il suo hobby; ma è anche la sua specializzazione e il suo lavoro.

Questo significa che era molto probabile, almeno durante il XX secolo, per un adulto delle Bahamas vivere e morire senza incappare in più di uno o due uragani devastanti. Mio padre era una di queste persone. Nacque nel 1938 e da allora fino alla sua morte nel 1987, ha vissuto soltanto una grave tempesta: Betsy nel 1965. Negli anni 1970 ha trascorso la sua vita montando saracinesche a prova di uragano ogni qualvolta c'erano allarmi uragani, soltanto per scoprire che l'uragano si era dileguato verso il mare, o non era nient'altro che un po’ di vento e pioggia. E se ne lamentava. Le nostre saracinesche a prova di uragano erano pesanti pannelli di legno che venivano montati sui telai delle finestre e fissati con robuste barre. Erano difficili da montare e da togliere e quando li montava, solo per essere contrariato da una qualche tempesta o altro, si rifiutava di toglierli fino alla fine della stagione. Li toglieva dalle aree comune di casa nostra, ma trascorreva le notti nell'oscurità delle nostre camere da letto barricate.

Immagino che sia difficile per i giovani delle Bahamas concepire la possibilità di trascorrere una vita senza aver vissuto più di una tempesta mortale. Gli ultimi venticinque anni hanno portato un esteso periodo di uragani che hanno colpito il nostro arcipelago, iniziando con Andrew, che era di categoria 5 quando colpì Eleuthera dall'est, e continuando attraverso Floyd, Michelle, Frances, Jeanne, Wilma, Irene, Ike, Sandy, Joaquin, Matthew, Irma e potenzialmente Jose. I modelli metereologici storici che interessano gli uragani sono cambiati; il ciclo di 30 anni che predominava negli anni dal 1780 al 1990 è stato sostituito da un ciclo per cui non abbiamo ancora trovato un modello.

L'aspetto più straordinario di tutto questo, nella mia mente, non è l'inevitabile questione del cambiamento climatico. Quello che mi colpisce particolarmente di questo studio storico degli uragani alle Bahamas è il fatto lampante che tendiamo a oscurare, mentre preghiamo di essere risparmiati e siamo impegnati nel soccorso e nella pulizia: che le moderne Bahamas se la passano meglio negli uragani di qualsiasi altro territorio nel mondo

Questo dipende in parte dalla nostra geografia. Non abbiamo fiumi che straripano e rompono gli argini, e non abbiamo montagne che generano frane. Questi sono i due effetti collaterali più letali degli uragani, e non avvengono da noi. Ci sono tuttavia altri modi comuni in cui la gente muore negli uragani, e indagando nei nostri archivi storici possiamo scoprirli. La gente è annegata durante le mareggiate (come successo ad Andros nel 1866 e nel 1929) e viene uccisa dalla caduta di detriti, quando le case vengono distrutte e i tetti volano via. E dagli anni '30 il numero di case distrutte alle Bahamas è diminuito notevolmente.

Questo dipende dal fatto che abbiamo imparato come costruire a prova di tempeste. Sono cresciuta in una casa costruita negli anni '30, quando stavamo ricostruendo la città dopo l'uragano del 1929, e l'appaltatore che ha costruito quella casa stabilì che avrebbe resistito a qualunque tempesta. È costruita con getti di calcestruzzo armato in acciaio e il tetto è ancorato stabilmente alle mura. Ha passaggi coperti sopra ogni porta per permettere la ventilazione trasversale, e ha sopportato gli uragani da quando è stata costruita.

Vivo in un'altra casa, costruita negli anni '50, anche questa in calcestruzzo colato e armato, quest'ultima sollevata di circa un metro dal suolo (è costruita su un terreno irregolare). I miei genitori sono nati in case di legno, una di queste è ancora in piedi, l'altra starebbe ancora in piedi se non l'avesse distrutta una ruspa. Una delle cose che abbiamo imparato dopo la distruzione della casa di mia nonna è che era stata costruita da carpentieri navali e non aveva un solo chiodo; era tenuta insieme da perni in legno, che con il tempo erano diventati più sicuri, perché si erano gonfiati in posizione. Le case a Harbour Island, che è stata martellata dall'uragano Andrew quando era indentificato come categoria 5, sono ancora in piedi, mentre gran parte di Miami, che è stata colpita da Andrew dopo che si era indebolito, è stata distrutta.

Questo è quanto ho imparato. La popolazione delle Bahamas sa come costruire a prova di tempesta. È una parte del nostro adattamento a queste isole, dove l'evacuazione è un lusso del XXI secolo per le isole più scarsamente popolate, ma è normalmente impossibile per la maggior parte di noi. Abbiamo sviluppato tecniche per costruire le nostre case, che resistono agli uragani, e abbiamo anche scritto molte di quelle tecniche nei nostri regolamenti edilizi. È vero, potremmo fare di più oggigiorno, ma non lo facciamo, probabilmente a causa dei costi. I nostri nonni sapevano che dovremmo costruire non solo case robuste e belle, ma che dovremmo anche costruire in alto: la maggioranza delle nostre case tradizionali sono costruite su blocchi e sono sollevate circa un metro sopra il terreno, e sono perciò molto meno soggette agli allagamenti rispetto a quelle che costruiamo oggi.

Tutto ciò mi porta alla seconda parte di questa riflessione.

Cosa può portare il futuro

Ho guardato e studiato gli uragani per la maggior parte della mia vita. E pur rispettandoli, profondamente, non credo che la popolazione delle Bahamas dovrebbe temere gli uragani nel modo in cui sembriamo temerli. Al contrario. Ritengo che dovremmo farci un esame di coscienza radicale, per capire perché gestiamo così bene le tempeste violente. Questo dipende in parte dalla nostra geografia piana, l'assenza di montagne e fiumi, la nostra abilità di resistere rannicchiati durante la tempesta e non preoccuparci eccessivamente sulle conseguenze fisiche. Tuttavia dipende in parte anche dal fatto che ci siamo evoluti.

Ritengo che non sia esagerato affermare che le popolazioni delle Bahamas siano gli esperti mondiali in costruzioni che resistono agli uragani. Questa è una competenza cruciale che possiamo condividere con il mondo – in particolare per il fatto che i grandi uragani sembrano formarsi sempre più spesso, sempre più estesi e più potenti, senza seguire i modelli del passato.

Per questa ragione, credo che dovremmo essere nell'industria globale degli uragani.

Ritengo che dovremmo:

  • studiare e standardizzare le nostre tecniche costruttive – proprio tutte: dalle opere in legno alle strutture in calcestruzzo;
  • convertirle in scienza e integrarle nei programmi di ingegneria e architettura, che potremmo commercializzare del mondo;
  • certificare i nostri appaltatori, che già sanno come costruire per [affrontare] gli uragani , specializzare altri in queste competenze e poi esportarli in tutte le regioni di uragani delle Americhe, per condividere queste competenze con gli altri;
  • sviluppare specifici materiali che possiamo fabbricare qui (cemento? blocchi di cemento?), generando così profitti che tornano in patria;
  • continuare a indagare su come espandere le nostre competenze per resistere agli uragani, per diventare leader riconosciuti nel mondo;
  • espandere queste competenze per incorporare una maggiore autosufficienza: usando energia rinnovabile, design architettonici sostenibili, ecc.;
  • cogliere l'opportunità di ricostruire le comunità devastate meglio di com'erano prima - proprio come abbiamo ricostruito Nassau dopo il decennio del 1920. Dovremmo investire nella ricostruzione delle isole meridionali come comunità sostenibili e autosufficienti, che possano non solo resistere ai futuri uragani, ma che possano anche servire da modelli per il mondo.

Ci troviamo di fronte ad opportunità reali. Prego affinché abbiamo la sensatezza e il coraggio di approfittarne.

Nicolette Bethel è un'insegnante delle Bahamas, scrittrice e antropologa. È stata il Direttore di Culture in The Bahamas ed è ora una docente universitaria a tempo pieno in Scienze Sociali presso il College delle Bahamas. Scrive sul blog Blogworld e i suoi tweet sono su @nicobet.

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