Gli abusi, le intimidazioni e gli attacchi rivolti contro i giornalisti e le agenzie di stampa non sono una novità in India.
Nel giugno 2018, Shujaat Bukhari, giornalista e caporedattore della testata Rising Kashmir è stato assassinato da cecchini a Srinagar, città situata nello stato federato di Jammu e Kashmir in India. Nell'agguato sono stati colpiti a morte anche i due agenti di scorta assegnati a Bukhari.
Sebbene la notizia della morte del giornalista abbia suscitato reazioni di pubblico sdegno, l'evento non ha cambiato la realtà di vita dei suoi colleghi.
Bukhari è il quarto giornalista indiano ucciso per via delle sue indagini giornalistiche; sono ancora molti i reporter che ricevono continue minacce da parte di agenti statali e non.
Nella rapporto sull'India per l'anno 2018, l'organizzazione non governativa Reporter Senza Frontiere documenta che le spinte nazionaliste di destra, promosse nella comunità induista dal Bharatiya Janata Party [it] (il Partito del Popolo Indiano), rappresentano una seria minaccia alla libertà di stampa in India. Il partito è guidato dal primo ministro Narendra Modi. Secondo il rapporto, vi sarebbe una crescente censura dei principali mezzi di comunicazione indiani attraverso “il tentativo di reprimere qualunque tipo di idea contraria al nazionalismo”.
Essere un giornalista nell'India di Modi
A settembre, Nuova Delhi ha ospitato la Conferenza Nazionale Contro la Violenza Sui Giornalisti, organizzata dal Comitato Contro la Violenza sui Giornalisti (CAAJ). L'evento ha visto la partecipazione di un gran numero di esperti reporter indiani.
Durante il discorso tenuto in occasione della conferenza, Ravish Kumar, giornalista per il canale di informazione NDTV, ha accusato il primo ministro Modi di aver fatto dell'India una “repubblica degli abusi”, sostenendo un modello di cultura politica che incita all'odio contro i mezzi di comunicazione.
Ravish kumar speaking in National Convention #AgainstAssault on Journalists with @nehadixit123 @waglenikhil @CPJAsia @caajindia pic.twitter.com/H0F4bwiMB9
— Abhishek Srivastava (@abhishekgroo) 22 settembre 2018
L'intervento di Ravish Kumar in occasione della Conferenza Nazionale Contro la Violenza sui Giornalisti. Con @nehadixit123 @waglenikhil @CPJAsia @caajindia
Stando a quanto riportato da Kumar, a seguito dell'elezione di Modi nel 2014, gli oppositori del governo sono stati definiti “Anti-Modi”, “Anti-India” e successivamente “Anti-nazionali”. Sembra che questo meccanismo retorico abbia spinto una buona parte della società a contrastare l'azione di alcuni giornalisti i quali, a loro volta, si sono isolati e successivamente auto censurati.
Lo scorso maggio, Kumar ha documentato un aumento delle intimidazioni e minacce di morte da parte dei fanatici nazionalisti di destra. In un'intervista rilasciata al giornale The Hindu, Kumar ha affermato: “Si tratta di un'organizzazione attiva che gode del consenso politico”.
Partendo dalla sua esperienza personale, Kumar ha inoltre sottolineato il fatto che i giornalisti freelance, le donne e coloro che lavorano nelle aree rurali sono più esposti al rischio di ricevere intimidazioni o di vedere ostacolata la propria attività lavorativa. Le stesse categorie non godono del supporto garantito ai giornalisti che vivono nella capitale o nelle metropoli.
First convention of @caajindia threw light on horrible plight of journalists working in remote areas. From Bastar to Kashmir to North east media persons face harassment by criminals and police in connivance with politicians.Let us unite and support our colleagues. #PressFreedom.
— nikhil wagle (@waglenikhil) 24 settembre 2018
La prima conferenza organizzata dal Comitato Contro la Violenza sui Giornalisti, @caajindia ha fatto luce sulla terribile condizione nella quale versano i giornalisti al lavoro nelle zone più remote. Dal Bastar, al Kashmir, alle zone del nord est, i reporter sono vittime di abusi e molestie da parte di criminali che agiscono con la complicità dei politici. Uniamoci e aiutiamo i nostri colleghi. #LibertàDiStampa
In occasione del discorso tenuto alla conferenza, Neha Dixit, una giornalista investigativa indipendente, ha affermato: “Non siamo noi a dover prendere l'iniziativa; è un dovere dello Stato fornire un sistema costituzionale che possa contrastare le azioni provocatorie e minacciose che ognuno di noi è costretto a subire”.
Dixit ha parlato di un ambiente politico che scoraggia i giornalisti che intendano parlare di diritti delle classi sociali emarginate. Tra i casi maggiormente eclatanti dei quali le grandi agenzie di informazione non sembrano voler parlare vi sono il traffico e l'indottrinamento delle ragazze provenienti dai gruppi tribali che abitano lo stato di Assam, azioni attuate dal gruppo induista vicino al partito di destra Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS) e il crescente numero di assassinii di operai musulmani uccisi in finti scontri, sulla base di accuse deboli o di un uso improprio del National Security Act (NSA).
A seguito delle sue indagini sulla difficile condizione del mondo giornalistico in India, Dixit ha fatto luce sull'assenza di un organo di stampa nazionale che si occupi delle nefandezze subite dai giornalisti: minacce, procedimenti giudiziari fittizi, molestie sul posto di lavoro o problemi legati alla retribuzione.
Le testimonianze dei giornalisti provenienti da zone di conflitto e aree rurali
Parlando delle difficoltà affrontate negli ultimi 30 anni dai giornalisti nello stato federato di Jammu e Kashmir nel quale lavora, il celebre giornalista Jalil Rathor ha affermato:
“I giornalisti nelle zone di conflitto si trovano tra l'incudine e il martello, e spesso sono accusati, tanto da rappresentanti dello stato, quanto da esponenti esterni, di schierarsi per l'una o per l'altra posizione “
Rathor ha affermato che vi sono vari espedienti attraverso i quali il governo indiano minaccia i giornalisti locali; tra questi la riduzione degli annunci pubblicitari a carico del governo, che rappresentano la principale risorsa per il fatturato dei giornali nello stato di Jammu e Kashmir, il divieto dell'accesso ai servizi internet e le molteplici convocazioni di giornalisti interrogati dalla polizia statale o presso la sede dell'ente antiterrorismo National Investigating Agency (NAI), a Nuova Delhi.
“Si osserva anche il tentativo di monitorare il sistema di esposizione delle notizie riguardanti il Kashmir, sia dei media tradizionali che dei social media”, ha detto Rathor.
La preoccupazione di Rathore riguardo la condizione dei giornalisti operanti nelle zone di conflitto è stata ribadita da Patricia Mukhim, direttore del quotidiano inglese Shillong Times diffuso nello stato di Meghalaya, nell'India nord-orientale. Mukhim è sopravvissuta a un attentato dinamitardo nell'aprile 2018.
Mukhim ha affermato che per alcune minoranze, in particolare per quelle che vivono nell'India nord-orientale, l'identità indigena o le piccole realtà che fanno capo a più grandi gruppi etnici sono più forti della loro identità nazionale. Secondo la giornalista, questa tipologia di politica etnica, sebbene differisca dalla cultura politica supportata dal governo nella capitale, rappresenta una altrettanto pregnante minaccia alla libertà di stampa.
“Se prendi una posizione a favore o contro qualcosa, l'uno o l'altro gruppo vorrà la tua testa”; queste le parole usate da Mukhim.
Seema Azad, direttrice di Dastak Patrika e segretario dell'ente indiano per i diritti umani People's Union for Civil Liberties (PUCL) nello stato settentrionale di Uttar Pradesh, ha criticato fortemente la legge indiana contro le associazioni illegittime, l’Unlawful Activities Prevention Act (UAPA), poiché viene sempre più spesso utilizzata per censurare giornalisti e attivisti. La legge, formulata nel 1967 con l'obiettivo di combattere il terrorismo, sembra essere diventata sempre più inflessibile negli ultimi anni. Sono molti i legali e gli attivisti che hanno sostenuto il potenziale uso inappropriato della legge, soprattutto nei casi di repressione del dissenso.
“When UAPA, the draconian law, was being used against activists, journalists in this country did not speak up. Now it is being used against the journalists.”, says Seema Azad, editor of Dastak Patrika.#NoMoreAssault #PressFreedom pic.twitter.com/U0Y5dzRGmO
— Committee Against Assault on Journalists (CAAJ) (@caajindia) 23 settembre 2018
“Quando la drastica legge UAPA era utilizzata contro gli attivisti, i giornalisti non hanno fatto sentire la propria voce. Ora quella stessa legge è usata proprio contro i giornalisti”, afferma Seema Azad, direttrice di Dastak Patrika. #MaiPiùAggressioni #LibertàDiStampa
Azad ha fatto luce sulla necessità di ampliare lo spazio democratico, per rendere possibile la circolazione di notizie relative alla nascita di movimenti politici in India e di eventi occultati dal governo, come il conflitto in Kashmir. Le informazioni relative ai costi del conflitto in termini di vite umane, sono state spesso definite dal governo Modi come “antinazionali.”
Parlando dell'impatto del capitalismo clientelare, Azad ha osservato che tali attacchi sono aumentati da quando il controllo societario in India si è intensificato, interessando più ambiti, dalle agenzie di informazione al mondo delle risorse naturali.
Lalit Surjan, caporedattore del giornale Deshbandhu e uno dei partecipanti alla convention, ha affermato: “Il giornalismo è stato nel passato, e continua a esserlo nel presente, una missione rischiosa; quindi siate coraggiosi”.