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Chi sono le attiviste per i diritti umani e delle donne detenute in Arabia Saudita?

Categorie: Medio Oriente & Nord Africa, Arabia Saudita, Citizen Media, Cyber-attivismo, Diritti umani, Donne & Genere, Legge, Libertà d'espressione, Protesta, Advox
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Le attiviste saudite per i diritti delle donne Aziza al-Yousef, Eman Al-Nafjan e Loujain al-Hathloul. Immagine della Campagna di Amnesty International.

L’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi dell’ottobre 2018, che secondo gli ufficiali turchi e americani è avvenuto per ordine del [2] [en,come i link a seguire, salvo diversa indicazione] principe ereditario Bin Salman, ha gettato una nuova luce sui molteplici abusi dei diritti umani [3] che avvengono nel regno saudita.

Gruppi e attivisti di diritti umani, regionali e internazionali, stanno sfuttando questa attenzione per richiedere pubblicamente il rilascio di attivisti detenuti, tra questi anche difensori dei diritti delle donne.

Sono almeno dieci le attiviste per i diritti umani [4] imprigionate in Arabia Saudita a causa delle loro attività.Tra di loro ci sono Aziza al-Yousef, Eman Al-Nafjan e Loujain al-Hathloul. Le tre attiviste sono in carcere dalla metà di maggio, dopo che le autorità saudite le hanno arrestate portandole  [5]in isolamento in una località sconosciuta. Tutte loro avevano manifestato per il diritto delle donne alla guida e contro il sistema antiquato della custodia maschile [6], secondo cui una donna deve avere il permesso del suo custode uomo nel caso voglia sposarsi, affittare una casa e richiedere il passaporto per viaggiare fuori dal paese.

Oltre a queste questioni importanti, ognuna di loro ha usato internet per vari tipi di attivismo indipendente. Aziza Al Yousef si è battuta per i sopravvissuti di violenza domestica. Al Nafjan è l’autrice del blog Saudiwoman [7], dove scrive sui diritti delle donne, sulle questioni sociali e sulla comprensione culturale nel regno.

Nel 2014, Loujain al Hathloul ha sfidato il divieto di guida imposto alle donne guidando la sua auto dagli Emirati all’Arabia Saudita. Per questo episodio e per il suo attivismo online venne processata da un tribunale penale speciale, che di solito si occupa dei casi di terrorismo e sicurezza nazionale. È rimasta in prigione per dieci settimane ed è stata poi rilasciata il 12 febbraio 2015. Secondo Amnesty International, [5] il suo status giuridico non è molto chiaro.

Al-Fassi alla guida. Foto dal profilo Twitter dell'attivista.

Un’altra attivista attualmente in prigione è Hatoon al Fassi, che è stata arrestata [8] il 27 giugno scorso, tre giorni dopo la cancellazione del divieto di guida per le donne. Secondo il Gulf Center for Human Rights (GCHR):

Al-Fassi is a renowned scholar, associate professor of women's history at King Saud University and the author of Women in Pre-Islamic Arabia: Nabataea. She has long been advocating for the right of women to participate in municipal elections and to drive, and was one of the first women to drive the day the ban was lifted.

Al Fassi è una studiosa rinomata, professoressa associata di storia delle donne all’Università King Saud e autrice di Women in Pre-Islamic Arabia: Nabataea (Donne nell’arabia pre-islamica: i Nabatei). Si è a lungo battuta per i diritti delle donne per farle partecipare alle elezioni municipali e per il diritto di guidare e è stata una delle prime donne che si è messa alla guida, quando il divieto è stato cancellato.

Amnesty ha riportato che [9] dopo gli arresti di al Yousef, al Nafjan e al-Hathloul e di altre tre attiviste a maggio, sono iniziate a circolare delle dichiarazioni ufficiali nei media di statali che accusavano le tre donne di essere una minaccia per la sicurezza statale, dato che erano in contatto con entità straniere “con l’obiettivo di minare la stabilità e il tessuto sociale del paese”. Anche loro aspettano di essere processate da una tribunale penale speciale.

Vignetta sulla campagna per la guida delle donne di Carlos Latuff. Rilasciata per uso pubblico.

Il 30 luglio, sono state arrestate [10] altre due attiviste: Samar Badawi e Nassima al-Sadah. Badawi è la sorella di Raif Badawi [11] [it], il blogger condannato a dieci anni e a 1000 frustate per aver ideato un sito di dibattito pubblico nel 2014. Una instancabile attivista dei diritti umani e della giustizia sociale, Samar Badawi è stata arrestata e indagata diverse volte dalle autorità saudite.

Nel febbraio del 2017, l’ufficio delle indagini e dell’accusa la interrogò per diverse ore, chiedendo delle sue attività per i diritti umani e della campagna per porre fine al sistema discriminante di custodia.

Al Sadah è co-fondatrice del Centro per i Diritti umani di Al Adalah, un’organizzazione a cui il governo saudita ha negato la licenza di operare. Come Badawi, anche Al Sadah si era attivata per i diritti delle donne, e per questo era stata interrogata in precedenza. Nelle elezioni municipali del 2015, dove per la prima volta venne permesso alle donne di votare e di partecipare, Al Sadah avevo deciso di candidarsi. Due settimane prima del voto, è stata squalificata [12] senza nessuna spiegazione.

Le attiviste saudite in prigione sono soggette ad abusi per mano degli inquirenti. Secondo Human Rights Watch, almeno tre sono state torturate. Le forme di tortura includono “elettroshock, frustate alle cosce e anche abbracci e baci forzati.”

In occasione della Giornata per la difesa dei diritti delle donne, il 29 novembre scorso, le organizzazioni dei diritti umani hanno continuato a richiedere il rilascio delle attiviste saudite attraverso campagne online, una petizione [4] di Women’s March Global indirizzata all’ONU che ad ora ha 240.000 firme e numerose lettere e dichiarazioni di supporto.