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I prigionieri politici siriani del carcere centrale di Hama annunciano lo sciopero della fame tramite un video

Categorie: Medio Oriente & Nord Africa, Siria, Citizen Media, Diritti umani, Guerra & conflitti, Politica

“Ci appelliamo alla vostra umanità per porre fine al nostro dolore e alleviare la nostra sofferenza.” Screenshot dal canale YouTube SY Plus. Fonte. [1]

Il 12 novembre 2018, in una breve registrazione video fatta trapelare dal carcere [1] [en, come i link seguenti salva diversa indicazione], i prigionieri politici siriani hanno voluto inviare un messaggio ai loro connazionali e al mondo dai confini del carcere centrale di Hama (HCP).

Il loro messaggio è chiaro: annunciano l'inizio di uno sciopero della fame come forma di protesta.

I tre uomini che diffondono questo coraggioso messaggio e che si vedono in primo piano si presentano come un cristiano, un alawita e un sunnita.

Sullo sfondo, si vedono numerosi detenuti che tengono in mano cartelli in cui si legge “Sì, al pluralismo e alla laicizzazione” e no al settarismo e al populismo. Su altri cartelli si leggono appelli al mondo e alle organizzazioni dei diritti umani, che sembrano essersi dimenticati delle loro sofferenze.

I tre leader leggono una dichiarazione in cui si chiede ai siriani di qualsiasi fazione e origine, nonché al mondo intero, di prendere atto delle loro sofferenze ed alleviarle:

We've been languishing for years in the whirlpools of detention cells, we inhale agony and exhale moans. We have a right to live and for our issue to be taken seriously.

Stiamo languendo qui da anni nei gorghi di queste celle. Respiriamo agonia ed esaliamo gemiti. Abbiamo il diritto di vivere e vogliamo che i nostri problemi vengano presi in seria considerazione.

Questo sciopero della fame serve a denunciare le loro ingiuste condizioni di detenzione, le loro condanne arbitrarie e a far sentire le loro voci.

Questo appello arriva dopo che Feras Dunia — un giudice assegnato dal Tribunale Militare — insieme ad altri funzionari del governo, ha ordinato il trasferimento di 11 detenuti nel carcere di Saydnaya. Complessivamente, 68 detenuti, tra cui alcuni di minore età, dovranno presentarsi a processo davanti al Tribunale Militare, che ha assicurato loro che non li punirà con condanne pesanti.

Secondo i detenuti però queste sono solo “vane promesse”.

Il carcere di Saydnaya è stato soprannominato da Amnesty International come un “mattatoio umano” dove il regime siriano invia i detenuti destinati a essere giustiziati. Amnesty ha stimato [2] che circa 13.000 persone siano morte mentre erano in custodia cautelare o siano state giustiziate senza processo nel carcere di Saydnaya, tra il marzo del 2011 e il dicembre del 2015.

Sapendo bene a cosa vanno incontro nel carcere di Saydnaya, i detenuti si sono rifiutati di ottemperare alla richiesta del giudice Dunia e di consegnare i loro compagni, chiedendo inoltre informazioni dettagliate su quali sentenze avevano ricevuto.

Dunia ha consegnato loro un elenco di 68 condanne, che includevano 11 condanne a morte, vari ergastoli, diverse condanne a 12 anni di carcere e 29 sentenze la cui condanna deve ancora essere determinata.

La maggior parte dei 260 dei prigionieri politici, detenuti presso il carcere centrale di Hama (HCP), è stata arrestata dal regime siriano nei primissimi mesi della rivoluzione siriana, ossia nel 2011 e 2012.

Si descrivono come manifestanti pacifici che non avevano commesso alcun reato, salvo quello di “chiedere libertà”, come emerge dalle loro toccanti testimonianze di questa registrazione audio [3].

Quando Global Voices ha parlato con uno dei detenuti tramite un'app telefonica, ci ha raccontato quanto segue:

I had no political or partisan background, I just had a dream of a different Syria, so I joined the ranks of my fellow Syrians who took to the streets in peaceful protests, we did not carry arms. Our dream was a difficult one to attain.

Non facevo parte di alcun partito o setta. Sognavo solo una Siria diversa, e mi sono quindi unito ad altri connazionali che si sono riversati per le strade per protestare pacificamente. Non avevamo armi. Il nostro era un sogno difficile da realizzare.

Il carcere centrale di Hama (HCP)

Il carcere è passato sotto il controllo dei detenuti nel maggio del 2016, a seguito di una rivolta scatenata dall'esecuzione di due prigionieri che erano stati trasferiti a Saydnaya, in attesa di giudizio e poi giustiziati. Le famiglie di questi detenuti hanno informato gli altri detenuti di quanto era accaduto, e ciò ha scatenato una vera e propria rivolta per impedire alle autorità di trasferire altri quattro detenuti a Saydnaya.

A tutt'oggi, i prigionieri si rifiutano di collaborare con le autorità del carcere.

Il governo ha tentato di riprendere il controllo [4] del carcere nei primi giorni della rivolta, con una serie di raid organizzati dal Direttorato dell'Intelligence dell'Aeronautica militare siriana, noto per la sua brutalità.

La copertura mediatica data allora all'evento ha messo sotto pressione la Russia, che è intervenuta garantendo che i raid sarebbero cessati e che il governo siriano si sarebbe sforzato di raggiungere un accordo per venire incontro alle richieste dei prigionieri.

A seguito di questo accordo, il regime siriano ha formato un comitato che svolgesse i processi all'interno del carcere, impegnandosi a rivedere le condanne di 400 prigionieri. Da allora, alcuni prigionieri sono stati rilasciati. Il processo è poi giunto a un punto morto in aprile dopo il rilascio di 40 detenuti [5].

Solo una piccola parte dei prigionieri politici siriani viene trasferita in carceri civili come quello centrale di Hama. La maggior parte viene invece trasferita in carceri militari o centri di detenzione segreti, usati da varie sezioni delle forze di sicurezza. La Rete Siriana per i Diritti Umani ha stimato che siano almeno 95.000 le persone fatte scomparire con la forza [6] e che l'85% di queste scomparse siano imputabili al regime siriano.

“Ho avuto semplicemente fortuna”, ha commentato uno degli attuali detenuti del carcere centrale di Hama, quando gli è stato chiesto perché fosse stato detenuto in un carcere civile:

When they were done with me after four months of torture and interrogation, all the military prisons were full, so I ended up here.

Dopo che avevano finito di torturarmi ed interrogarmi per quattro mesi, tutte le carceri militari erano piene e sono stato spedito qui.

Nonostante le difficili circostanze, il carcere centrale di Hama è ben lontano dalla realtà di molte delle carceri siriane. Un altro detenuto del carcere di Hama ha descritto le condizioni di detenzione di altri centri come ben peggiori ed equiparabili a “un vero olocausto”:

The real tragedy isn’t here, the real tragedy is the prisoners who are kept under the ground, who cannot tell day from night, who die each day a thousand deaths, who are being tortured and mutilated every day. I do not know what to tell you, even Caesar photos [7] are a small portion of the reality. For those prisoners, they wish for death, because death is a lot more merciful than their suffering.

La vera tragedia non è questo carcere. La vera tragedia sono quelli in cui i detenuti vengono tenuti sottoterra, dove non riescono a distinguere il giorno dalla notte, dove muoiono in migliaia, dove vengono torturati e mutilati ogni giorno. Non so cosa dirvi. Le foto di Caesar [7] non sono che un mero spiraglio della realtà. Questi prigionieri sperano di morire, perché la morte è molto più clemente delle sofferenze che devono subire.

Per molti anni, i prigionieri politici [8] siriani sono stati ignorati dalla comunità internazionale. Oggi, questi detenuti chiedono, con ancora più urgenza di prima:

Where is this world that claims to be civilized? Where are human rights bodies? Where is the United Nations? Where is everyone? The world’s conscience, where is it?

Dov'è questo mondo che si professa così civile? Cosa fanno le organizzazioni di difesa dei diritti umani? Dove sono le Nazioni Unite? E tutti gli altri? La coscienza del mondo dov'è?