Il 14 novembre 2018, un giorno prima della Giornata Mondiale degli Scrittori Incarcerati, la scrittrice indiana Arundhati Roy [it] ha scritto una lettera al pluripremiato fotoreporter bengalese Shahidul Alam, in relazione alla data della sua centesima giornata di incarcerazione. Shahidul Alam è stato in seguito rilasciato su cauzione [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] e ha risposto per lettera a Roy. Entrambe sono state pubblicate liberamente e da allora ampiamente pubblicizzate, con vari media che le hanno riportate tra le notizie del giorno, nello spazio dedicato alle opinioni personali.
Shahidul Alam, un famoso fotografo, attivista sociale e insegnante del Bangladesh, è stato prelevato dalla sua casa di Dhaka il 5 agosto 2018 alle 10 del mattino da almeno 20 poliziotti, alcune ore dopo che la sua intervista con Al Jazeera era stata messa in onda. Il giorno seguente è stato accusato, secondo l’articolo 57 della Legge sulle Tecnologie dell’ Informazione e della Comunicazione del Bangladesh, di aver diffuso dei commenti “provocatori” contro il governo del paese riguardanti la protesta studentesca per la sicurezza sulle strade che aveva avuto luogo dal 29 luglio al 9 agosto scorsi. I suoi difensori avevano richiesto un rilascio su cauzione il 28 agosto, ma gli era stato negato varie volte, con una lunga successiva battaglia legale, mentre i suoi sostenitori in tutto il mondo richiedevano il suo rilascio.
It is one hundred days since the award-winning photojournalist Shahidul Alam was arrested without a warrant. A group of South Asian writers and activists here urge Sheikh Hasina and Bangladesh Government to release him immediately:https://t.co/2KMHhKPDrw
— Ramachandra Guha (@Ram_Guha) November 13, 2018
Sono passati 100 giorni da quando il pluripremiato fotoreporter Shahidul Alam è stato arrestato senza un mandato. Un gruppo di scrittori e attivisti dell’ Asia meridionale sollecitano Sheikh Hasina e il governo bengalese per il suo rilascio immediato:
Dopo la lettera di Arundhati, 34 celebrità del sud asiatico, compresi scrittori, storici e attori, hanno firmato una lettera rivolta al primo ministro Sheikh Hasina in cui si richiedeva il rilascio incondizionato di Shahidul Alam.
L'arresto ha anche suscitato indignazione tra i sostenitori, che hanno organizzato numerose proteste [it], delle marce di solidarietà e delle campagne online per ottenere giustizia. Piazza Shahbag a Dhaka si è riempita di persone che cantavano slogan, in occasione di un raduno pubblico dal nome “Rendiamo la democrazia libera”, che si è tenuto il 9 settembre per protestare contro l'incarcerazione di Shahidul.
Arundhati Roy ha menzionato nella lettera la sua profonda preoccupazione per Shahidul, avendo temuto il peggio quando era venuta a conoscenza dei dettagli dell'arresto trasmessi dai notiziari. Ha anche espresso il suo forte disappunto e rabbia nei confronti delle leggi bengalesi sull'informazione. Arundhati ha scritto
Section 57 potentially criminalizes all forms of speech except blatant sycophancy. It is an attack not on intellectuals but on intelligence itself.
L'articolo 57 criminalizza in modo potenziale tutte le forme di comunicazione, eccetto il servilismo sfacciato. Si tratta di un attacco non solo contro gli intellettuali, ma all'intelligenza stessa.
Dopo aver trascorso mesi dietro le sbarre, Shahidul è stato liberato il 20 novembre 2018, cinque giorni dopo che la Corte gli aveva concesso il rilascio incondizionato. Sebbene le accuse non siano ancora state ritirate, non può essere imprigionato senza un ordine della Corte.
Iconic shot of Bangladeshi photojournalist and rights activist Shahidul Alam, shared by the #FreeShahidul campaign. He finally got bail today after more than 100 days in prison, accused of spreading propaganda. He was arrested after posting on Facebook about protests in Dhaka. pic.twitter.com/tgg87ODfgn
— Poppy McPherson (@poppymcp) November 15, 2018
Un’ immagine iconica del fotoreporter bengalese e attivista Shahidul Alam, condivisa dalla campagna FreeShahidul. Finalmente è stato rilasciato oggi su cauzione, dopo più di 100 giorni in prigione, con l'accusa di diffondere propaganda politica. Era stato arrestato dopo aver postato su Facebook materiale sulle proteste di Dhaka.
Shahidul ha scritto nella sua lettera a Arundhati che, nonostante i grandi sforzi che sono stati fatti per non concedere il rilascio, la vittoria era dalla sua parte. “… ci siamo tenuti le mani e abbiamo intonato canzoni mentre oltrepassavo il cancello della prigione”, ha scritto Shahidul.
In risposta, Shahidul Alam ha sottolineato che la lettera di Arundhati era speciale grazie al fatto che, a differenza di altre lettere inviate al primo ministro richiedenti la sua liberazione, questa era stata indirizzata esattamente a lui.
Ha descritto il suo incontro con varie persone, le emozioni suscitate dal vivere lontano dai comfort della propria casa, dal suo pesce rosso e da sua moglie Rahnuma, e la sua esperienza con la routine della prigione. Ha anche raccontato del dolore comune, dei legami e delle lotte che lo accomunano a Roy.
Quando Arundhati aveva concluso la sua lettera auspicando giorni migliori, Shahidul l'aveva rassicurata speranzoso:
But yes, Arundhati, the tide will turn, and the nameless, faceless people will rise. They will rise as they did in 1971. We will have secularism. We will have democracy. We will have social equality. We will win back this land.
Certo, Arundhati, le cose cambieranno, e le persone senza nome e identità si rialzeranno. Si innalzeranno come fecero nel 1971. Avremo il secolarismo. Avremo la democrazia. Avremo l'uguaglianza sociale. Ci riprenderemo questo paese.
I sostenitori di tutto il mondo hanno condiviso con dei tweet le lettere, simboli di cameratismo e di apprezzamento reciproco del loro lavoro.
Amal Nassar, un rappresentante presso l’ICC di FIDH, ha scritto:
“the tide will turn, and the nameless, faceless people will rise. They will rise against the entire state machinery”.
A beautiful letter from Shahidul Alam to
Arundhati Roy with reflections on his time in prison, from which he was released in Nov. 2018. https://t.co/CK4UPhoeuJ— Amal Nassar (@AmalNassar_) January 12, 2019
“…le cose cambieranno, e le persone senza nome e identità si rialzeranno. Si innalzeranno contro l'intera macchina dello stato”. Una bella lettera da Shahidul Alam a Arundhati Roy, con riflessioni sulla vita nella prigione, dalla quale è stato liberato a novembre 2018.
Arabindu Deb Burma di Tripura, in India ha detto:
The life of Tripuris in India is no different from that of Bangladesh. We are on the same situation now suppressed and oppresses yet we leaved in so called democratic country. https://t.co/HomevSFUVD
— arabindudebburma (@arabindu) January 12, 2019
La vita di Tripuris in India non è molto diversa da quella in Bangladesh. Ci troviamo nella stessa situazione con oppressi ed oppressori, e tuttavia viviamo in un cosìddetto paese democratico.
Arabindu Deb Burma di Tripura, in India ha detto:
I really enjoyed this exchange, especially him writing about people he met in the jail who reminds him of characters from Arundhati’s book. Shahidul is a beautiful soul.
— Thahitun Mariam (@thahitun) January 9, 2019
Ho apprezzato questo scambio, soprattutto il suo scrivere delle persone conosciute in prigione, che gli ricordano personaggi dei libri di Arundhati. Shahidul è una bella persona.
L'attivista australiano Tasneem Chopra ha scritto:
This brought me to tears. Utterly raw. https://t.co/6v979nyO9Y
— Tasneem Chopra (@TasChop) January 13, 2019
Mi ha fatto piangere. Profondamente vero.
Sempre più giornalisti bengalesi applicano la censura ai loro scritti per paura della repressione; le parole di Shahidul dovrebbero dunque incoraggiarli ad andare avanti:
The case against Shahidul still hangs over my head and the threat of bail being withdrawn is the threat they hope will silence my tongue, my pen, and my camera. But the ink in our pens still runs.
Il procedimento contro Shahidul incombe sulla mia testa, e la minaccia di ritirare il suo rilascio è la minaccia che essi pensano farà tacere la mia lingua, la mia penna e la mia macchina fotografica. Ma c'è ancora inchiostro nelle nostre penne.