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Le nazioni caraibiche esitano a riconoscere il nuovo presidente del Venezuela Guaidó

Categorie: America Latina, Caraibi, Guyana, Trinidad & Tobago, Venezuela, Citizen Media, Politica, Protesta, Relazioni internazionali, Ultim'ora
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Carta geografica dell'America Centrale e dei Caraibi. Dominio pubblico via Wikimedia Commons.

Il 10 gennaio 2019, il giorno in cui Nicolas Maduro ha prestato giuramento come presidente del Venezuela per un secondo mandato, il Consiglio Permanente dell’Organizzazione degli Stati americani [2] [it] (OAS) ha adottato una risoluzione [3] [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] che dichiarava illegittima l'elezione di Maduro e chiedeva sanzioni.

Il voto sulla risoluzione aveva diviso gli stati caraibici di lingua inglese membri dell'OAS: cinque nazioni (Bahamas, Giamaica, Santa Lucia, Guyana e Haiti) l'hanno sostenuta; tre (Saint Vincent e Grenadine, Domicina e Suriname) hanno votato contro; e cinque altre (Saint Kitts e Nevis, Trinidad e Tobago, Antigua e Barbuda, Barbados e Belize) si sono astenute.

Alcuni di questi stati hanno comunque inviato i propri rappresentanti alla cerimonia di insediamento di Maduro. Saint Kitts e Nevis era rappresentato dal suo primo ministro e Trinidad e Tobago, Antigua e Barbuda e Suriname hanno inviato i loro ministri più importanti.

La non interferenza negli affari di un paese sovrano è un principio chiave del Trattato di Chaguaramas, il documento fondativo della Comunità caraibica [4] [it] (CARICOM) e nel marzo 2018 i quindici membri della CARICOM hanno riaffermato la loro posizione [5], rifiutando in modo deciso l'idea di un intervento internazionale negli affari venezuelani durante un incorntro inter-sessione ad Haiti.

Ma con il leader dell'opposizione Juan Guaidó che ieri in Venezuela si è dichiarato presidente ad interim e con Stati Uniti, Regno Unito, Canada e la maggior parte dei paesi dell'America latina che lo hanno riconosciuto come tale, le nazioni caraibiche potrebbero dover decidere da quale parte stare.

Confini e stretti canali

Al momento solo due paesi appartenenti ai Caraibi di lingua inglese hanno fatto dichiarazioni al riguardo, e si dà il caso che siano quelli con la maggior posta in gioco: Guyana e Trinidad e Tobago.

Il Ministro degli esteri della Guyana, che rappresenta uno dei due membri della CARICOM situati sul continente sudamericano, il 24 gennaio intorno alle 12:00 AST (ossia alle ore 18 italiane) ha pubblicato una dichiarazione [6] su Facebook con un'attenta scelta delle parole, che affermava che il governo guyanese è:

“…gravely concerned at the deepening of the political crisis in the Bolivarian Republic of Venezuela and supports calls made at both the regional and international levels for immediate dialogue involving all political and social actors, with a view to the preservation of the democratic process and a return to normalcy.”

“…molto preoccupato per l'aggravarsi della crisi politica della Repubblica Bolivariana del Venezuela, e sostiene gli appelli fatti sia a livello regionale che internazionale per un dialogo immediato che coinvolga tutte le parti politiche e sociali, con l'intento di preservare il processo democratico e tornare alla normalità.”

La Guyana ha il diritto di essere “molto preoccupata”. Il paese condivide una frontiera col Venezuela i cui limiti sono stati contesi [7] [it] per più di un secolo: la porzione di territorio reclamata dal Venezuela rappresenta quasi il 40% del territorio guyanese e la posta in gioco è diventata ancora più alta da quando è stato scoperto il petrolio al largo delle coste della Guyana [8]. Nel dicembre 2018 la marina venezuelana intercettò [9] una nave della Exxon-Mobil che stava effettuando lavori di esplorazione nello spazio marittimo della Guyana.

Oggi su Facebook, il giornalista guyanese Orin Gordon ha scritto che la mossa [10] era “una risposta ragionevole e solida”, aggiungendo che:

The Rowley govt is getting heat from some quarters in [Trinidad and Tobago] for not recognising Guaido as president (interim or not), but Guyana is also stopping short of that explosive move. There's way too much machismo and bellicosity around this issue. Many of the countries giving implied support to regime change don't share a border (or narrow straits) with a country that could unravel socially, even more than it has recently.

Il governo di Rowley sta subendo pressioni da alcuni settori [di Trinidad e Tobago] per non aver riconosciuto Guaidó come presidente (ad interim o meno), ma la Guyana sembra volersi fermare prima di quella mossa esplosiva. C'è veramente troppo machismo e bellicosità intorno alla questione. Molti dei paesi che supportano implicitamente un cambiamento di regime non condividono una frontiera (o uno stretto canale) con un paese che potrebbe andare a pezzi dal punto di vista sociale, ancora di più di quanto non sia già successo recentemente.

Gli “stretti canali” a cui fa riferimento Gordon sono gli 11 chilometri di tratto di mare che separano l'isola di Trinidad dalla costa venezuelana. I due paesi hanno profondi legami storici e i venezuelani si sono spostati avanti e indietro tra Trinidad e il proprio paese per decenni.

La costa venezuelana vista dalla Baia di Macqueripe sulla costa settentrionale di Trinidad. FOTO: Georgia Popplewell. (CC BY SA)

I pescatori del Trinidad si sono scontrati con la famigerata Guardia Civile venezuelana per presunte violazioni dello spazio marino, e negli ultimi dieci anni il paese si è visto arrivare un maggiore flusso [11] di venezuelani che scappano dalla situazione politica ed economica in deterioramento del loro paese, molti dei quali arrivano illegalmente [12] o in alcuni casi richiedono ufficialmente asilo [13]. La stima ufficiale del numero di venezuelani che vivono a Trinidad è di circa 60.000 persone e rappresentano più del 4% della popolazione.

I due paesi hanno anche forti legami economici. Nell'agosto del 2018, il primo ministro Keith Rowley ha firmato un accordo [14] col Venezuela per fornire al paese gas naturale e alcuni pensano che l'esitazione di Trinidad e Tobago a riconoscere lo status di rifugiato ai venezuelani che arrivano nel paese sia per compiacere Maduro.

Ieri, 23 gennaio, durante una conferenza stampa, Stuart Young, ministro per la sicurezza nazionale, ha dichiarato che Trinidad e Tobago era pronta ad assistere e mediare nella situazione venezuelana, ma non avrebbe né appoggiato né opposto Guaidó. Secondo [15] il quotidiano locale Newsday, Young “ha sottolineato che la politica estera di questo paese rimane quella del non intervento negli affari di nazioni sovrane”.

I giornali locali hanno riportato che un gruppo di venezuelani residenti a Trinidad si sono ritrovati ieri davanti all'ambasciata del Venezuela a Port of Spain per esprimere sostegno a Guaidó.

“Quelli di noi che intrattengono relazioni…”

Molti altri paesi caraibici di lingua inglese hanno intrattenuto relazioni strette e positive con il Venezuela. Nonostante i propri travagli, il paese sudamericano è stato generoso negli aiuti post uragano [16] e molti paesi caraibici sono stati i beneficiari di accordi a bassi interessi per il petrolio grazie alla PetroCaribe [17], l'alleanza per l'energia creata dal defunto presidente venezuelano Hugo Chavéz.

Come il giornalista Orin Gordon ha fatto notare ieri [18]:

The tide would seem to be against Maduro. But what you get when you endorse regime change, is civil war. If the regional powers break Venezuela, guess who picks up the pieces? Neighbouring countries, that's who. Maduro is a dictator, in power through a fraudulent election. That does not make this a good move for those of us who rub shoulders [with] that country.

Gli eventi sembrano andare contro Maduro. Ma ciò che ottieni quando appoggi un cambio di regime è la guerra civile. Se i poteri internazionali spezzano il Venezuela, indovinate chi dovrà raccogliere i pezzi? I paesi vicini, ecco chi. Maduro è un dittattore, al potere grazie a elezioni fraudolente. Non è quindi una mossa intelligente per quelli di noi che intrattengono relazioni con quel paese.