Dopo un anno di proteste, il popolo del Nicaragua non vuole soltanto le dimissioni di Ortega — ma un nuovo inizio

“Poiché non possono piantare le loro idee nelle nostre teste, allora piantano i proiettili #SOSNicaragua” dice il cartello di questo manifestante durante una manifestazione per i prigionieri politici a Managua. Agosto, 2018. Foto: Jorge Mejía Peralta (CC BY 2.0)

Da quando in Nicaragua sono scoppiate [en] le proteste di massa contro il presidente Daniel Ortega, nell'aprile del 2018, il governo ha proibito le manifestazioni, arrestato centinaia di persone senza processo e chiuso organi di stampa alternativi e tradizionali. Poiché finora i tentativi di dialogo sono falliti, il futuro del Nicaragua rimane una questione irrisolta.

Inizialmente le manifestazioni si centravano su una riforma della previdenza sociale che avrebbe innalzato le tasse sul reddito, riducendo al contempo le pensioni [es, come i link seguenti, salvo diversa indicazione]. La prima repressione [en] da parte delle autorità ha generato un appello nazionale per le dimissioni del Presidente Daniel Ortega e di sua moglie, la Vice Presidente Rosario Murillo.

I dati riguardanti le vittime delle proteste sono incerti, e non sono stati aggiornati dallo scorso anno, dato che gli sforzi nel raccogliere queste informazioni sono sempre più ostacolati. Nel dicembre del 2018 il governo ha chiuso diverse ONG [en] che tenevano traccia della violenza politica e degli abusi di diritti umani, inclusi il Centro Nicaraguense per i Diritti Umani (Cenidh)e l'Istituto per lo Sviluppo della Democrazia (Ipade).

Nello stesso mese, due organismi creati dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani (IACHR) — il Meccanismo Speciale per la Osservazione del Nicaragua (MESENI) e il Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti sono stati espulsi dalla nazione [en], lasciando il Nicaragua praticamente senza osservatori indipendenti dei diritti umani e aprendo “una nuova fase della repressione”, secondo la attivista femminista ed educatrice nicaraguense María Teresa Blandón.

Leggi anche: ‘Siamo vittime che assistono altre vittime: la documentazione delle violazioni dei diritti umani in Nicaragua [it]

La stima più bassa sulle vittime, riconosciuta dal governo nell'agosto del 2018, ammonta a 197 morti. Ma Amnesty International indica che 322 persone sono morte al settembre del 2018, la maggior parte di esse a seguito di ferite alla testa, al collo e al torso causate da armi da fuoco. 

La blogger Ana Siú ha di recente scritto su Medium riguardo la sua esperienza nelle proteste dell'aprile 2018:

A través de una transmisión en vivo en Instagram, vi a una amiga de la universidad ser atacada por turbas. Escuché cómo ella gritaba y luchaba por no salir lastimada […] Finalmente, el “motorizado” la soltó, pero se llevó consigo el celular sin saber que seguía transmitiendo. Entonces dijo: “vamooos, vamooos. Hay que llevar estos celulares a revisarlos”. Esto siguió como por 20 minutos. 

Grazie ad una trasmissione in diretta su Instragram, ho visto una compagna dell'università attaccata dalla folla. Sentivo come urlava e si difendeva per non essere ferita […] Alla fine, il “motociclista” l'ha lasciata andare, ma le ha rubato il cellulare senza rendersi conto che stava ancora trasmettendo dal vivo. Quindi ha detto: “Andiamo! Andiamo! Dobbiamo portare questi cellulari a farli controllare”. Tutto questo è continuato per almeno 20 minuti.

Inoltre Ana Siú riflette sulle proteste del 30 maggio 2018, una storica manifestazione tenutasi nel giorno in cui il Nicaragua festeggia la Festa della Mamma, quando sono state uccise 15 persone [en]:

Este día cambió la forma en que vivíamos las protestas. Los que estábamos en esa marcha multitudinaria vimos cómo asesinaron a jóvenes. Fue la primera vez que atacaron con balas de plomo a una marcha masiva. Nunca me había sentido tan cerca de la muerte como esa tarde.

Quel giorno cambiò il modo di concepire le proteste. Chi di noi ha partecipato a quella massiccia manifestazione ha visto come hanno ucciso i giovani. Quella è stata la prima volta che hanno attaccato i manifestanti con proiettili di piombo. Non mi sono mai sentita così vicina alla morte come in quel pomeriggio.

Mentre gli studenti si barricavano nelle università della capitale Managua, i lavoratori agricoli bloccavano le strade di campagna. Nel mese di giugno, manifestanti a Masaya hanno dichiarato la città dell'est territorio libero dalla dittatura”. Il governo ha represso questi dimostranti, i quali hanno eretto delle barricate per difendersi e reagire agli attacchi della polizia. I manifestanti hanno ricorso sempre più frequentemente a metodi e scontri violenti, risultando nella morte di 22 agenti di polizia all'agosto del 2018, stando ai dati del governo.

Nella metà del 2018 [en], la polizia ha iniziato la cosiddetta “operación limpieza” (operazione sgombero) per smantellare le barricate e processare coloro sospettati di aver protestato. Secondo i rapporti, le forze dell'ordine avrebbero agito in cooperazione con gruppi paramilitari [en].

Molti studenti [en], dirigenti di movimenti agricoli, difensori dei diritti e giornalisti [en], sono stati il bersaglio di campagne diffamatorie e perseguitati [en], e alcuni di essi sono stati accusati di “terrorismo”. Anche professionisti della salute, che si prendevano cura dei feriti nelle rivolte, hanno sofferto delle conseguenze [en]. La Associazione Medica Nicaraguense stima che almeno 240 di questi professionisti sono stati licenziati da ospedali pubblici e cliniche, come vendetta del governo.

Leggi anche: Nicaraguan protesters and journalists face violent attacks on the streets and online [en]

Nel mese di settembre, le proteste sono state praticamente vietate, poiché adesso tutte le attività di strada richiedono un permesso rilasciato dalle autorità, e da queste viene frequentemente negato.

Il 27 febbraio 2019 è ricominciato il dialogo tra il governo e il partito d'opposizione Alianza Cívica por la Justicia y la Democracia (Alleanza Civica per la Giustizia e la Democrazia), dopo il rilascio di centinaia di persone dal carcere [it]. Ma a differenza dei precedenti tentativi di dialogo, questo non ha incluso né dirigenti di movimenti agricoli né studenti, in quanto alcuni di essi sono incarcerati e altri in esilio [en].

Non solo un nuovo presidente — un nuovo inizio

Mentre la crisi prosegue verso il suo secondo anno, l'urgenza e l'ansia per il futuro del Nicaragua si sta trasmettendo attraverso l'hashtag #SOSNicaragua, utilizzato quotidianamente assieme ad accuse, ritratti delle vittime e testimonianze degli studenti in prigione e delle loro famiglie.

Leggi anche: Nicaragua's diaspora activists bear a ‘double burden’ [en]

Il giornale nicaraguense Niú ha intervistato i cittadini che hanno protestato nel mese di febbraio nella vicina Costa Rica, ed essi hanno raccontato le difficoltà della vita in esilio.

Alejandro Donaire, studente che afferma di essere fuggito dopo aver partecipato ad una protesta pacifica, rivela a Niú come era difficile “sentirsi parte di una società funzionante e avere una vita normale”, dopo aver passato così tanto tempo a “nascondendosi, scappando o protestando”.

Anche Madelaine Caracas, portavoce del gruppo studentesco conosciuto come Coordinazione Studentesca per la Democrazia, ha raccontato Niú le sue aspirazioni per la trasformazione del Nicaragua, andando oltre le dimissioni di Ortega:

[Tenemos que] erradicar autoritarismos, machismos, caudillismo y demás males que han penetrado en la cultura política del país […] Ahora, más que nunca, estamos seguros de que Ortega se va este año […] este año estaré en Nicaragua y tengo [esa seguridad] porque (Ortega) está ahogado internacionalmente, está ahogado económicamente y también porque la parte insurreccionada que se levantó en abril está hoy, más que nunca, más organizada.

[Dobbiamo] sconfiggere gli autoritarismi, i machismi, i caudillismi e altri mali che sono entrati nella vita politica del paese […] Ora più che mai siamo sicuri che Ortega lascerà il potere quest'anno […] quest'anno sarò in Nicaragua e ho [questa certezza] perché (Ortega) è isolato internazionalmente, economicamente e anche perché il popolo ribelle che è insorto ad aprile oggi è più organizzato che mai.

Quest'ultimo giro di dialoghi tra il governo e l'opposizione si è interrotto [en] il 3 aprile, avendo raggiunto accordi su due dei quattro argomenti discussi. Innanzitutto, il governo ha promesso di liberare [en] tutti i prigionieri politici e, in secondo luogo, di rispettare le libertà civili. Non vi sono stati accordi riguardanti né la giustizia per le vittime delle violenze né l'anticipazione delle elezioni del 2021.

Il gruppo d'opposizione Alleanza Civica ha però notato che, fino a questo momento, il governo non è stato in grado di rispettare questi impegni. Stando ai rapporti, la repressione delle manifestazioni pacifiche da parte della polizia non si è fermata. Al 6 di aprile, soltanto 50 degli oltre 600 prigionieri politici sono stati rilasciati [en] e gli scarcerati sono stati sottoposti agli arresti domiciliari. 

In seguito, il 17 aprile, dopo le rinnovate minacce [en] di sanzioni da parte degli Stati Uniti, oltre 600 prigionieri sono stati liberati, in modo da far scontare le loro pene agli arresti domiciliari. Ma secondo Alleanza Civica, solo 18 membri [en] del gruppo erano nella lista di prigionieri politici che speravano di vedere scarcerati. Per coloro come l'attivista e ricercatore Felix Madariaga, i nuovi leader per il futuro del Nicaragua rimangono ancora oggi in prigione.

Nel contempo, gruppi d'opposizione mirano a nuove proteste per commemorare l'anniversario [en] degli eventi dell'aprile 2018. Poiché il governo si rifiuta di concedere il permesso per le manifestazioni, ci si aspetta una nuova repressione da parte della polizia. 

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