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Mauritania: il blogger Mohamed Mkhaitir sfugge alla pena di morte ma rimane in carcere

Categorie: Africa sub-sahariana, Medio Oriente & Nord Africa, Mauritania, Censorship, Citizen Media, Diritti umani, Etnia, Libertà d'espressione, Advox

Mohamed Cheikh Ould Mkhaitir è stato condannato a morte nel 2014 per la pubblicazione di un forum online.

Nonostante la sua condanna a morte sia stata commutate [1] [fr, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] più di un anno fa, il blogger mauritano Mohamed Cheikh Ould Mkhaitir è ancora dietro le sbarre [2][en].

M. Mkhaitir è stato condannato a morte nel 2014 per aver pubblicato un post sul sito web del giornale mauritano Aqlame [3] [ar]. Nel suo articolo “Religione, Religiosità e Artigiani ” (in arabo), Mohamed Cheikh Ould Mkhaitir criticava il ruolo della religione nel sistema delle caste in Mauritania e giustificava la sua argomentazione basandosi su testi del tempo del profeta Maometto. L'articolo originale è stato rimosso dal sito del giornale Aqlame, ma rimane disponibile online [4].

Il tribunale lo ha condannato a morte per “apostasia” ai sensi dell'articolo 306 del codice penale mauritano. [5]

Nell'aprile 2016, la Corte d'appello ha confermato la sua condanna a morte e ha inviato il caso alla Corte suprema, che a sua volta l'ha rinviato [6] alla Corte d'appello per “irregolarità” di procedura. “Nel novembre 2017, la Corte d'Appello ha infine commutato [7] la sua condanna a morte in due anni di reclusione e una multa.

Il 24 aprile 2019, il ministro della Giustizia della Mauritania ha dichiarato [8] [en] che M. Mkhaitir era in “detenzione preventiva” e che “solo la Corte suprema era in grado di decidere del suo destino”.

L'articolo 306 del codice penale prevedeva che, se la persona colpevole si fosse “pentita” prima dell'esecuzione, la Corte suprema mauritana avrebbe commutato la condanna a morte da tre mesi a due anni di reclusione e una multa.

Ma nell'aprile 2018, l'Assemblea nazionale mauritana ha approvato una legge che prevede la pena di morte obbligatoria per chiunque sia accusato di “discorsi blasfemi” e di atti considerati un “sacrilegio”.

“L'entrata in vigore della legge solo pochi mesi dopo che la Corte d'appello aveva ordinato il rilascio di M. Mkhaitir sembra essere correlata al suo caso”, ha affermato [9] Human Rights Watch nel novembre 2018.

Le denunce relative al razzismo e al sistema delle caste sono tabù in Mauritania, e negli ultimi anni sono state all'origine di numerose minacce [10] [en] legali e politiche contro giornalisti e militanti. Nel 1981, la Mauritania è diventata l'ultimo paese al mondo ad abolire formalmente la schiavitù, ma solo nel 2007 criminalizzò questa pratica. Da allora, tuttavia, i funzionari delle Nazioni Unite [11] [en] e i difensori dei diritti umani [12] [en] hanno dimostrato che migliaia di persone, molte delle quali Haratin [13] [it] di origine nera, sono ancora schiavizzate [14] [en], sono oggetto di lavoro forzato o subiscono discriminazioni basate sulla casta.

Il governo della Mauritania nega [15] che la schiavitù esista ancora nel paese e molte persone come M. Mkhaitir, che denunciano la pratica e la discriminazione contro gli haratin, sono incarcerati e perseguiti. Lo scorso settembre, le autorità hanno imprigionato [16] il militante Abdallahi Salem Ould Yali, dopo averlo accusato di incitamento alla violenza e all'odio razziale, per aver pubblicato messaggi in un gruppo WhatsApp che denunciava la sorte e l'emarginazione della sua comunità.