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Netizen Report: i sudanesi che manifestano per la democrazia affrontano la violenza militare e i blocchi di internet

Categorie: Africa sub-sahariana, Nord Sudan, Censorship, Citizen Media, Cyber-attivismo, Diritti umani, Libertà d'espressione, Protesta, Tecnologia, Advox
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Una protesta a Khartoum, aprile 2019. Immagine di M. Saleh tramite Wikimedia Commons (CC BY-SA 4.0)

Il Netizen Report di Advox offre un'istantanea internazionale delle sfide, delle vittorie e delle nuove tendenze su tecnologia e diritti umani nel mondo. Questo articolo presenta notizie ed eventi avvenuti dall'1 al 13 giugno 2019.

Dall’ estromissione [2] [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] del presidente di lunga data Omar Al-Bashir avvenuta ad aprile per mano dell'esercito, l'incertezza domina sul Sudan. Nonostante l'iniziale dialogo dei manifestanti pro democrazia [3] [it] con il Consiglio Militare di Transizione, i negoziati si sono interrotti e i dimostranti sono tornati ad occupare le strade.

Le tensioni tra manifestanti e autorità sono salite in un'escalation nella quale le Forze Rapide di Supporto [4], composte da veterani delle milizie armate responsabili per i peggiori massacri perpetrati in Darfur, hanno ucciso più di 100 manifestanti e sono stati accusati da diversi reportage [5] di stupri e rapine ai danni di civili, fermati ai checkpoint militari. Ciononostante, i cittadini sudanesi stanno continuando a combattere per un processo di transizione verso un governo civile, e a questo fine hanno lanciato uno sciopero generale [6] il 9 giugno 2019.

Dal 3 giugno, test tecnici [7] di NetBlocks hanno confermato che la connessione dati mobili del paese è stata tagliata, in una mossa che riduce drasticamente la possibilità dei cittadini di comunicare, condividere a avere accesso alle informazioni. Il blocco ha colpito soprattutto gli utenti di Facebook, che si affidavano alla piattaforma per l'organizzazione delle dimostrazioni e dello sciopero.

Se è vero che la maggior parte dei cittadini (che si affidano alle connessioni mobili) sono tagliati fuori dalla piattaforma, le Forze Rapide di Sostegno si stanno ancora servendo attivamente di Facebook [7] [ar], probabilmente tramite connessione fissa, per promuovere la propria narrazione degli eventi. Gli attivisti sudanesi hanno organizzato una petizione [8] per chiedere a Facebook di rimuovere tali pagine, che essi accusano di incentivare la violenza contro le proteste pacifiche in Sudan.

Blocchi di internet anche in Liberia ed Etiopia

Il Sudan non è l'unico paese africano attualmente alle prese con i blocchi online. Il 7 giugno, gruppi stampa della Liberia [9] hanno riferito di difficoltà di molti cittadini nell'accesso agli account social, nel corso di una protesta contro il governo, avvenuta a Monrovia, la capitale del paese. Anche in questo caso test tecnici di NetBlocks indicano che importanti social network e servizi di comunicazione tra cui WhatsApp, Facebook, Twitter e Instagram sono diventati inaccessibili sulle due maggiori compagnie telefoniche del paese, controllate da Orange e Long Star. Alcuni gruppi della società civile [10] hanno richiesto alle due compagnie che venga emesso un comunicato stampa, in cui si spieghi la ragione dei disservizi.

In Etiopia, che non è nuova a blocchi internet, NetBlocks [11] ha osservato un blocco totale l'11 giugno, probabilmente innescato dalle autorità educative per impedire agli studenti [12] l'uso di dispositivi elettronici nel corso degli esami di stato della scuola secondaria.

Durante le proteste di massa a Hong Kong, Telegram è diventato un obiettivo sensibile

La proposta di una legge di estradizione a Hong Kong ha innescato le più grandi proteste [13] nella città dal Movimento degli Ombrelli del 2014 [14] [it], con centinaia di migliaia di persone scese in strada. Mentre le proteste continuano diventando pericolose, dopo l'arresto da parte della polizia  [15][it] di almeno una dozzina di manifestanti, è stato preso di mira il servizio di messaggistica mobile Telegram. L'amministratore delegato di Telegram Pavel Durov ha comunicato in un tweet del 12 giugno [16] che i server della compagnia erano temporaneamente compromessi [17] a causa di un attacco DDoS [18][it], in cui migliaia di richieste hanno inondato i server di Telegram, in un tentativo di sovraccaricarli compromettendo il sistema. Durov ha riferito che le richieste provenivano principalmente dalla Cina.

Nel frattempo, l'amministratore di un enorme gruppo Telegram, chiamato “Acque internazionali” (公海總谷) è stato arrestato dalla polizia di Hong Kong [19] [zh] per “cospirazione ai fini di commettere danni pubblici”. Il gruppo era diventato una piattaforma organizzativa per i manifestanti. La polizia ha chiesto all'amminstratore di sbloccare il cellulare ed esportare la lista dei membri del gruppo, che si contano a decine di migliaia. L'amministratore è poi stato rilasciato su cauzione.

I censori cinesi (e Twitter) reprimono le commemorazioni del massacro di piazza Tiananmen 

Il 4 giugno ha rappresentato il 30esimo anniversario del massacro degli studenti che protestavano in piazza Tiananmen a Pechino, perpetrato nel 1989 dall'esercito cinese. Il massacro, che ha comportato un numero non ancora chiaro di vittime tra i manifestanti pacifici (le stime variano tra le 2700 [20] [it] e le 10.454 [21]), non è mai stato pubblicamente riconosciuto dal governo cinese.

Espressioni e foto associate all'evento sono da tempo strettamente controllate in rete – una ricerca dell'Università di Hong Kong e dell'Università di Toronto sostiene che si tratti dell'argomento maggiormente sottoposto a censura [22] [it] sull'internet cinese.

Se numerosi contenuti online legati all'evento sono stati censurati dai siti cinesi, anche la piattaforma statunitense Twitter ha sospeso centinaia di profili con posizioni critiche nei confronti del Partito Comunista Cinese, secondo Hong Kong Free Press [23]. Twitter si è poi scusato e ha riabilitato gli account, sostenendo che fossero stati bloccati per errore, nel contesto degli sforzi della compagnia di rimuovere profili che diffondono spam o sono coinvolti in comportamenti “inopportuni”.

Il Kazakistan blocca internet durante le proteste post elettorali

Il Kazakistan ha organizzato delle elezioni a sorpresa il 9 giugno, data macchiata anche da un diffuso malfunzionamento [24] della rete, confermato da test tecnici e riportato dall'agenzia di stampa pro governativa Tengri news [25] [ru].

Le elezioni sono seguite alle dimissioni storiche [26] di Nursultan Nazarbayev, che ha esercitato un potere indiscusso sullo stato centrasiatico dalla caduta dell'Unione Sovietica nel 1989 fino a marzo 2019, quando ha annunciato le proprie dimissioni. Come prevede la costituzione kazaka [27], il portavoce del senato Kassym-Jomart Tokayev [28], un fedelissimo di Nazarbayev, ha ufficialmente ottenuto il potere il 20 marzo, ed è poi stato eletto presidente il 9 giugno.

In dimostrazioni di piazza che raramente erano state viste in Kazakistan, attivisti e cittadini hanno chiesto elezioni libere e hanno portato delle prove [29] di brogli elettorali [30] [ru]. Almeno 500 persone, tra cui dei giornalisti [31], sono state fermate, e i dati mobili sono ancora bloccati nel centro di Almaty, l'ex capitale.

Giornalista russo arrestato per accuse sospette

Ivan Golunov, un famoso giornalista d'inchiesta, è stato arrestato il 6 giugno [32] a Mosca per quelle che sembrano delle accuse orchestrate [33] di spaccio e possesso di stupefacenti. Un giudice ha prima rilasciato Golunov, concedendogli gli arresti domiciliari, e poi lasciato cadere le accuse contro il giornalista, dopo una forte condanna pubblica [34] del caso.

Golunov lavora per Meduza [35], una delle poche piattoforme mediatiche online in lingua russa rimaste nel paese. Ha condotto e pubblicato diverse inchieste, facendo emergere casi di corruzione che hanno coinvolto alti ufficali russi. In un editoriale sul Guardian [36], l'editor di Golunov, Alexey Kovalev, editor anche per Global Voices, ha descritto così la natura sistematica della repressione della stampa in Russia:

“Sono sicuro che Putin l'avrebbe fermato se avesse potuto, ma non puoi liberare arbitrariamente una vittima di questo sistema senza ammettere che molte alte autorità erano coinvolte in un piano per incastrare un uomo innocente in cerca della verità”.

L'Iran lancia un'app per denunciare i “crimini morali”

Il settore giudiziario iraniano ha annunciato un piano per il lancio di un'applicazione [37] per dispositivi mobili che permetterà agli iraniani di denunciare violazioni e “crimini contro la moralità e la castità pubblica”, includendo azioni come il mancato uso del velo oppure la pubblicazione di messaggi “immorali” sui social. In un'intervista per l’Independent [37], l'esperta iraniana di tecnologia Mahsa Alimardani, che è anche una collaboratrice di Global Voices, ha spiegato che l'app “evidenzia il timore che le norme ‘morali’ della Repubblica Islamica dell'Iran abbiano in effetti fallito nel radicarsi nella società”. L'app, fa notare Alimardani, violerebbe anche le leggi costituzionali di protezione della privacy.

Nuove ricerche sui temi trattati (in inglese)

 

 

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Mahsa Alimardani [43], Ellery Roberts Biddle [44], Alexey Kovalev [45], Oiwan Lam [46], Amanda Lichtenstein [47], Filip Noubel [48] e Taisa Sganzerla [49] hanno collaborato a questo articolo.