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Trinidad e Tobago divisa: i servizi come Facebook dovrebbero pagare le tasse locali?

Categorie: Caraibi, Trinidad & Tobago, Citizen Media, Economia & Business, Legge, Media & Giornalismi, Politica, Tecnologia
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Immagine da www.thoughtcatalog.com/ [2]

A metà agosto 2019, il capo di uno dei più grandi conglomerati di Trinidad e Tobago si è dichiarato [3] [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] contrario al fatto che i servizi online come Facebook abbiano introiti nel Paese senza dover pagare le tasse locali.

Norman Sabga, presidente di ANSA McAL [4], che possiede la Guardian Media Limited (di cui fanno parte un quotidiano, un canale televisivo e un'emittente radiofonica) insieme ad altre aziende, è convinto che Facebook mini l'impatto e i profitti delle emittenti locali che investono e creano posti di lavoro a Trinidad e Tobago. Anche se alcune aziende come Facebook hanno uffici locali in alcuni dei mercati più grandi, normalmente non è così.

Le reazioni alle dichiarazioni di Sabga sono state di vario tipo, con molti utenti dei social che hanno rigettato [5] i commenti in segno di dimostrazione [6] del senso di diritto [7] dell'«1%» della società [8]. Diversi utenti in rete hanno espresso l'opinione che i social media siano la “vox populi”, che dice la verità [9] riguardo ai secondi fini percepiti e agli interessi politici [10] dei media tradizionali [11]. Altri hanno sostenuto [12] che Sabga ha colto il punto [13] – e non è il primo ad averlo fatto [14].

La Francia [15], per esempio, stanca di aspettare che il resto dell'Europa arrivasse ad un accordo sul tema, ha introdotto la sua tassa digitale del 3% a gennaio 2019. In maniera simile, il Canada [16] si è focalizzato su Netflix (un'altra azienda con numerosi abbonati paganti a Trinidad e Tobago) e ha adottato misure legislative per assicurarsi che queste aziende globali di servizi digitali stiano pagando quanto dovuto. Tuttavia, proprio come in Francia [17], i consumatori di Trinidad e Tobago rimangono preoccupati dal fatto che, se simili misure fossero imposte localmente, i costi aggiuntivi verrebbero semplicemente trasferiti [18] su di loro. Quando Trinidad e Tobago propose di introdurre una tassa sugli acquisti online [19] nel 2016, i consumatori si scagliarono contro [20] la misura, e la legge non fu mai approvata.

Le statistiche di luglio 2019 stimano che a Trinidad e Tobago ci sono circa 714.700 utenti Facebook, che rappresentano il 51.8% dell'intera popolazione, alcuni dei quali hanno ingenuamente risposto alla preoccupazione di Sabga dicendo [21]: “Lui lo sa che Facebook è gratis?”.

“Gratis” è una parola tendenziosa. Mentre è vero che non costa nulla usare la piattaforma, Facebook fa pagare per la pubblicità e guadagna dalla promozione dei post. E, come hanno fatto notare il progetto di ricerca [22] di Global Voices del 2017 sul servizio Free Basics [23] [it] di Facebook e molti altri commentatori, c'è un prezzo da pagare per questo, dato che la piattaforma raccoglie e monetizza i dati degli utenti. Nonostante lo scandalo di Cambridge Analytica, che ha rivelato [24] come le elezioni di Trinidad e Tobago del 2010 siano state un banco di prova per una più diffusa condivisione dei dati, molti utenti locali ancora si fidano della piattaforma di Facebook più che dei media tradizionali e ammettono che è la loro fonte primaria [10] di notizie.

Sul mercato di Trinidad e Tobago, come in altri in tutto il mondo, i media tradizionali sono stati impattati negativamente [25] dall'immediatezza e dalla disponibilità gratuita dei servizi digitali come Facebook.

Un altro punto che Sabga ha sollevato è che le aziende come Facebook e Netflix pesano sulle riserve di valuta estera [3] del Paese, poiché i loro servizi vengono pagati in valuta statunitense. Negli ultimi anni il governo di Trinidad e Tobago è stato sempre più preoccupato dai flussi monetari in uscita dal Paese, al punto che ora la Banca Centrale limita l'ammontare di valuta estera a cui individui e imprese possono accedere, e le banche locali hanno applicato limiti più rigidi sulle carte di credito.

Coloro che concordano sul fatto che i Golia come Facebook e Netflix dovrebbero essere tassati in ogni mercato nel quale operano, sono convinti che una tale legislazione darebbe ai Davide locali una possibilità di combattere garantendo parità di condizioni. È una giusta argomentazione, ma la natura virtuale di internet ha reso questo problema molto complesso, specialmente per i Paesi e le Regioni minori.

Inoltre, è degno di nota che anche attori come il Guardian Media usano Facebook come loro prima piattaforma di pubblicità, marketing e comunicazione, ironia [26] che gli utenti [27] del social network non hanno mancato [28] di cogliere e che evidenzia sia il potere di questi giganti digitali sia la complessità del problema.

In una discussione nel gruppo di Facebook chiuso Wired868, il giornalista Lasana Liburd [29] è andato al nocciolo della questione:

If the situation was reversed and a Trinidad and Tobago company was getting marketing and advertising revenue off US companies, do you really think Uncle Sam would not want a slice?

For me, Mark Zuckerberg is not a god. He is a businessman, His business earns revenue here. Therefore he should pay tax here. That's my point of principle. Nothing more.

Se la situazione fosse invertita e un'azienda di Trinidad e Tobago stesse guadagnando dal marketing e dalla pubblicità alle spalle di aziende degli Stati Uniti, pensate davvero che lo Zio Sam non ne vorrebbe una fetta?

Per me, Mark Zuckerberg non è un dio. È un uomo d'affari, la sua azienda ottiene guadagni qui. Pertanto dovrebbe pagare le tasse qui. Questa è la mia questione di principio. Niente di più.