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A Zanzibar, i venditori ambulanti degli iconici tessuti “kanga” sono costretti a chiudere bottega dopo 30 anni

Categorie: Africa sub-sahariana, Tanzania, Arte & Cultura, Citizen Media, Governance, Idee, Lavoro, Politica, Storia, Sviluppo

Mohammed Abdallah Moody vende i tradizionali tessuti kanga al mercato Darajani di Stone Town, Zanzibar. Foto di Amanda Leigh Lichtenstein, usata su licenza.

Ogni giorno, a Zanzibar, donne e uomini da tutte le isole si radunano a Stone Town, la storica capitale, per acquistare i kanga – tessuti disegnati e colorati venduti a coppie che solitamente includono un messaggio in swahili.

Ad agosto, i clienti hanno fatto la scioccante scoperta: le autorità di Stone Town avevano rimosso le bancarelle di kanga dal mercato Darajani. Almeno 25 commercianti attivi di kanga – alcuni dei quali erano proprietari delle bancarelle da circa 30 anni – sono stati costretti ad andarsene, interrompendo all'improvviso la propria attività commerciale.

I kanga sono un elemento inestricabilmente intessuto nella cultura costiera swahili [1] [en, come tutti i link seguenti, salvo diversa indicazione] – i commercianti che vendono kanga al mercato Darajani devono essere maestri della parola e filosofi per riuscire a lavorare. Perché? I kanga vengono scambiati [2] tra amici, familiari e amanti per comunicare ed esprimere misemo, o “proverbi”, in swahili che a volte sono difficili o tabù; i venditori sono fondamentali per selezionare il kanga giusto, che meglio corrisponde alle esigenze o all'occasione. La maggior parte dei venditori di kanga ha memorizzato centinaia di messaggi in swahili e riesce facilmente a identificare un kanga dal disegno e dal messaggio.

Una varietà di kanga colorati in esposizione al mercato. Foto di Pernille Bærendtsen, usata su licenza.

Secondo Mohammed Abdallah Moody, commerciante di kanga da molto tempo, i venditori di kanga proprietari di bancarelle su Chavda-Mkunazini Street, conosciuta come “il mercato dei kanga”, hanno ricevuto una lettera dalla Stone Town Conservation and Development Authority (STCDA) il 26 luglio 2019, in cui si spiegava loro che avevano due giorni per fare i bagagli e andarsene.

I kanga solitamente riportano un messaggio in swahili e vengono scambiati per esprimere sentimenti. Questo dice “Mimi si mgomvi wako” cioè “Non sono tuo nemico”.

A detta di Moody, alcuni commercianti non hanno avuto altra scelta che vendere i propri kanga clandestinamente tramite negozi altrui, finché non definiscono i dettagli con le autorità. Se beccati a vendere kanga per strada, rischiano una multa fino a 500.000 scellini tanzaniani (circa 250 dollari) o fino a sei mesi di prigione.

Una lettera della Stone Town Conservation and Development Authority informa i commercianti di kanga che hanno due giorni per andarsene. Foto di Amanda Leigh Lichtenstein, usata su licenza.

Nella lettera, si chiede ai venditori di kanga di andarsene “per aver collocato senza autorizzazione attività commerciali informali su muri, ingressi e nelle aree più interne di Stone Town.”

La lettera continua:

This has led to the destruction of walls [due to] nailing it to hang products, cluttering of the passageways, and impinging on the charm of Stone Town's original doorways. Similarly, it reduces their original value.

Tutto ciò ha portato alla distruzione dei muri dovuta al fissaggio coi chiodi dei prodotti, all'ingombro nei vicoli e ha leso il fascino delle porte d'ingresso originali di Stone Town. Allo stesso modo, ciò riduce il loro valore originario.

Moody rivela che i commercianti di kanga pagano alla città 2000 scellini tanzaniani (0.90 dollari) al giorno o circa 60.000 scellini tanzaniani (29 dollari) al mese per poter gestire le loro bancarelle di kanga; fino al 2015 avevano una licenza, dopodiché la STCDA ne ha interrotto le concessioni.

Said Juma Khamis, un altro commerciante di kanga, ha detto che nel 2016 il suo gruppo di 30 venditori di kanga ha fondato un'associazione ufficiale chiamata “The Kanga Sellers of Chavda” (i venditori di kanga di Chavda), per difendere i loro diritti di vendita e per rafforzare le attività commerciali come collettivo. Ha dichiarato:

We've lost a lot of customers since we were told to leave. More than a lot. Some have heard that we can't sell our kangas anymore. Some still come here expecting us to have kanga to sell. It's unsettling.

Abbiamo perso molti clienti da quando ci è stato detto di andarcene. Più di molti, anzi. Alcuni hanno sentito dire che non possiamo più vendere i nostri kanga, altri ancora arrivano qui e si aspettano di trovare i kanga in vendita. È preoccupante.

Preservare il patrimonio culturale – a che costo?

Nel 2001, l'UNESCO ha designato la città vecchia di Stone Town come Patrimonio dell'Umanità, elevandola allo stesso status delle piramidi egizie o del Taj Mahal indiano. Amina Ahmada della Zanzibar Stone Town Heritage Society [3], un'organizzazione non governativa, ha affermato che la città ha subito una serie di cambiamenti negli ultimi anni, in uno sforzo di tutta l'isola per aumentare la preservazione del patrimonio culturale [4], concentrandosi nello specifico su Stone Town in quando centro nevralgico del turismo:

We work with the community to help them understand the value of their collective inheritance. Some of the [Stone Town] residents are living in very valuable, old buildings but have no idea of their historic value.

Lavoriamo con la comunità per aiutare le persone a capire il valore della loro eredità collettiva. Alcuni residenti di Stone Town vivono in edifici antichi e di grande pregio, ma non hanno idea del loro valore storico.

Con una forte enfasi sul restauro e la preservazione dell'architettura e dei siti storici, la città ha adottato misure per reprimere quelle che sono considerate attività commerciali illegali che impediscono l'accesso visivo alle eccezionali bellezze architettoniche e al patrimonio culturale [4] della Città Vecchia.

Negli anni '30 del 1800, i re dell'Oman spostarono il loro centro del potere da Mascate a Stone Town e dominarono la regione fino al 1963, supervisionando un remunerativo commercio di chiodi di garofano che veniva alimentato in gran parte dal lavoro degli schiavi.

Secondo l'UNESCO, l'architettura di Stone Town – una fusione di strutture arabe, indiane e africane che riflette migliaia di anni di scambi commerciali sull'Oceano Indiano tra il Golfo Persico, l'India e la costa swahili – è protetta dalla Normativa 2002 per la Preservazione dei Monumenti Antichi [5]. Nel 1985, fu istituita la STCDA che, più tardi nel 1994, creò la Normativa per la Preservazione e lo Sviluppo di Stone Town; questo ha portato allo sviluppo di un piano generale [6] per “salvaguardare, preservare e sviluppare i valori” di Stone Town. Oggi, la STCDA si attiene alla Normativa 2010 dell'Autorità per la Preservazione e lo Sviluppo di Stone Town [7], che fornisce le linee guida per l'ottemperanza alle norme, la revoca della locazione, l'applicazione della legge e altre questioni rilevanti.

Il 23 agosto le autorità hanno pubblicato anche un'altra lettera, rivolta ai rivenditori di biglietti del traghetto nel quartiere di Malindi, definendo i loro negozi “illegali” e “sporchi”. Il lunedì seguente, diverse attività commerciali erano state distrutte. Mwanjabu Mohamad, una rivenditrice di biglietti, ha detto [8] [sw] che si trovava a casa quando le hanno telefonato per dirle che il suo ufficio era stato colpito, secondo la sua testimonianza a KTV-TV.

Ahmada ha detto che a Stone Town è pieno di edifici del XVIII e XIX secolo, alcuni dei quali sono abitati e di proprietà di residenti privati che non ne conoscono il valore storico. Gli edifici con status “wakf” [9] sono, secondo la legge islamica, proprietà designate spiritualmente per la beneficienza che non possono essere ristrutturate o modificate senza una rigida aderenza alle leggi della Zanzibar Waqf and Trust Commission [10]e della STCDA, e questo include anche residenze familiari detenute da privati.

Gli edifici con status Wakf non possono essere venduti, acquistati o ereditati a fini di lucro. Qualsiasi lavoro di restauro o rinnovamento deve attenersi a rigide linee guida da parte delle autorità di Stone Town. Foto di Amanda Leigh Lichtenstein, usata su licenza.

Moody, il commerciante di kanga, insiste nel dire che, per quanto ne sa lui, nessuno degli edifici presso il mercato dei kanga ha status Wakf, e anche i proprietari degli edifici privati di fronte ai quali i venditori hanno posizionato da circa 30 anni le loro attività di ambulanti hanno dato il loro consenso. Moody ha dichiarato:

We're hungry. We need to eat. We have families to feed. So, we've had to move back [to the market] little by little.

Abbiamo fame. Abbiamo bisogno di mangiare. Abbiamo famiglie da sfamare. Perciò, pian piano, siamo dovuti tornare al mercato.

Moody spiega che il gruppo ha scritto una lettera alla STCDA chiedendo un incontro per discutere la loro situazione, per continuare a far crescere florido il business della cultura dei kanga.

La speranza è che le autorità di Stone Town riconoscano i venditori di kanga come elemento essenziale dell'eredità e della cultura swahili e trovino una soluzione che vada a beneficio di tutti.

Un kanga appeso al filo ad asciugare. Foto di Pernille Bærendtsen, usata su licenza.