Censura di internet in Sudan: ripensare le leggi e le tattiche al servizio di un regime autoritario

Una donna sfollata sale su un autobus per tornare al suo villaggio nel Nord Darfur. Foto di Albert Gonzalez Farran via United Nations/Flickr.

Per oltre trenta anni, il Sudan è stato governato e controllato da un regime militare sotto Omar al-Bashir fino a quando una rivoluzione all'inizio di quest'anno [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] lo ha rimosso dal potere. Ciò che iniziò come protesta contro l'aumento del prezzo del pane, è diventato un movimento contro il regime di Bashir, il quale ha commesso crimini di massa contro l'umanità, crimini di guerra e genocidio nel Darfur. Il regime ha spesso usato leggi e tattiche per mettere a tacere e opprimere gli oppositori, inclusa la censura sistematica di internet.

Oggi, mentre il Sudan intraprende una transizione triennale verso la democrazia e un governo civile, le autorità di transizione devono prendere provvedimenti per garantire la libertà di internet e tagliare i legami con le pratiche e le politiche di censura del precedente regime.

Le autorità di transizione hanno già fatto piccoli passi per migliorare il clima per la libertà di Internet, ad esempio allontanando il potere regolamentare dai militari e assumendo impegni per aprire la stampa  — ma questi rimangono inadeguati.

 Cambiamento del ruolo del regolatore

Nel settembre 2019, il Consiglio sovrano del Sudan [it], che ha giurato nell'agosto scorso come parte di un accordo sulla condivisione del potere per guidare una transizione triennale del Sudan verso un governo civile, ha pubblicato un decreto [ar] che colloca le Telecomunicazioni e l'Autorità regolatrice sotto la subordinazione del consiglio anziché sotto il Ministero della difesa.

La mossa è un gradito passo verso la garanzia dell'indipendenza del regolatore dal pieno controllo delle autorità militari, dato che sei membri del consiglio su 11 sono civili. Cinque di questi civili sono stati scelti dalle Forze di libertà e cambiamento — la coalizione politica che rappresenta i manifestanti. 

Tuttavia, le regole e le politiche in base alle quali il regolatore funziona rimangono invariate. In effetti, l'autorità ha avuto un ruolo chiave nel decidere e attuare le politiche di censura del precedente regime con il suo sistema di filtraggio e blocco.

Secondo un documento [ar] che spiega le pratiche di filtraggio del regolatore, il 95% di tutti i materiali vietati riguarda la pornografia, mentre il resto dei contenuti vietati si riferisce a “droghe, bombe, alcol, gioco d'azzardo e insulti contro l'Islam”. Tuttavia, queste categorie sono state vaghe e prive di definizione, lasciando la porta aperta a chi è al potere di decidere cosa bloccare.

La cosiddetta unità di filtraggio del regolatore ha anche un modulo che consente [ar] agli utenti di inviare richieste per bloccare o sbloccare determinati siti web o pagine web. Queste decisioni vengono prese senza un ordine giudiziario e l'autorità regolatrice spiega che l'unità tratta queste richieste ‘seriamente e rapidamente’  prima che gli ordini vengano inviati ai fornitori di servizi internet (ISP).

Per filtrare e bloccare i contenuti, l'ex regime utilizzava tecnologie importate segretamente  dall'estero. Ad esempio, un rapporto del 2013 intitolato “Alcuni dispositivi vagano per errore” di Citizen Lab, un laboratorio interdisciplinare con sede a Toronto che studia il controllo delle informazioni e il filtraggio dei contenuti, ha concluso che il Sudan era tra gli 83 paesi che hanno installato i dispositivi Blue Coat ProxySG e PacketShaper sulle proprie reti pubbliche.

Secondo Citizen Lab, questi dispositivi “possono essere utilizzati per proteggere e mantenere le reti, ma possono anche essere utilizzati per attuare restrizioni di natura politica sull'accesso alle informazioni e monitorare e registrare le comunicazioni private”.

‘Mai più’: PM si impegna a favore della libertà di stampa e dei media

Come ulteriore risultato positivo, il Primo Ministro Abdulla Hmadok ha firmato il Global Pledge to Defend Media Freedom per difendere la libertà dei media e ha dichiarato: “mai più nel nuovo Sudan un giornalista sarà represso o incarcerato”, durante l'Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA) del 2019:

“Mai più nel nuovo Sudan un giornalista sarà represso o incarcerato”. @SundanPMHamdok parla alla #UNGA dove il Sudan ha firmato un Impegno Globale per #DifendereLibertàDeiMedia

Sotto il regime di Bashir, i giornali stampati che hanno affrontato la repressione offline hanno trovato tregua online. Un rapporto del 2017 di Francia 24 ha osservato che “circa una dozzina di articoli su internet sono stati lanciati solo nell'ultimo anno, mentre gli agenti del potente servizio di intelligence e sicurezza nazionale (NISS) continuano a confiscare intere tirature di giornali riguardanti articoli contrari al regime del presidente Omar al-Bashir ”.

Tuttavia, le autorità hanno anche preso di mira i giornali online, bloccandoli spesso senza un ordine giudiziario.

Ad esempio, durante le proteste anti regime nel giugno del 2012, le autorità hanno bloccato l'accesso a tre giornali online: Hurriyat Sudan, Sudanese Online e al-Rakoba, senza un procedimento giudiziario. A quel tempo, il Sudan Tribune riferì che il partito al potere, il National Congress Party (NCP) [it] accusava “alcuni siti web di lanciare una campagna per distorcere l'immagine del Paese in collaborazione con i partiti di opposizione e Stati Uniti. L'accesso ai giornali online è stato successivamente sbloccato. Hurriyat Sudan, tuttavia, ha cessato le pubblicazioni nell'aprile 2018, a causa della mancanza di finanziamenti.

Leggi vaghe, interpretazioni

Per applicare e attuare le sue politiche di censura, le autorità del precedente regime ricorrevano a leggi vaghe e inclini a interpretazioni sbagliate.

Il diritto alla libertà di espressione è riconosciuto a livello internazionale attraverso la Dichiarazione universale dei diritti umani [it] (UDHR) e il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici [it] (ICCPR). Il vertice mondiale sulla società dell'informazione (WSIS), nel 2003 a Ginevra, in Svizzera, e nel 2005 a Tunisi, in Tunisia, ha ribadito “come fondamento essenziale della società dell'informazione” che “tutti hanno diritto alla libertà di opinione e espressione; che questo diritto include la libertà di esprimere opinioni senza interferenze e di cercare, ricevere e trasmettere informazioni e idee attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione e indipendentemente dalle frontiere ”, come indicato nell'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.

Gli articoli dal 14 al 17 del 2007 Cybercrime Act, criminalizzano la diffusione di contenuti ritenuti una violazione di “ordine pubblico, moralità, credenze religiose o santità della vita privata e diffamazione online”. Nonostante il fatto che la legge delineasse le punizioni, con pene detentive fino a cinque anni, multe o entrambi, le definizioni erano ancora vaghe e poco chiare, consentendo abusi da parte delle autorità.

L'articolo 25 conferisce al tribunale il diritto di confiscare “l'hardware, il software o i media utilizzati nella commissione di uno qualsiasi dei reati previsti dalla presente legge e dei fondi che ne derivano”.

Il regime di Bashir ha utilizzato queste leggi per limitare i contenuti online e colpire giornali e siti di notizie sul web, nonché le attività online e sui social media dei singoli cittadini.

Un rapporto del 2018 del Centro Africano degli Studi di Giustizia e Pace ha documentato: “quattro incidenti in cui quattro cittadini sudanesi sono stati accusati di diffamazione ai sensi del Cybercrimes Act, 2007 e Criminal Act, 1991, nonché di violazione dell'ordine pubblico e della moralità ai sensi del Cybercrimes Act a seguito di dichiarazioni condivise tramite piattaforme di social media “. Il rapporto evidenzia il caso di Saad Ahmed Fadul, accusata nell'aprile 2018 ai sensi del Cybercrimes Act di “condividere un video tramite WhatsApp che racconta una storia di come è stata licenziata dalla Sudan Communication Company e sostituita da Hind Abdalla Hassan Albashir, nipote dell’ [allora] presidente del Sudan, Al Bashir”. È stata accusata di ricattare e minacciare un'altra persona, violazione dell'ordine pubblico e moralità e violazione delle credenze religiose o della santità della vita privata.

Prossimi passi verso la libertà di internet

L'impegno pubblico del Primo Ministro Hamdok per la libertà di stampa e il Decreto del Consiglio di sovranità per ridurre l'influenza dei militari nell'autorità di regolamentazione sono due passi nella giusta direzione verso la garanzia della libertà di internet.

Tuttavia, le leggi persistenti pongono vaghe restrizioni a questi diritti fondamentali e consentono alle autorità di bloccare e filtrare i contenuti senza un ordine giudiziario. Queste leggi consentono alle autorità di incarcerare individui e giornalisti per aver esercitato il loro diritto alla libertà di espressione.

Le autorità di transizione dovrebbero rettificare queste leggi e adottare ulteriori misure per garantire che il regolatore del settore delle telecomunicazioni sia indipendente dalle interferenze del governo. Il regolatore dovrebbe concentrarsi sulla protezione dei diritti degli utenti di accedere a internet anzichè fungere da strumento politico che mette a tacere il dissenso.

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